NUMERO TRE- 18 SETTEMBRE 2000

 

ALBATROS

 

PAGINA  2-  INTRODUZIONE

PAGINA  3-  FUGA DA ALCATRAZ

PAGINA  5-  VICTOR JARA – UNA CANZONE INFINITA

PAGINA 16- TE RECUERDO AMANDA

PAGINA 17- POESIE

PAGINA 20- NONGIO

PAGINA 22 -CONVENZIONE ONU

PAGINA 26- APPELLO

PAGINA 27- RUOLI E RESPONSABILI DEL PROGETTO TAV

PAGINA 31- CHI HA PAURA DEL TERREMOTO?

PAGINA 32- RECENSIONI

PAGINA 40- I MITI DELLA MUSICA- BECK HANSEN

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora sono al mare. Albatros è ancora in costruzione, per la verità è totalmente in costruzione. Ma voglio cominciare comunque dall'introduzione, nonostante non sappia assolutamente di cosa si parlerà in questo numero e chi collaborerà. Ma mi sento di fare qualche ringraziamento a diverse persone che leggono e ci spingono a continuare sempre e comunque. Vorrei cominciare a fare qualche nome, anche se pochi tra voi si conoscono realmente e anche se sicuramente dimenticherò qualcuno. Credo di poter parlare anche per Claudio, che ora non è qui ma a casa, credo a cercare qualche materiale che gli ho richiesto sugli argomenti che troverete su queste pagine. Innanzitutto vorrei ringraziare Elisa, Elena e Maria Luisa. Queste tre persone, ogni volta che esce un numero nuovo di Albatros, non fanno che ripeterci di quanto sia un qualcosa di importante, da portare avanti assolutamente. Elisa è sempre entusiasta e il giorno dell'uscita già vorrebbe leggere il seguito... E questo entusiasmo è contagioso, perché a volte, ma solo a volte, la voglia di lavorarci non è così grande. Per pigrizia forse, a volte per mancanza di idee. Ma poi se penso alle sue parole, credo che deluderla sarebbe uno sbaglio incredibile. Ecco perché ogni tre mesi, puntualmente, ricevete nostre notizie. E poi tutti gli articoli, poesie ed altro che riceviamo finalmente hanno fatto sì che si sia potuto creare quello che volevamo: un giornale di tutti, senza fazione, senza razza... Solo per gente che "non si lascia stare", come dicono su Radio Freccia, quel grande film di Ligabue (senza cadere nel commerciale.. ma è davvero un gran bel film). Maria Luisa non la conosco di persona, solo per telefono. E la prima volta mi ha inondato di complimenti, consigli, critiche.. su questo lavoro che io ho sempre considerato minore, invece per lei potrebbe riuscire a diventare qualcosa di più. Poi c'è da ringraziare Giovanni, che ci ha proposto il capannone per il prossimo anno e anche Carlotta, una ragazza che ancora non legge il giornale ma che comunque ha accettato di suonare per il prossimo raduno, se riusciremo ad organizzarlo. Poi Giuliana e Cristina, che dal primo numero hanno dato il loro contributo, Cristiano che ogni volta mi manda le sue critiche e che spero riuscirò ad accontentare un giorno... E Alessandro e Dave, che curano il sito in cui leggete il giornale, Elena, a cui abbiamo risvegliato lo spirito ribelle... Egiziano, che mi aveva proposto di vendere addirittura il giornale.. A Marianna, che ci ha permesso  di iniziare il discorso sul Cile e che, quando parla e scrive, dice sempre cose stupende e interessanti, che mi spingono a conoscere tutto. A tutti quelli che ci credono, che lo leggono, lo sfogliano, ma lo rendono sempre e comunque vivo. A Valeria, Daniela, Stella, Franca, Renzo, Anahita, Antonio, Fabio, Fulvio, Carlo... a Stefano, Alessio, Silvia, Barbara... e a tutti quelli che non nomino, per motivi di spazio e di memoria. Grazie, tutto qui. Mi spiace che il primo raduno non si sia potuto fare, ma io ho avuto problemi in famiglia e Claudio desiderava che io fossi presente ed ha voluto solo rimandare. Speriamo di fare davvero qualcosa per il prossimo anno. Vediamo, comunque.

Ora comincio davvero a lavorare. C'è molto di cui parlare, di nuovo e di vecchio, notizie che mi colpiscono, come il condannato a morte che ha chiesto l'esame del Dna ma a cui è stato negato. Come il Gay Pride, o l'aereo partito dalla Germania e precipitato. Piccole cose che mi sono rimaste dentro in questi tre mesi e che credo, abbiano colpito-indignato anche qualcuno di voi. Ma, ripeto, non sappiamo nemmeno noi cosa ci sarà ancora. Poi avevamo una proposta da farvi. Essendo che io conosco un certo Elvis Perez, musicista del Duo Trinitario di Cuba e visto che Cuba, Che Guevara e rivoluzione sono dei temi cari a molti di noi.. perché non prepariamo delle domande da fare a quest’uomo (molto disponibile tra l’altro) che comincino dal lato musicale di Cuba per poi sfocia, come sembra ovvio nel profilo politico… Quindi, domandate, sbizzarritevi e poi mandate il  tutto a:

 

Claudio

claudio.torreggiani@libero.it

 

Alice

Ghireikan@virgilio.it

 

Senza il vostro aiuto non si fa niente, questa volta, mi raccomando.

Buona lettura comunque, e spero davvero che, tra 10 o 20 anni, tutto questo esista ancora. Perché chiuderlo, almeno per me, vorrebbe dire perdere la voglia di lottare.

Hasta Siempre

 

Alice&Claudio

 

 

FUGA DA ALCATRAZ

 

Circa tre mesi fa mi trovavo a Malnate, un paesino in provincia di Varese. Ero con una mia amica e stavamo facendo una passeggiata, parlando di scemate e ridendo come sempre. A un certo punto sono passata davanti a un giornalaio ed ho letto a caratteri giganti JACK FOLLA E’ MORTO. La mia amica non sapeva nemmeno chi fosse questo Jack e non credo che abbia capito il perché della mia agitazione. Non seguivo da parecchio le puntate televisive, un po’ per mancanza di voglia, un po’ perché a quell’ora avevo altro da fare, un po’ perché erano tutti monologhi che sapevo a memoria. Fatto sta che, comunque, avevo un po’ paura che tutto fosse potuto morire così, senza che io ne sapessi qualcosa. Poi mi è passato di mente, e arriviamo a circa  un mese fa. Ero in vacanza sempre con questa mia amica in Emilia, dove ho potuto rivedere Claudio e parlare un po’. Vi giuro che non sapevo che Alcatraz fosse finito e soprattutto come fosse finito. Così, quando Claudio mi ha detto che era precipitato l’aero su cui stava scappando ci sono rimasta veramente male. Per i primi minuti, soprattutto. In fondo per me è stato come sapere che un amico che abitava lontano era morto, era sentire per la prima volta un vuoto che una persona cara lascia inevitabilmente dietro di se, quando non c’è più. Forse esagerato per alcuni di voi, ma per me Jack esisteva davvero, non era solo fiction. Nonostante tutta l’incazzatura, i dubbi e le delusioni provate per certe puntate o per alcune uscite… comunque è stato un amico che per due anni mi è stato vicino, che poi ho allontanato ma che avrei potuto ritrovare quando volevo. Ora non esiste più. Ma poi, oltre a queste cose emotive che mi caratterizzano fin troppo, c’è stato il pensare al perché avesse deciso una cosa simile. Credo sia stata una grande decisione, Alcatraz non doveva diventare un business, in teoria sarebbe dovuto esistere solo la prima fase, quella radiofonica. Poi, per richieste, denaro e quant’altro, ecco arrivare la seconda serie e poi quella televisiva. Ha fatto bene? Male? Alla fine a me non importa tanto, mi importa sapere che altra gente, in un modo o nell’altro ha potuto costatare di cosa si tratta Jack Folla. Tutto qui. Farlo morire è stato un bene, perché stava perdendo il suo valore. Se avesse continuato ancora avrebbe perso il controllo di un qualcosa che forse non doveva entrare nella massa, che doveva essere per una “cerchia ristretta”. Cerco di spiegarmi meglio. Prendete questo giornale. Ora stiamo dicendo quello che vogliamo, con errori grammaticali e di forma, spariamo a zero su tutto tutti e non ci interessa cosa ne penserà la massa. Ma se poi, un giorno (cosa impossibile) cominceremmo ad abbassarci ai livelli degli sponsor, dei soldi, di quello che la gente vuole.. Avremmo perso tutto il senso che cerchiamo ogni giorno, diventeremmo un giornale come Panorama o Gente… Io chiuderei, e penso molti di voi desidererebbero lo stesso. Jack Folla per me stava diventando un qualcosa che si sarebbe commercializzato. E la morte è stata la “scelta” più giusta, anche se deprimente. Non so se questa pagina rimarrà ancora, dal prossimo numero in poi, semplicemente perché non so se avrò ancora qualcosa da dire al riguardo. Comunque sia, qualunque sarà il destino di questo giornale, sempre “l’immagine” di tutto questo rimarrà, e sarà ricordato in ogni singola parola che leggerete. Semplicemente perché l’idea ci è venuta grazie a Diego Cugia e a Jack Folla. Chiudo con uno dei più bei monologhi di Jack. Un saluto a un grande Amico e “rivoluzionario”.

