L’eterno presente

Noi la crisi non la paghiamo.
La mania di protagonismo delle nuove generazioni, sobillate da professori fannulloni e complottardi, è insopportabile ancor più della loro millanteria, come già mirabilmente spiegatoci dalla G2, Gelmini-Gasparri, che finalmente ci ha aperto gli occhi: non sono studenti ma una minoranza di facinorosi fomentati dalla sinistra estrema. Facinorosi, millantatori e, soprattutto, malati di protagonismo. Noi la crisi non la paghiamo: ma chi vi credete di essere? Per quello c'è già la sanità, ci sono i metalmeccanici e i precari, ma cosa vi siete messi in testa? A ciascuno il suo, è ben altro il conto che spetta a scuola e università. E non fate come al solito quelli che a me non mi ha avvertito nessuno, perché questa volta lo avete saputo con largo anticipo: dovete pagare l’allestimento della prossima puntata della cementificazione su larga scala che si scrive Expo Milano 2015 e si legge speculazione.

Neanche la briga di leggere ciò che i nostri premurosi governanti hanno messo nero su bianco nella 133. Del resto è da irresponsabili rifiutarsi di contribuire alla crescita del nostro povero Nord, insopportabilmente arretrato rispetto al resto del Paese. Dov’è finita la proverbiale solidarietà del popolo italiano? Nelle classi separate per immigrati? Nelle molotov lanciate contro i rom? Nossignore, esiste e resiste, scripta manent: ora è addirittura codificato, basta una lettura comparata dell’art. 14 punto 1 con l’art. 66 punto 13. Te capì?

Credere nelle promesse, nell’onestà e nella buona fede di Berlusconi è comico, ma ritenere ragionevolmente che un governo targato Lega Nord e Forza Italia pensi anche a ciò che avviene al di sotto della Linea Gotica è mostruoso. Linea Gotica, appunto. Con buona pace degli Alleati Nazionali comprati con quattro "vietato", due "proibito", la parola "galera" buttata qua e là a casaccio e i soldatini nelle strade per poter chiudere gli occhi e sognare un po' di Cile degli anni belli. Perché sognare non costa nulla, poscia Tremonti non ha da eccepire.


Se in Cina contraffanno i prodotti italiani, dalle parti di Arcore si appiccica maldestramente l’etichetta made in Italy alle scatole cinesi. E così mentre le parole "riforma", "turn over", "grembiule" e "maestro unico" nascondono tagli selvaggi e licenziamenti, quest’ultimi servono a mimetizzare il vero obiettivo del governo a guida P2 (a titolo informativo: tessera 1816, fascicolo 0625, data di affiliazione 28/01/1978 il boss; fascicolo n. 945, tessera 2232, data di affiliazione 12/12/1980 il suo capogruppo alla Camera): radere al suolo come fosse un villaggio palestinese l’istruzione pubblica. La trasformazione degli Atenei in Fondazioni, l’abrogazione del valore legale del titolo di studio. Il tutto ammantato dalla parola magica "meritocrazia": curioso che provenga da chi ha fatto ministro una soubrette (senza andare oltre: nonostante tutto ci rifiutiamo di credere a quanto trapelato dalle pornointercettazioni), o il proprio commercialista, da chi ha messo a capo della Commissione giustizia un suo vecchio legale, mentre altri sono diventati parlamentari e/o senatori e uno è stato perfino proposto a capo della Commissione di vigilanza Rai. Caligola con il suo cavallo era un dilettante allo sbaraglio in confronto... Meritocrazia.

Ma torniamo ai punti nodali: trasformazione degli Atenei in Fondazioni, abrogazione del valore legale del titolo di studio. Il primo significa la fine dell’Università pubblica tout court. Troppo pericolosa l’esistenza di luoghi dove il libero pensiero possa circolare impunemente, meglio assoggettarlo agli interessi di un qualche potentato economico. Non so, magari possiamo suggerire una casa farmaceutica che controlla la facoltà di Medicina, un costruttore tipo il cav. Salvatore Ligresti dietro la facoltà di Architettura o, perché no, un Tronchetti Provera che gestisce quella di Scienze della comunicazione. Va da sé – o così dovrebbe essere – che la trasmissione del sapere in qualsivoglia campo DEBBA essere libero da condizionamenti esterni o da interessi di sorta. Ed è altrettanto chiaro che un’azienda non è mossa da fini filantropici bensì agisce (legittimamente) secondo una logica del profitto. E’ dunque ragionevole ritenere che le future Fondazioni universitarie finanzieranno la libera ricerca? O piuttosto si dedicheranno ad approfondire aspetti funzionali ai propri interessi economici? Se non politici, chiaro... Imbrigliare la conoscenza, riscrivere la storia (il passato), reggimentare la ricerca (il futuro), per bloccare i cittadini in un eterno presente che esclude ogni tentativo di cambiamento della società.

Cementarci in compartimenti stagni dove il pensiero non è libero di fluire, la conoscenza impossibilitata a muoversi in verticale e a espandersi in orizzontale. La creazione di automi (tecnicamente preparati, certo) tanto produttivi quanto inoffensivi. E con le pezze al culo. Andate a laurar! Altro che meritocrazia.

Abrogare il valore legale del titolo di studio, invece, serve a creare Università gerarchizzate. La legge italiana conferisce "valore legale" ai titoli di studio che si adeguano agli standard nazionali normativamente previsti. Il titolo di studio è infatti un vero e proprio certificato pubblico, rilasciato "in nome della Legge" dall'autorità accademica nell’esercizio di una potestà pubblica. Ora, immaginare che in nome della "concorrenza tra Atenei" e della meritocrazia possa sparire per decreto la parificazione legale tra le differenti Università è a dir poco bestiale. Se uno ha la sventura di vivere in una città la cui Università è considerata di seconda fascia è già condannato in partenza, indipendentemente dall’impegno profuso nel proprio percorso di studio. A meno che, ovvio, non abbia i mezzi economici, gli sghei, per andare a studiare altrove. E' dietrologia pensare che nel Nord opulento saranno più numerosi i politecnici "preferenziali" rispetto al resto del Paese? ll problema dei concorsi pubblici non è la parificazione di tutte le Università nei punteggi, anche perché il candidato oltre al titolo di studio deve superare una serie di test che ne misurano l’effettiva preparazione. Il vero problema è la mancanza di controllo in un Paese a trazione clientelare (ripeto: vale persino per parlamentari e ministri), in cui anche nel privato chi sbaglia non paga. Mai. La bancarotta, ricordiamo a mo’ di esempio, è stata depenalizzata. Per cui per un dirigente pubblico non fa nessuna differenza assumere il migliore dei concorrenti o l'incapace figlio del cugino (o del politico di riferimento). Che spesso e volentieri non si è laureato a Yale.

In Italia docenti e programmi didattici raggiungo eccellenze spesso inesistenti all’estero. Il guaio, quello vero, sono le strutture fatiscenti, i laboratori mancanti, le attrezzature obsolete, l’assenza di controllo nei pubblici concorsi, il baronato. Ovvero i mezzi che permettano a bravi insegnanti di mettere in pratica ottimi programmi. Tagliare i fondi, licenziare e privatizzare non è esattamente la medicina migliore per queste malattie. Ma viene da chiudere con un paradosso: meno male che nella loro bulimia di potere hanno infilato le mani nei nostri portafogli, altrimenti la loro brutta e sporca controriforma - forse - sarebbe passata in sordina.

2 Responses to “L’eterno presente”


cribbio
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(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
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Indovinello
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