Sguardi sulla Côte d’Ivoire

cote

L'Africa, perché:

Il mese è ottobre, l'anno, il 2009. Come tanti europei, giovani, studenti, ho scelto anch'io di andare in Africa, in parte per una ricerca sul campo, in parte per motivi personali che tendiamo a considerare meno elevati che però spingono spesso le persone a viaggi altrimenti non programmati, a esplorare con occhi nuovi, quasi a trarre dall'esterno nutrimento per la vita interiore. Quindi, l'Africa, dove tutto è iniziato, alla ricerca delle radici del vivere e della verità letta nei volumi universitari. Per capire, profondamente, per esperire.
Dunque, la Côte d’Ivoire: un paese che sta uscendo lentamente e a fatica da una crisi economica che ha interrotto i sogni della società civile e che ha acuito i conflitti interni sfociati in una lunga guerra civile.

Ad Abidjan:

IL LAVORO - Mi trovo ad Abidjan a casa di amici che lavorano per la missione ONU, per intervistare politici, rappresentanti delle istituzioni internazionali, ma soprattutto della società attiva ivoriana, a proposito del loro vissuto, della situazione attuale e delle prospettive del paese. Al pari di ogni politico navigato, il presidente della Sorbonne (sorta di Agorà, o Speaker's Corner a tema, dove molti giovani si riuniscono per sentire comizi sulla situazione nazionale e temi collegati, tenuti da rappresentanti di istituzioni o semplici cittadini) ci fa notare l'importanza delle parole nel designare i vari gruppi attivi nella regione. Per gli ivoriani la cd. “società civile” è legata ideologicamente ai partiti o viene da questi sovvenzionata, mentre le ONG e le altre organizzazioni indipendenti si definiscono membri della “società attiva”.
Contrariamente a quanto immaginato, fare interviste in questo paese è molto semplice e gli ivoriani sono felici di rilasciare dichiarazioni e dibattere con “occidentali” interessati alla loro situazione.
Abidjan è la capitale economica e per ora sede delle principali istituzioni ivoriane, in attesa di una ripresa e soprattutto del disarmo delle FAFN (Forces Nouvelles), il gruppo armato ribelle che controlla provvisoriamente il nord del paese, che renderà possibile il trasferimento delle attività rappresentative e diplomatiche a Yamoussoukro.
Le sedi dei partiti del paese sono tipiche case a un piano, con giardini ben tenuti e arredi anni '70. Nessuno fa eccezione, tranne la sede del partito di maggioranza del presidente Laurent Gbagbo, che è ubicato in un palazzone di cemento in uno dei tanti quarteri popolari della città ed è sorvegliato da un quintetto di militari armati di kalashnikov che sonnecchiano sulla porta ma prontamente si risvegliano per introdurre i rari visitatori all'interno. I controlli constano generalmente di una sola domanda: avete appuntamento? cosa dovete fare? E si viene portati nell'ufficio della persona contattata. Come spesso accade, molto rumore per nulla.

IL CONTESTO - La prima volta in Africa, ogni cosa appare nuova, genuinamente. Per la prima volta sono immersa in quelle forme e quei modi di vita già sentiti nei racconti di chi c'è stato, letti o visti in televisione e in fotografia. E' un atteggiamento che cerco di mantenere in ogni viaggio, ma qui non è necessario uno “sforzo” consapevole.
So di non trovarmi in un paese che ha mantenuto viva la tradizione delle popolazioni riunite dagli europei nel confine di un'entità artificiale poi chiamata Côte d’Ivoire, in nome di un'Ivoirité, un'identità fittizia ma funzionale alla creazione dello stato-nazione, imposta dall'alto dal trentennale presidente e padre della patria (in qualità di capo del governo, proclama l'indipendenza della Côte d’Ivoire nel 1960) Félix Houphouët-Boigny. Tuttavia, la Côte d’Ivoire è paradigmatica di molti stati ex-coloniali che oggi chiamiamo, a dispetto della loro reale condizione, in via di sviluppo. La Côte d’Ivoire, infatti, oggi mostra i segni del fallimento di uno sviluppo basato su un modello liberista fragile, in quanto legato alla produzione ed esportazione di alcune materie prime (nella fattispecie cacao e caffè), che con il crollo dei prezzi avvenuto negli anni 70 in seguito a trasformazioni dell'economia mondiale ha trascinato tutto il sistema economico in una crisi profondissima cui non si sono sapute dare risposte adeguate. Nel nord del paese, da sempre tenuto ai margini della grandeur e del benessere della parte meridionale, si assommano poi i segni lasciati dalla distruzione di villaggi ed edifici pubblici durante la guerra civile e dalla migrazione di persone verso luoghi più sicuri.