 

 

Non preoccupatevi, fratelli. Il grande albatros vola. Mancano ancora sette lunghi mesi prima che la sedia elettrica mi bruci le ali. Sette mesi in cui vorrei solo insegnarvi una parola: “Indignazione”. Voi non sapete neppure cos’è. Indignazione vuol dire ribellione, risoluta ribellione a quanto offende la dignità propria e altrui. “Dignità”, anche di questa parola avete perso il significato. Significa rispetto dell’uomo per se stesso, per i propri valori. “Valore”, anche di questa parola vi hanno fatto perdere il significato: è l’unità di misura più alta e contraria a quella del denaro. Il valore è invisibile, ed è l’unità di misura della morale. “Morale”, anche di questa parola vi hanno scippato il senso. Morale è il presupposto spirituale che precede le vostre scelte tra ciò che ritenete “bene” e ciò che ritenete “male”.

 Valore, Dignità, Morale. Fate attenzione: è un mostro nel braccio che ve ne parla, dalla culla della democrazia: l’America. Un Paese in cui si manda a morte un uomo in nome del popolo. Un paese in cui anche un bambino può dire: “Io ho ucciso”. Valore, Dignità, Morale. Tre parole. E dall’altra parte una soltanto: “Indignazione”. Ora sentite questa. Un sedicenne nero di Brooklyn pedala in bicicletta, di notte. Una notte di trenta giorni fa, una schifosa notte d’agosto. Michael pedala, nero come la notte. Due agenti lo incrociano e lo crivellano di colpi a ripetizione.: diciassette, per la precisione. Michael è morto. Perché l’hanno fatto? Perché aveva un mitra sul manubrio.

Era un mitra giocattolo di quelli che schizzano acqua.

Quello che state provando è indignazione.

Sparatela.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VICTOR JARA

 

 

Per continuare il discorso sul Cile cominciato nel numero scorso da Marianna, parliamo di un grandissimo artista e uomo che è stato coinvolto, volente o nolente, da tutto ciò che accadde nel periodo del Golpe in Cile. Quest'uomo è Victor Jara. Ho sentito parlare di lui solo nei concerti dei Nomadi, ma non sapevo praticamente nulla. Solo che era un chitarrista che suonava canzoni Contro tutto ciò che accadeva e che, nel momento in cui Pinochet prese il potere, fu ucciso e gli spezzarono i polsi per non permettergli di suonare. Torturato nello stadio in cui tante volte aveva suonato. Ma volevo saperne di più, queste poche parole non mi bastavano certo. Così mi sono fatta prestare un libro stupendo che ognuno di noi dovrebbe leggere. Anche chi del Cile non interessa niente, ma solo perché è una testimonianza di un'umanità grandissima. Si chiama "Victor Jara- Una canzone infinita" ed è stato scritto da Joan Jara, la moglie. E' edito da Sperling & Kupfer Editori, e costa 28.000. Solo un'altra volta vi ho parlato lungamente di un libro, ed è stato Per "Pappagalli Verdi" di Gino Strada. Come sempre, ciò che vi consiglio è un qualcosa di socialmente attivo, qualcosa che fa pensare. Ancora un volta, quando l'ho finito, mi sono resa conto di quali azioni immani possa compiere un uomo solo per la sete di potere. Uccidere persone solo perché hanno idee differenti, idee politiche oppure solo voglia di libertà. In quel periodo buio del Cile, che ancora oggi porta le ferite di una dittatura feroce, tanti ragazzi, uomini, figli, mariti... hanno perso la vita. Tanti musicisti sono scomparsi, e un grande uomo come Salvador Allende non ha potuto portare avanti delle grandi idee. Avevo le idee molto confuse su tutta la politica di allora, non capivo chi fossero questi famosi Desaperecidos, pensavo addirittura che Allende fosse un "compagno" di Pinochet. Pensavo che Allende avesse tolto il potere non so bene a quale grande governatore e lo avesse regalato a questo Pinochet. Idee molto distorte, portate da ignoranza ma anche tanta disinformazione. E' difficile trovare qualcosa che riguardi il Cile che sia chiaro e onesto. Per Internet non c'è nulla, i libri davvero veritieri non esistono o sono molto pochi. Semplicemente perché è comodo non dire nulla, perché tutti alla fine hanno un guadagno nel non far sapere ciò che accade. Ora ne so sempre molto poco, ma per lo meno sono riuscita ad essere un po' più partecipe al dolore che questo popolo deve ancora provare, guardando con gli occhi di una donna che tanto ha sofferto, tutti gli avvenimenti di allora. Come ha detto Marianna una volta, qualche mese fa, "ho letto tutto molto velocemente, perché, anche se sapevo come sarebbe finito, avevo quasi la speranza che le cose avessero un altro seguito. Nel momento del libro in cui si parla delle elezioni, quando Joan aspetta i risultati, mi sembrava di essere lì con lei, in attesa di quella telefonata". Altre persone hanno letto questo libro e tutte hanno alla fine avuto dentro un qualcosa di più, hanno compreso un qualcosa di... difficile spiegare. Quello che posso fare è consigliare di leggerlo e cercare, a mio modo e sicuramente sbagliando, di spiegare chi fossero questo Victor Jara,  Allende e Pinochet e cosa accadde. In modo molto superficiale ma non volutamente, semplicemente perché questo è tutto ciò che ne so.

Victor Jara viveva poco fuori Lonquen, ovviamente in Cile. Era figlio di Manuel e Amanda e aveva tre fratelli. La madre aveva avuto per lui una grande importanza, a parte per l'umanità e quindi l'affetto che le portava, ma soprattutto per l'impronta musicale. Ella infatti suonava la chitarra, canzoni popolari ed era molto richiesta come intrattenitrice. E Victor spesso la ascoltava e già allora forse aveva deciso qual era il suo destino. Amanda era anche il punto di sostegno della famiglia, infatti il padre era solo un ubriaco e violento, che maltrattava moglie e figli. E aveva l'odio di Victor. Dopo un incidente avuto a una sua sorella, Amanda lasciò il lavoro per accudire i figli. La chitarra era quindi stata abbandonata. Da questo momento in poi Victor cominciò a strimpellare. Il suo primo insegnante  fu un ragazzo, in certo Omar Pulgar, che frequentava spesso il bar vicino a casa. Poi  Victor dovette subire un grande perdita, quella della madre che morì per un ictus. Non sono molto brava a raccontare ciò che accadde durante la sua vita. Comunque Victor era un grande artista, che imparò a recitare (facendo parte di una compagnia) e divenne anzi un acclamato regista. Ma era la musica quello che lo attirava di più. Scriveva di tutto quello che aveva intorno, dall'odio profondo che provava per il padre alla situazione di alcuni personaggi incontrati per la via. Tutto era fonte di ispirazione, soprattutto comunque quello che lo colpiva nel profondo. Aveva poi fatto diversi viaggi per ricercare la musica popolare, che rischiava di essere perduta. Aveva collaborato con diversi artisti e gruppi, tra i quali gli Inti Illimani. Ma la sua non era una musica che stava ferma. Non erano quelle mode che serpeggiano ancora oggi ma che poi, dopo qualche breve periodo, svaniscono e non si ricordano più. L'animo di Victor era propenso alla scoperta, alla ribellione (anche se pacifica), al far capire alla gente quello che aveva dentro e quello che accadeva. Ed è stato questo poi a fargli fare una brutta fine. Infatti, verso la fine degli anni sessanta, le canzoni di Victor non erano più autobiografiche, ma avevano maggiormente a che fare con i problemi, gli impegni e gli obiettivi generali con cui si trovavano alle prese le popolazioni dell'America Latina. Per esempio, una delle prime canzoni improntate su questo genere, fu "El aparecido", che uscì nel 1967, con una dedica a Ernesto Che Guevara. Era il periodo in cui il Che era partito da Cuba e Victor voleva trasmettere questa "fuga" di questo rivoluzionario così grande e coraggioso, che era quasi diventato un mito. In pratica Victor ammirava quell'uomo e voleva semplicemente gridare la sua "approvazione", la sua stima. Era affascinato dalla violenza della miseria e non escludeva il fatto che un giorno dovesse egli stesso prendere le armi e combattere per fare finire quel magro presente in cui si trovava a vivere. Ci furono altre canzoni che raccontarono di questo, per esempio "El Soldado" dove diceva :

 

Soldato, non spararmi,

non spararmi, soldato!

Chi ha appuntato quelle medaglie al tuo petto?

Quante vite sono costate?

Io so che la tua mano trema,

non uccidermi,

io sono tuo fratello.

Era il periodo delle rivolte armate quindi, ma in Cile questo ancora non era accaduto. Esistevano le canzoni di protesta, ma molto diverse da quelle "commerciali" degli Stati Uniti, dalle voci che si alzavano contro il Vietnam. IN quel periodo vi era al governo Frei e c'era un grande malcontento sia da parte del popolo che da parte del partito democristiano. C'erano varie richieste, per esempio la riforma universitaria e cominciò quindi anche il grande movimento giovanile. Come ovunque nell'America di allora. Si chiedeva che le università venissero rese accessibili ai figli di operai e contadini. E in mezzo alle richieste e alle rivolte, c'erano i cantautori. Gli artisti. Quelli che facevano sentire la loro voce e facevano comprendere al popolo ciò che non andava. Come disse lo stesso Victor: "Un artista deve essere un autentico creatore e quindi nel suo più profondo un rivoluzionario... un uomo pericoloso quanto un guerrigliero a causa del suo grande potere di comunicazione". Una delle canzoni più importanti di Victor Jara (oltre alla bellissima "Te recuerdo Amanda") è “Preguntas por Puerto Montt”, che documenta una tragedia ingiusta accaduta ai danni di povera gente. Dei contadini, rimasti senza casa si erano insediati nel terreno di un benestante ela polizia aveva il compito di cacciarli. Camminando sul terreno, la polizia incappò nel primitivo sistema di allarme escogitato dai contadini. Il frastuono dei barattoli fissati al filo spinato svegliò le famiglie addormentate. Gridando, le donne trascinarono i bambini ancora semiaddormentati fuori dai ricoveri di fortuna, raccogliendo in fretta e furia i neonati, mentre gli uomini correvano qua e là, nel tentativo di spezzare il cordone dei poliziotti. Alcuni afferrarono gli attrezzi di lavoro (vanghe, picconi, qualsiasi cosa si trovassero sottomano) con l'idea di resistere; altri cercarono di raggiungere il vicino insediamento di Manuel Rodriguez nella speranza di trovarvi riparo. Ma la polizia aveva già circondato Pampa Irigoin. Cominciarono a lanciare bombe lacrimogene, poi aprirono il fuoco con le mitragliatrici. Molti uomini e donne caddero a terra feriti, mentre i poliziotti appiccavano il fuoco alle primitive capanne che erano state le loro abitazioni. Sette contadini furono uccisi e un bambino di sette mesi morì soffocato dai gas lacrimogeni. Sessanta furono i feriti, la maggior parte al torace e all'addome, perché la polizia sparava indiscriminatamente contro la gente disarmata, e lo faceva con intenzione di uccidere. I contadini, tutti senzatetto e per lo più privi di lavoro, avevano occupato cinque giorni prima la terra appartenente alla famiglia Irigoin. Le piogge autunnali avevano già cominciato a trasformare il terreno in un mare di fango e le capanne di fortuna erano un ben misero riparo dall'acqua, ma erano le uniche case a disposizione di quella gente, stanca di aspettare il diritto di vivere un po' meglio delle bestie. Speravano, occupando la terra, di richiamare l'attenzione delle autorità sulla loro difficile situazione, ma la risposta di Perez Zujovic era stata l'ordine ai poliziotti di "fare il loro dovere" scacciando i contadini dalla terra incolta, se necessario facendo ricorso alle armi da fuoco. Perez Zujovic, un ricco uomo d'affari della destra del partito democristiano, era responsabile del Grupo Movil e di tutti gli altri apparati polizieschi repressevi usati in innumerevoli occasioni contro dimostranti e scioperanti, comprese le loro famiglie, e studenti. Persino prima del massacro di Puerto Montt era una delle figure più impopolari del movimento. L'indignazione generale suscitata da quell'eccidio infiammò la già tesa situazione politica del paese e nei giorni successivi a Santiago si ebbero violenti scontri di piazza tra studenti e polizia. Oratori e artisti si avvicendarono sul palco per condannare l'orrendo crimine ed esprimere partecipazione alle vedove e alle madri delle vittime, giunte a Santiago dal Sud dopo il funerale collettivo dei loro cari. Una folla sterminata, forse centomila persone, si accalcava per molti isolati lungo l'ampia via. Fu lì che Victor canto per la prima volta in pubblico la sua "Preguntas por Puerto Montt". Nelle settimane che seguirono, ovunque andasse Victor si sentiva chiedere di cantare questa canzone che prese a godere di una propria autonoma vita politica, e non passò molto tempo che si ebbero le prime avvisaglie di conseguenze personali. Cominciarono una serie di appostamenti per dargli diverse "lezioni". E le cose sarebbero certo peggiorate se avesse continuato a cantare canzoni sovversive.