LA CITTA' - Abidjan, oggi capitale informale del paese sembra, come ogni altra città sovraffollata del mondo, avere un ritmo autonomo, e di quel ritmo e con quel ritmo pare costringerti a vivere. La mattina tra le 7 e le 9 inizia il rumore assordante del traffico, fatto di mezzi pubblici e grossi fuoristrada piuttosto che di carrette private. Il clima è umido e lo smog si fonde con l'aria satura di umidità... Alzando lo sguardo da qualsiasi punto della città si scorgono ovunque gli ultimi piani dei palazzoni anni 60 e 70, della perla di Africa occidentale, accanto a quelli che ci sembrano mostri urbani (edifici concepiti come fenomeni isolati, ammassati senza alcun rispetto per le architetture circostanti) usciti dalla penna di qualche architetto europeo. Intorno, cumuli d’immondizia urbana esalano un odore penetrante e caratteristico, oleoso, che impregna l'aria e si avverte appena scesi dall'aereo. Una caratteristica che resta e torna alla mente inscindibile al ricordo ai paesaggi di questa città, fatti di venditori di strada, donne che vendono arachidi e banane abbrustolite ai lati delle strade, taxi Toyota Corolla quasi tutti di almeno 15 anni che sfrecciano senza alcun rispetto per i tanti pedoni, né per le regole di circolazione ordinata, quartieri vip abitati dalla galassia bianca che lavora per le organizzazioni internazionali e sede di negozi di vario genere e ristoranti, poi i quartieri dalle case basse e dalle vie che si contorcono tra le bancarelle dei mercati dove la gente tuttora trascorre le giornate degli ivoriani, dei libanesi...
La città, che si estende nella bellissima laguna che dà sul Golfo di Guinea, digrada dal Plateau, quartiere dei grattacieli, la Manhattan ivoriana, verso l'interno, dove vi sono le case basse dei cittadini africani, in cemento poi, più a margine, la baraccopoli. Dal quartier generale dell'ONUCI, ci fanno notare, si può scorgere l'inizio della baraccopoli al limite della città.
Nonostante non vedano di buon occhio i “bianchi”, tuttora simbolo del colonizzatore, gli abidjanesi sono molto disponibili a dare informazioni, aiutare in ogni modo, cercare taxi, riempirti la borsa della spesa... Inizialmente è un po' imbarazzante (specialmente per chi è abituato a far da sé...).
Le grandi strade esterne a 3 corsie, retaggio dei tempi d'oro della presidenza Houphouët-Boigny, che costeggiano Abidjan sono il regno delle auto e delle “discriminazioni di ritorno” dei tassisti che praticano un prezzo nero e un prezzo bianco per la stessa tratta che va comunque contrattato prima di salire in auto (e che generalmente subisce variazioni al rialzo all’arrivo: il modo per arginare questo comportamento sarebbe far accendere il tassametro, ma essendo probabilmente tarato su prezzi in vigore anni fa, le corse risulterebbero più case e purtroppo ci si adegua visto che le finanze degli studenti come si sa non sono mai floride) e danno a tratti sulla laguna, sui palazzi delle varie istituzioni, sulle molte caserme (“gendarmerie”, “police”,...), su campetti da calcio di periferia. Insomma, gli stradoni si somigliano un po' tutti.
La città a quanto vedo sembra essere lo specchio riuscito del sentimento degli abidjanesi. Sono profondamente antifrancesi eppure imbevuti di francité, sia nel loro modo di intendere il nazionalismo, sia nella grandeur che vorrebbero per il loro paese. Insomma, questo popolo, almeno in quest'area del paese, ha fatto della sua cultura un mélange inestricabile con quella del colonizzatore.
Musica e arte risentono molto di questa caratteristica. L'artigianato che noi definiremmo etnico è qui importato dal Mali e la musica è quella moderna che circola in tutto il mondo. Per sentire musica tradizionale si fa ricorso alle tradizioni di altri paesi, specialmente congolese (che gli abidjanesi riconoscono immediatamente). A detta di tutti i locali con cui ho avuto modo di parlare, di qualsiasi età ed occupazione, gli ivoriani, nonostante tutto, sono un popolo che “s’amuse”, balla e canta, e le malinconie suggerite dai ritmi di certe musiche tradizionali non gli interessano.

(continua...)

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