La campagna per le elezioni presidenziali cilene del settembre 1970 cominciò a mettersi in moto con più di un anno di anticipo. Il candidato del Partito Nazionale di destra era Jorge Alessandri, quello dei democristiani era Radomiro Tomic. Le forze di Unità Popolare (che era una coalizione cui partecipavano sia i socialisti che i comunisti, i radicali e i cattolici di sinistra) raggiunsero un accordo a metà gennaio del 1970 e scelsero Salvador Allende del Partito socialista. Salvador Allede Gossens nacque a Valparaiso (Cile) il 26 luglio 1908.Fondò nel 1933 il partito socialista cileno, divenne dal 1939 fino al 1941 ministro della sanità e dal 1045 venne eletto senatore per diventare poi presidente del senato nel 1968. Egli era un grande nemico del potere economico, fu l'artefice di nazionalizzazioni che sottrassero al capitale straniero, soprattutto americano, le ricche miniere di rame del Cile, ottenendo così l'ostilità degli Stati Uniti d'America che montarono una campagna contro la sua leadership.  Il carattere di Unità Popolare, con la sua ampia base di operai, contadini e della maggioranza dei giovani del paese, con la sua mancanza di potere economico, fece sì che la sua campagna elettorale dipendesse essenzialmente dalla mobilitazione di massa. Furono creati migliaia di comitati elettorali locali, responsabili dalla straordinaria gamma di attività politiche portate avanti in tutto il paese durante e dopo i lunghi mesi della campagna. I media, invece come detto sopra,  erano schierati contro la coalizione e quindi era difficile riuscire ad avere una campagna elettorale ugualmente efficace. Era sorta una nuova forma di arte popolare. Cominciò in maniera abbastanza semplice, come rozzi scarabocchi di slogan e simboli su muri vuoti. Nella frenesia della campagna elettorale la velocità era di primaria importanza perché chiunque tracciasse graffiti poteva essere aggredito da bande di estremisti di destra o arrestato dalla polizia. IN ogni angolo del paese spuntavano squadre di graffitari. Molti erano i muri che potevano essere dipinti in una notte, ma bisognava rifare il lavoro di continuo perché venivano cancellati o rielaborati dagli avversari. Per avere il controllo dei luoghi migliori e più visibili avvenivano veri e propri scontri. Alla fine fu Unità Popolare a vincere la guerra dei muri di Santiago e di altre città, e a potersi permettere di elaborare e dipingere sia immagini sia slogan, di riempiri di vividi colori gli spazi delimitati da spessi contorni e di dar vita a un'espressione visiva, assolutamente nuova, delle aspirazioni e dei desideri della gente. La violenza che pervase quei mesi fu più di destra che di sinistra. Unità Popolare sembrava andare fiera delle dimostrazioni disciplinate, impetuose, a pacifiche. I Fascisti disponevano di gruppi paramilitari tanto nelle città che nelle zone rurali, contrabbandando armi che arrivavano dall'Argentina attraverso le montagne, ma il governo Frei esitava ad assicurare alla giustizia gli influenti proprietari terrieri. Ci furono dimostrazioni di massa contro l'incessante violenza, e in una di queste fu ucciso Miguel-Angel Aguilera. Aveva solo diciotto anni. Apparteneva alla Brigada Ramona Parra ed era andato alla manifestazione obbedendo alla chiamata del suo sindacato. Se ne stava pacificamente all'angolo di Plaza Tropezon insieme ai compagni di lavoro quando era stato raggiunto da un proiettile sparato da un poliziotto in borghese che si era mischiato alla folla. Il delitto infiammò la già rovente atmosfera politica. Il funerale fu un'imponente marcia di centinaia di migliaia di persone che si accalcarono nell'ampia strada che portava al cimitero, piene di rabbia e di una determinazione che, invece di scemare, era stata accresciuta da quella morte assurda. Fu per Miguel-Angel Aguilera che Victor compose la canzone "El alma llena de banderas"  che coglie quello spirito ed esprime il senso di una lotta epica in cui va affrontata anche la morte.  Ecco il diario di Joan Jara, il giorno delle elezioni:

 

4 settembre 1970.

Finalmente il giorno delle elezioni... La campagna elettorale si è chiusa da ventiquattro ore e regna un innaurale silenzio, un periodo di calma nella tempesta. Con il ricordo dell'ultima gigantesca manifestazione di Unità Popolare ancora fresco in mente, impossibile non sentirsi ottimisti. E' stata la più grande, la più entusiastica, la più combattiva, lungo tutta l'Alameda, da Plaza Italia, oltre il Cerro Santa Lucia, giù giù fino alla Stazione Centrale. In certi giorni c'erano fino a ottocentomila persone, e ancora fatico a crederlo. Udire tutti loro cantare "Venceremos" sembrava inverosimile. La gente va a votare di buon'ora... i nostri vicini l'hanno fatto da un pezzo. Gran parte di loro vota a Las Condes, ma Victor deve recarsi al Primo Distretto, in centro, dato che è registrato al suo posto di lavoro. Anche Monica è già andata, e io sono qui da sola con le bambine, Manuela, Amanda e Carola, la figlia di Monica. L'unica a non votare sono io in quanto straniera residente. Ho diritto di voto alle elezioni locali, non alle nazionali. Mi dico che, se Allende vince, varrà la pena di sopportare tutta la trafila burocratica per ottenere la cittadinanza cilena.  Regna la calma, anche se è un giorno tanto importante. Ma di solito in cile i giorni delle elezioni sono così... dopo tutte le manifestazioni, la violenza, i disordini della campagna, le votazioni vere e proprie si svolgono nella calma e nell'ordine. Tutto dipende da quel che succede oggi. Se vince Alessandri sarà la fine di tutte le nostre speranze. Se vince Tomic, non cambierà niente. E' difficile credere che dopo tanti tentativi Allende possa davvero essere eletto Presidente. Se sarà così, il popolo cileno avrà il proprio governo e andranno al potere i lavoratori, i derelitti. Devo far da mangiare per le bambine. Di sicuro ci saranno lunghe code alle cabine elettorali. Passeranno secoli prima che Victor rincasi. Stasera non sopporto l'idea di dover sentire il trionfale strombazzamento di clacson dei nostri vicini. E' orribile quando è la destra a vincere alle elezioni. Scorrazzano per le strade sulle loro limousine e fanno a gara a suonare freneticamente i clacson, lanciando insulti a chiunque non si schieri con loro. Negli ultimi tempi qui attorno c'è stata un'atmosfera decisamente ostile. Manuela l'ha notata persino tra i bambini: ha una grande sensibilità per questo. Tra i vicini ci sono altri simpatizzanti per Unità Popolare, ma se ne stanno tranquilli cercando di non dare nell'occhio. Noi non abbiamo una simile possibilità. Non molti qui in giro osano esporre alla finestra un manifesto di Allende, anche se ce ne sono a iosa per Alessandri e per Tomic. In effetti, la simpatica famiglia del nostro medico è per Tomic, me ne sono accorta. Lui però non ci è ostile.  E' tornato Victor. Sembra strano che non abbia niente da fare se non tornare a casa e aspettare. Buffo che possiamo prendere assieme il tè. E' già sera. Victor ha dimenticato di accendere la luce, non si è nemmeno accorto di stare la buio. Si direbbe che abbia rinunciato all'idea di scrivere tutto quanto succede. Siedo in terra accanto a lui e gli poso la testa sulle ginocchia. Mi accarezza dolcemente i capelli e dice: "Mamita, che facciamo se vince Alessandri?". Poi, dopo una pausa: "E che faranno loro se vince Allende?". Alla radio, l'orrenda voce ufficiale continua monotona a dare i risultati elettorali, adesso relativi all'intero paese. Impossibile dire chi stia vincendo. E' ovvio che si tratta di una corsa serrata, e può darsi che il governo controlli l'ordine in cui vengono annunciati i risultati. Eppure sembra che Allende vada molto bene. Ogni vittoria di Alessandri ci fa rabbrividire, ma forse teniamo la posizione. Fino ad ora si direbbe che i voti siano equamente distribuiti, e gli esiti del Nord non sono ancora definitivi. Devono essere in gran parte a favore di Allende. Il telefono suona. E' un amico di Victor: ci dice che Allende ha praticamente vinto. Non pare corrispondere a quel che sentiamo alla radio. Ci fissiamo e io strillo di eccitazione facendo salti in giro per la stanza. Finora non avevamo osato sperare. E' di ritorno Monica, che condivide il nostro entusiasmo. Un buon segno: nessun suono di festeggiamenti nel vicinato. Cambiamo stazione radio per sentire se ci sono commenti che confermino la vittoria di Allende. DI certo il funzionario del ministero non ha fatto nessun annuncio del genere... Adesso le bambine sono a letto. Non ce la facciamo più a restare in quest'incertezza e decidiamo di uscire. L'amico di Victor ha detto che c'è un raduno di sostenitori di Unità Popolare davanti al Cerro Santa Lucia. Monica rimarrà a casa. Usciamo nella notte solo per scoprire che le altre case sono tutte al buio. Si direbbe che i giocatori di canasta nostri vicini se ne siano andati a letto. Non c'è in giro nessuno, e la cosa mi dà i brividi: di solito la notte delle elezioni nelle case vicine c'è un viavai continuo. A marcia indietro Victor esce da sotto la tettoia, compiendo una curva per uscire dal giardino, evita l'albero in cui io riesco sempre a cozzare, ed eccoci fuori. Una cane lupo abbaia, e mentre ci allontaniamo Don Juan, sentinella in piedi all'angolo, saluta a mano levata. E' un robusto ed enigmatico ex poliziotto che fa la guardia notturna per il nostro gruppo di case. Non sappiamo bene se è un amico o no, ma è certo che conosce ciò che avviene in ognuna delle case. Le strade sono deserte. Lungo Avenida Colon i palazzi sono bui, le persiane serrate. Persino i riflettori nei vasti giardini sono stati spenti, benchè non sia poi tanto tardi. In Alameda il traffico è scarso, ma sì, davanti all'edificio della FECH è radunata una grande folla. Parcheggiamo l'auto sul retro e io seguo Victor che si fa strada tra la gente. Viene riconosciuto, mentre passiamo gli danno pacche sulle spalle e scherzano sul possibile risultato. Nessuno sembra sapere per certo cosa succede, ma c'è un'aria pacata di festa.

Cinque minuti dopo mezzanotte giunge il messaggio: Salvador Allende ha vinto le elezioni e il Jefe de Plaza (cioè il comandante dell'esercito responsabile nella capitale delle elezioni) ha autorizzato Unità Popolare a tenere una riunione pubblica. La gente è già lì. I festeggiamenti sono in atto. L'Alameda è di nuovo affollata. C'è chi si arrampica sui lampioni, sugli alberi, sui parapetti, e la folla straripa su per a collina di fronte, nella speranza di intravedere Allende mentre tiene il discorso. Dentro, gioia, abbracci, lacrime. MI ritrovo sollevata da terra. Tutti si stringono e si abbracciano. La gente spinge per arrivare vicino ad Allende e congratularsi con lui. Poi tocca a me. Gli do quello che mi sembra essere un forte, disinibito abbraccio, la lui mi dice: "Abbracciami più stretta, companera! Non è il momento di essere timidi!!". Pochi minuti dopo esce sul minuscolo balcone della FECH per parlare come presidente eletto del Cile. E' un balconcino angusto dall'aria poco sicura, c'è appena posto per lui... Qualcuno è riuscito a portare un microfono, e non dei migliori. La folla applaude e scandisce: "Allende! Alle-n-de! Alle-n-de!". Nella strada si balla, ci si tiene per mano, si fanno catene, girotondi, si accendo falò... Le ampie strade del centro sono all'improvviso piene di carri e cavalli venuti dalle circostanti bidonville, stracarichi di gente, per fare festa tutti assieme. Victor ed io non ce la facciamo più a stare chiusi dentro l'edificio e corriamo fuori in strada per mischiarci alla folla. Cortei spontanei cominciano a formarsi, inalberando torce improvvisate, e ci troviamo a marciare lungo l'Alameda diretti alla Moneda, il palazzo presidenziale. All'improvviso, dalla direzione opposta compare un contingente di soldati a bordo di autoblinde. Sembra un presagio, una minaccia, ma ci passano accanto senza fare altro che un gesto da parte di qualcuno dei soldati che ci osservano dall'alto dei loro mezzi.  Tra la folla scorgiamo parecchi giovani democristiani con le loro bandiere. Sono venuti a congratularsi con Unità Popolare... Non siamo sbronzi, ma c'è una sensazione di irrealtà, è come un sogno. Quando mai si è vista la gente delle bidonville, con i bambini cenciosi, scalzi, far festa a questo modo, in centro? Ogni tanto incontriamo qualche conoscente... altri abbracci... Andrà avanti così tutta la notte... Ma bisogna rincasare. Forse Monica ci aspetta in piedi, per sentire le ultime notizie. Mentre una volta di più ci dirigiamo verso casa, a est di Plaza Italia, sulle alture, non si ode alcun suono. Ci siamo lasciati alle spalle un'atmosfera festosa e qui siamo soli. Mi chiedo che cosa succeda dietro le persiano sbarrate dei palazzi. E mentre procediamo lungo la nostra strada deserta, penso con che facce i vicini ci saluteranno domattina... o magari non ci saluteranno affatto. Domani si vedrà. Siamo felici, ma anche preoccupati. I Fascisti e la CIA lasceranno davvero che Allende assuma il potere? Dopo tutta la violenza degli ultimi mesi sappiamo che non sarà facile. Quei soldati per le strade, erano amici o nemici? Ci rannicchiamo per dormire con la sensazione che il mondo stia andando a gambe all'aria. Il mattino successivo alle elezioni la nostra felicità era già attenuata dalla consapevolezza che le forze della destra non si sarebbero fermate davanti a niente pur di impedire ad Allende di assumere il potere.

I calcoli definitivi avevano attribuito il 36,3 per cento ad Allende, ad Alessandri il 34,9 e il 27,4 a Tomic. Secondo la Costituzione cilena, nel caso, frequentissimo, in cui il vincitore non avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi, il Congresso doveva confermare i risultati e in teoria poteva decidere di nominare presidente il concorrente arrivato secondo. Ebbe allora inizio una serie di maneggi per convincere il Congresso, in cui i democristiani costituivano l'ago della bilancia, a rompere con la tradizione e proclamare presidente Jorge Alessandri, anziché Salvador Allende. Il primo passo fu la pressione economica: autoindotto panico in Borsa, il massiccio prelievo di fondi dalle banche e dalle società di costruzioni e l'accaparramento di cibo e altri beni di prima necessità per creare carenze artificiali. Alessandri corteggiava i democristiani con la promessa che, se avessero votato a suo favore al Congresso, lui si sarebbe immediatamente dimesso da presidente lasciando via libera a nuove elezioni. In questo caso Frei sarebbe stato nuovamente eleggibile e, se a essere scelto dal partito fosse stato lui anziché Tomic, avrebbe potuto contare sui voti di un'opposizione compatta per battere Allende. Ma Allende cominciò il suo operato e tutti erano convinti che si sarebbe trattato di un nuovo tipo di governo. IL nuovo spirito fu messo alla prova il primo inverno dopo le elezioni. Il fiume Mapucho era straripato ed intere famiglie rischiavano di essere spazzate via. Succedeva tutti gli inverni: anche se capitava che qualche neonato morisse di freddo o di polmonite, nessuno faceva nulla, a parte un po' di beneficenza, una distribuzione di roba usata e vecchie coperte, e nessuna misura drastica veniva presa per aiutare le vittime e impedire che simili calamità si ripetessero. Adesso però, con un governo popolare, la risposta doveva essere diversa. E lo fu. Le organizzazioni governative, i sindacati e persino le università vennero mobilitati per portare immediato aiuto alle vittime del nubifragio che aveva interessato una vasta area, devastando molte zone povere. Era la prima volta che la tragedia della povertà toccava davvero tutto il mondo, anche quello più privilegiato. Andando avanti col tempo ci furono diversi problemi, soprattutto economici, causati da un embargo internazionale contro il rame del Cile, le cui navi vennero bloccate nei porti europei, impossibilitate a proseguire o a scaricare. In patria, la potente organizzazione dei camionisti entrò in sciopero, apparentemente contro la minaccia di nazionalizzazione e la penuria di parti di ricambio e gomme, ma in realtà in un coordinato tentativo di immobilizzare il paese e rovesciare il governo di Allende. Bloccate le autobotti, la benzina divenne immediatamente oro liquido: per comprarne pochi litri bisognava attendere ore, spingendo a mano l'auto in coda per non sprecarne neppure una goccia. Il cherosene scomparve. Beni di prima necessità, come farina per il pane, latte per i bambini, riso, patate, zucchero, carne e uova, divennero introvabili. Allo scopo di rendere la situazione ancora più critica, i proprietari dei più grandi stabilimenti caseari ordinarono che migliaia di litri di latte venissero buttati via. La risposta all'emergenza fu immediata. Un numero considerevole di proprietari di camion, non aderirono allo sciopero politico e costituirono una propria organizzazione indipendente, la MOPARE; allo scopo di risolvere almeno in parte i problemi. Lavoratori, studenti, insegnanti, artisti e molti liberi professionisti si unirono nel volontario sforzo di contrastare gli effetti dello sciopero. Era giunto poi il momento di nuove elezioni. Victor non solo sosteneva Unità Popolare con le proprie canzoni e dibattiti che da queste nascevano, ma per la prima vlta in vita sua partecipò alla campagna elettorale tenendo comizi. L'opposizione faceva tutto quanto era in suo potere per ottenere una maggioranza di due terzi al Congresso in modo da potere destituire Allende. I risultati furono attesi con ansia. Alla fine risultò che Unità Popolare aveva ottenuto una percentuale di voti ancora più alta di quando era stato eletto Allende. L'opposizione dovette prendere atto di non avere speranza di eliminare Allende con mezzi democratici. In quel preciso momento fu presa la decisione di rovesciare Allende con un golpe militare. Era una minaccia sempre presente. La si vedeva tracciata sui muri: l'eufemistica sigla SACO (Sistema di Azione Civile Organizzata), con la quale si annunciava un'ondata di violenze, e "Arriva Giacarta", allusione al massacro di centinaia di migliaia di comunisti avvenuto in Indonesia nel 1965. In maggio, una delle prime vittime fu un giovane muratore, Roberto Ahumada. Mentre stava partecipando a una pacifica manifestazione contro la violenza e il terrorismo delle destra, era stato colpito a morte da un proiettile che risultò provenire dal tetto della sede della Democrazia Cristiana. Victor fu personalmente colpito da quella morte e scrisse "Cuando voy al trabajo", una canzone d'amore con una premonizione di morte, che esprimeva anche i sentimenti personali di Victor. Il 26 maggio, nella sua casa al mare di Isla Negra, dove si era ritirato a causa della cattiva salute, Neruda venne intervistato dalla televisione nazionale. Nel discorso tenuto allo stadio quando era tornato in patria in dicembre, aveva ricordato a tutti gli orrori sofferti dal popolo spagnolo durante la guerra civile, ammonendoci che c'erano certi cileni i quali trascinare il paese in quello stesso tipo di confronto. "Io ho il dovere poetico, politico e patriottico di mettere in guardia il Cile contro questo incombente pericolo", erano state le sue parole. Adesso il suo messaggio fu ancora più imperioso: Neruda invitò tutti gli artisti e gli intellettuali, dentro e fuori del Cile, a unirsi a lui in un tentativo di allertare la gente sul concretissimo pericolo di un colpo di stato fascista, affinché la popolazione si rendesse conto del reale significato, in termini di sofferenze umane, di una guerra civile, così apertamente definita "inevitabile" da certi settori dell'opposizione. L'intero movimento culturale rispose all'appello di Neruda. Il 29 giugno ci fu un tentativo di golpe militare. Carri armati avanzarono verso il palazzo della Moneda. La sollevazione era limitata a un unico reggimento corazzato, agli ordini di un certo colonnello Roberto Souper. Un piano militare assai più complesso  e ambizioso era stato annullato all'ultimo momento, e solo il reggimento di Souper non ne era stato informato, o forse non aveva obbedito. Le guardie del palazzo si erano mantenute fedeli al presidente e, mentre il reggimento corazzato ribelle si avvicinava ala residenza presidenziale, il generale Carlos Prats, nella sua veste di comandante in capo delle forze armate, era uscito a incontrarlo a piedi, armato solo di un fucile mitragliatore, ordinando la resa agli ufficiali che lo comandavano. Vedendosi isolati, senza l'appoggio previsto, questi avevano obbedito e i carri armati avevano fatto dietrofront per rientrare in caserma, mentre Souper era stato posto agli arresti. La crisi era stata superata e in apparenza le forze armate nel loro complesso si erano mostrate fedeli al governo costituzionale. Tuttavia, ventidue persone erano morte e, tra queste, un fotografo svedese la cui cinepresa continuò a funzionare mentre lui veniva colpito da un ufficiale ribelle. Il film venne recuperato e successivamente proiettato in tutto il mondo. Allende compì un ultimo tentativo per giungere a un accordo con i democristiani, che però non nutrivano più alcun vero interesse per il negoziato, così come non c'era più consenso neppure all'interno di Unità Popolare. Adesso l'estrema destra concentrava i propri sforzi sui militari. La prima vittima fu l'aiutante di campo di Allende, Arturo Araya, assassinato dai sicari alla fine di luglio, mentre si trovava sul balcone di casa sua. Tuttavia, l'ostacolo maggiore per l'attuazione di un golpe era il comandante in capo dell'esercito, il generale Prats. Contro di lui furono mobilitate le mogli di parecchi fra i più autorevoli generali dell'esercito le quali indissero una dimostrazione davanti a casa sua, sventolando piume bianche, coprendolo di insulti e accusandolo di codardia perché non interveniva "a salvare il Cile dal Marxismo". I generali con questa mossa diedero il via all'ammutinamento. La posizione di Prats si era fatta insostenibile, per cui non gli rimase altra alternativa che presentare le dimissioni.

Gli ultimi giorni prima del colpo militare la situazione in Cile era insostenibile. I giornali di destra chiedevano la rinuncia di Allende, l'esilio e insinuavano persino che si dovesse suicidare. Al suo tavolo il presidente diceva: "Non rinuncerò. Non tradirò il popolo. Da La Moneda uscirò alla fine del mio mandato o mi porteranno fuori morto". Ecco il Diario di Joan al momento del Golpe:

11 settembre 1973

Accendo la radio e sento che Valparasio è stata isolata e che ci sono insoliti movimenti di truppe. Trovai Victor nello studio intendo ad ascoltare la radio, e assieme ci rendemmo conto che quasi tutte le stazioni di Unità Popolare venivano zittite, per via delle antenne danneggiate, o perché erano state occupate dai militari, e udimmo una musica marziale sostituirsi alla voce del presidente... "Questa è l'ultima volta in cui sarò in grado di parlarvi... Non mi arrenderò... Ripagherò con la mia vita la lealtà del popolo... A voi dico: sono sicuro che i semi che abbiamo gettato nella coscienza di migliaia e migliaia di cileni non possono venire completamente sradicati... non si sono né crimine né forza abbastanza potenti da arrestare il processo di mutamento sociale. La storia ci appartiene perché è fatta dal popolo..." . Era il discorso di un uomo eroico che sapeva di essere prossimo alla morte, ma in quel momento lo udimmo solo a sprazzi. A un tratto, Victor fu chiamato al telefono... Ascoltare le parole di Allende mi era quasi insopportabile. Victor aveva deciso che doveva recarsi al suo posto di lavoro, l'Università Tecnica. Era impossibile dirsi addio come si deve. Se lo avessimo fatto mi sarei aggrappata a lui senza lasciarlo andare, per cui ci comportammo in maniera disinvolta. "Mamita, sarò di ritorno appena possibile... tu lo capisci, devo andare... non temere". "Ciao"..e, quando tornai a guardare, Victor era scomparso. Ascoltando la radio, tra una marcia militare e l'altra udii gli annunci. Proclami militari che annunciavano che ad Allende era stato rivolto un ultimatum affinché si arrendesse ai comandanti delle forze armate guidate dal generale Augusto Pinochet... che se non si fosse arreso entro mezzogiorno il palazzo della Moneda sarebbe stato bombardato. All'improvviso udimmo un rombo, poi il sibilo di un jet in picchiata, e infine una spaventosa esplosione. Era come trovasi in guerra. Arrivarono poi gli elicotteri, bassi sopra gli alberi del giardino. Dal balcone della nostra camera da letto lividi, fermi in aria, come sinistri insetti, colpire d'infilata la casa di Allende a colpi di mitragliatrice. I vicini sono fuori nel patio, chiacchierano tutti eccitati, alcuni sono affacciati ai balconi per vedere meglio l'attacco alla casa di Allende... hanno in mano bicchieri... una casa sfoggia persino una bandiera... Sentiamo che il palazzo della Moneda è stato bombardato ed è in fiamme.. ci chiediamo se Allende sia sopravvissuto... di questo non dicono niente. Viene imposto il coprifuoco. Avevo ricevuto una telefonata di Victor. Egli era arrivato all'Università. L'indomani il coprifuoco venne tolto solo nella tarda mattinata. Mi consumavo nell'attesa di Victor, tutta tesa a cogliere il rombo dell'auto mentre avanzava sotto il glicine. Calcolavo quanto gli volesse per coprire il tragitto dall'università.. Aspettai, ma Victor non tornò. Attaccata alla televisione, prossima al vomito per quel che mi toccava vedere, scorgendo le facce dei generali che parlavano di "sradicare il cancro del marxismo" dal paese, udendo l'annuncio ufficiale della morte di Allende, vedendo il filmato delle rovine del palazzo della Moneda e della casa di Allende ripetuto all'infinito, con riprese della camera da letto, della sua stanza da bagno (o quel che ne rimaneva) con un "arsenale di armi" che appariva pateticamente scarso considerando che i suoi agenti avrebbero dovuto proteggerlo da attacchi terroristici. Solo a pomeriggio avanzato sentii che l'Università Tecnica era stata conquistata, che i carri armati erano penetrati di mattina entro la cinta universitaria e che numerosi "estremisti" erano stati arrestati. La mia ancora di salvezza era il telefono. Il mattino dopo avevo scoperto che i detenuti dell'Università erano stati portati all'Estadio Chile, il grande stadio in cui Victor aveva tanto spesso cantato e dove si erano tenuti i Festival della canzone. Non ero certa che Victor vi si trovasse. Nel pomeriggio squillò il telefono. Una voce sconosciuta, molto nervosa chiese della companera Joan. "Lei non mi conosce, ma ho un messaggio per lei da suo marito. Io sono appena rilasciato dall'Estadio Chile... Victor è là... mi ha incaricato di dirle che deve stare calma e rimanere in casa con le bambine... che ha lasciato l'auto nel parcheggio davanti all'Università Tecnica, e di mandare magari a prenderla per lei... lui non crede che verrà rilasciato dallo stadio".

Martedì 18 settembre

Circa un'ora dopo che il coprifuoco è stato tolto, sento scuotere il cancello come se qualcuno cercasse di entrare. E' ancora chiuso a chiave... Guardo dalla finestra del bagno e vedo un giovanotto fermo lì fuori. Sembra inoffensivo, così gli vado incontro. A voce bassissima mi dice: "Cerco la companera di Victor Jara. E' questa la casa? Si fidi di me...sono un amico". E mi mostra la sua carta d'identità. "Posso entrare un momento? Devo parlarle". Sembra nervoso e preoccupato. Sussurra: "Sono un membro dei Giovani Comunisti". Apro il cancello per farlo entrare e ci accomodiamo in soggiorno, uno di fronte all'altra. "Mi scusi, dovevo venire a cercarla... Mi addolora venirle dire che Victor è morto... il suo corpo si trova all'obitorio. E' stato riconosciuto da uno dei compagni che ci lavorano. La prego, si faccia forza, deve venire con me per vedere se si tratta proprio di lui... Indossava mutande blu scuro? Deve venire perché il suo corpo è lì già da quasi quarantotto ore e, a meno che non venga richiesto, sarà portato via e seppellito in una fossa comune". Mezz'ora dopo mi ritrovai a guidare con uno zombi lungo le strade di Saniago, con quel giovane sconosciuto al mio fianco. Hector, così si chiamava. L'obitorio era talmente pieno che i cadaveri straripavano in ogni parte dell'edificio, compresi gli uffici dell'amministrazione. Un lungo corridoio molte parte, e sul pavimento una lunga fila di corpi, questi vestiti, certi hanno più l'aspetto di studenti, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta... e lì, nel centro della fila, trovo Victor. Era Victor, anche se appariva esile e macilento.. Che cosa gli avevano fatto per ridurlo in un simile stato in una sola settimana? Gli occhi erano aperti e parevano ancora guardare davanti a sé, intensi e pieni di sfida, nonostante una ferita alla testa e terribili lividi sulla faccia. Aveva gli abiti strappati, i pantaloni abbassati alle caviglie, il maglione tirato fin sotto le ascelle, le mutande blu ridotte a brandelli con un coltello o una baionetta... il torace tutto segnato di colpi e una ferita aperta all'addome. Le mani sembravano pendere dalle braccia con una strana angolazione, come se i polsi fossero spezzati... ma era Victor, mio marito, il mio amante. In quel momento morì anche qualcosa in me. Sentii un'intera parte di me morire mentre me ne stavo lì. Immobile e muta, incapace di muovermi, di parlare. Il giorno dopo il quotidiano La Segunda pubblicò poche righe in cui si annunciava la morte di Victor come se fosse trapassato in pace nel proprio letto: "I funerali si sono tenuti in forma privata, alla presenza dei soli parenti". Poi ai mezzi di comunicazione fu ordinato di non parlare mai più di Victor. Tuttavia, alla televisione qualcuno rischiò la vita per inserire poche battute di La Plegaria, nella colonna sonora di un film americano.

Mi ci vollero mesi, addirittura anni, per mettere insieme qualche frammento di ciò che era successo a Victor nella settimana in cui per me fu disperso. Molte persone non erano neppure in grado di parlare delle proprie esperienze, avevano paura di darne testimonianza, non sopportavano di ricordare. Sotto simili orrende pressioni e sofferenze, la gente perdeva il senso del tempo e persino del giorno della settimana in cui erano accaduti quei fatti. Tuttavia, poco alla volta, raccogliendo le prove da profughi cileni in esilio che avevano condiviso con Victor tali esperienze, che si erano trovati con lui ini quei drammatici momenti, sono riuscita a ricostruire a grandi linee ciò che dovette subire mentre io lo aspettavo a casa. Quando si trovava all'università l'intero campus era circondato da carri armati e truppe. Per tutte le lunghe ore della sera, ascoltando le esplosioni e il pesante fuoco delle mitragliatrici che risuonavano ovunque nel quartiere, Victor cercò di tenere alto lo spirito dei presenti. Cantò e li convinse a cantare con lui. Non avevano armi per difendersi. Il crepitio delle mitragliatrici andò avanti tutta la notte. Chi tentò di lasciare l'università con il  favore delle tenebre venne giustiziato sul posto, ma fu solo all'alba del mattino dopo che l'attacco ebbe davvero inizio, con i carri armati che cannoneggiavano pesantemente gli edifici, danneggiando le strutture, mandando in pezzi le finestre e distruggendo laboratori, attrezzature, libri. Nessuno rispose al fuoco perché là dentro non c'erano armi. Dopo che i carri armati avevano fatti irruzione nell'area universitaria, i soldati procedettero e a radunare tutti i presenti, compreso il rettore, in una vasta radura usata di solito per attività sportive. Colpendoli con i calci dei fucili e con gli stivali, costrinsero tutti a sdraiarsi a terra, le mani dietro la nuca. Victor giacque lì con gli altri, e forse fu uscendo dall'edificio che si sbarazzò della carta d'identità nella speranza di non venire riconosciuto. Dopo essere rimasti lì per più di un'ora, vennero messi in fila e costretti ad andare di buon passo fino all'Estadio Chile, distante sei isolati, fatti segno nel frattempo a insulti, calci e colpi. FU mentre se ne stavano allineati fuori dallo stadio che Victor venne riconosciuto da uno dei sotto ufficiali: "Sei tu quel fottuto cantate, cero?" e lo colpì alla testa facendolo cadere, sferrandogli pi calci allo stomaco e alle costole. Victor venne separato dagli altri e messo in una galleria speciale, riservata a prigionieri "importanti" o "pericolosi". I suoi amici che lo videro da lontano ne ricordano il sorriso radioso che rivolse loro nonostante l'orrore di cui erano testimoni e benché avesse il volto sanguinante e fosse ferito alla testa. Più tardi lo videro raggomitolato sui sedili, le braccia stretta attorno al capo per ripararsi dal freddo pungente. Ci furono vari episodi di violenza assurda verso di lui, per esempio quello di un  uomo, biondo, che camminava tutto impettito, fiero del ruolo che ricopriva Alcuni dei prigionieri l'avevano già soprannominato "Il Principe". Non appena si trovò davanti Victor diede a vedere che l'aveva riconosciuto e sorrise sarcastico. Mimando i gesti di chi suona una chitarra, ridacchiò, quindi si passò rapido le dita da una parte all'altra della gola. Victor rimase calmo e accennò a un gesto di risposta, ma a quel punto l'ufficiale gridò: "Che ci fa qui questo bastardo?". SI rivolse alle guardie che lo seguivano e disse: "Che resti qui. Me ne occupo io personalmente!" Più tardi, Victor fu trasferito nel seminterrato, ci sono vaghe testimonianze della sua presenza in un corridoio, là dove tanto spesso si era preparato a cantare, ma adesso era accasciato a terra, coperto di sangue sul pavimento inondato di urina ed escrementi che fuoriuscivano da un gabinetto. A sera fu riportato nel corpo principale dello stadio, con gli altri prigionieri. Riusciva a fatica a camminare, il viso e la testa insanguinati e tumefatti, doveva avere una costola rotta e avvertiva dolori allo stomaco per i calci che aveva preso. Gli amici gli ripulirono la faccia e cercarono di alleviargli le sofferenze. Uno di loro aveva un barattolo di marmellata e qualche biscotto. Si spartirono quel cibo in tre o quattro, immergendo uno dopo l'altro le dita nella marmellata e leccandone fin l'ultima traccia. Il giorno dopo, venerdì 14 settembre, i prigionieri vennero divisi in gruppi di circa duecento, pronti a essere trasferiti allo Stadio nazionale. FU allora che Victor, ripresosi leggermente, chiese agli amici se qualcuno di loro avesse carta e matita e cominciò a scrivere una lunga poesia. Alcuni dei peggiori orrori del golpe militare ebbero luogo all'Estadio Chile in quei primi giorni, prima che intervenissero la Croce Rossa, Amnesty Internestional o qualche funzionario delle ambasciate straniere. Migliaia di prigionieri vi furono tenuti per giorni e giorni, in pratica senza cibo o acqua, sotto riflettori accecanti sempre accesi così da far loro perdere completamente ogni senso del tempo e persino la consapevolezza del giorno e della notte; tutto attorno allo stadio erano sistemate mitragliatrici che a intermittenza sparavano in aria o sopra la testa dei prigionieri; dagli altoparlanti uscivano sequele di ordini e minacce; il comandante era un uomo corpulento e se ne poteva vedere soltanto la sagoma mentre avvisava che le mitragliatrici erano dette "seghe di Hitler" perché potevano tagliare in due un uomo... e l'avrebbero fatto se necessario. I prigionieri venivano chiamai a uno a uno  e trasferiti da una parte all'altra dello stadio. Riposare era impossibile. La gente veniva spietatamente colpita con fruste e calci di fucile. Un uomo, incapace di sopportare quella situazione, si lanciò dalla balconata e precipitò, morendo tra i prigionieri lì sotto. Altri ebbero crisi di follia e furono uccisi a fucilate davanti a tutti. Come scribacchiò Victor, lui cercava di registrare, affinché il mondo ne fosse informato, qualcosa dell'orrore che era stato scatenato in Cile. Lui era in grado di testimoniare solo sul suo "piccolo angolo di città" in cui erano detenute cinquemila persone; quel che accadeva nel resto del paese poteva solo immaginarlo. Doveva essersi reso conto dalle mostruose dimensioni dell'operazione militare, della precisione con la quale era stata preparata. Ma anche in quelle condizioni Victor continuava a sperare nel futuro, fiducioso che alla fine il popolo si sarebbe dimostrato più forte di bombe e mitragliatrici... e quando arrivò agli ultimi versi, per i quali aveva già in mente la musica ("Com'è difficile cantare quando devo cantare l'orrore"..) venne interrotto. Un gruppo di guardie arrivò a prenderlo, a separarlo da quelli che stavano per essere trasferiti allo Stadio Nazionale. Fece rapidamente scivolare il pezzetto di carta a un companero seduto accanto a lui, il quale a sua volta se lo nascose nelle calze mentre veniva portato via. Ognuno dei suoi amici aveva cercato di imparare la poesia a memoria, in modo da permetterne la diffusione fuori dello stadio. Non videro mai più Victor. Nonostante che una grande quantità di persone venisse trasferita in altri campi di prigionia, l'Estadio Chile rimase affollatissimo perché un numero sempre più alto di arrestati, uomini e donne, continuava ad arrivare. Ho altre due labili tracce della presenza di Victor nello stadio, altre due testimonianze: un messaggio per me, recato da un uomo che gli era stato accanto per qualche ora, nei camerini trasformati adesso in camere di tortura, un messaggio d'amore per le sue figlie e per me; un'ennesima scarica di insulti e colpi: l'ufficiale soprannominato il Principe che sbraita contro di lui, ai limiti dell'isterismo: "Canta adesso, se ci riesci, bastardo!" e la voce di Victor che si leva nello stadio, dopo quei quattro giorni di sofferenza, intonando un verso di "Venceremos", l'inno di Unità Popolare, dopodiché fu pestato a sangue e trascinato via per l'ultimo atto della sua agonia. Lo stadio per il pugilato sorge a pochi metri di distanza dalla principale linea ferroviaria per il Sud che, uscendo da Santiago, attraversa il distretto operaio di San Miguel costeggiando il muro di cinta del Cimitero metropolitano. Fu lì che domenica 16 settembre, di primo mattino, gli abitanti rinvennero sei cadaveri disposti ordinatamente in fila. Tutti presentavano orrende ferite e risultavano mitragliati a morte. Ogni viso venne scrutato nel tentativo di identificare i corpi, e all'improvviso una delle donne gridò: "Questo è Victor Jara!" che da loro era tanto conosciuto e amato. Poi arrivò un furgoncino e ne uscirono degli uomini vestiti da civili.  Da lì il corpo deve essere stato trasferito all'obitorio cittadino, un corpo anonimo destinato a scomparire in una fossa comune. Ma una volta di più fu nuovamente riconosciuto. Dopo tutto questo, il 23 settembre, morì anche Pablo Neruda. Il suo funerale fu annunciato per il 25 settembre. Andare al funerale era impossibile, molto pericoloso. Eppure, centinaia di persone si erano raccolte per rendere omaggio a Neruda, nonostante i soldati allineati in strada, i mitra minacciosamente impugnati, e la polizia segreta che scrutava la folla alla ricerca di facce di ricercati. Si udivano le poesie di Neruda recitate nella folla da una persona dopo l'altra, verso dopo verso, sfidando la minaccia delle uniformi che ci circondavano; si vedevano i muratori di un edificio in costruzione sull'attenti con gli elmetti gialli in mano, alti sopra di noi sui ponteggi; altri facevano ala lungo la strada, benché la folla fosse circondata dai militari. "Levati a nascere con me, fratello" e "Vieni a vedere il sangue nelle strade..": i versi di Neruda assumevano un significato ancora maggiore mentre venivano ripresi da una voce dopo l'altra, affrontano il visibile volto del fascismo. La presenza di decine di giornalisti stranieri, troupe cinematografiche, telecamere, ci proteggeva da aggressioni e interferenze, ma non appena il corteo arrivò all'ultima tappa, la rotonda davanti all'ingresso principale del cimitero, un convoglio di militari blindati avanzò dalla direzione opposta, piegando verso di noi. La folla rispose con grida di "Companero Pablo Neruda, presente ahora y siempre!" "Companero Salvador Allende, presente, ahora y siempre!" "Companero Victor Jara, presente, ahora y siempre!" prorompendo infine nell'Internazionale, dapprima incerta, nervosa, poi sempre più squillante via via che tutti prendevano a intonarla. Fu l'ultima dimostrazione pubblica di Unità Popolare in Cile, la prima dimostrazione pubblica di resistenza a un regime fascista. Mentre assistevamo alla sepoltura temporanea di Neruda (più tardi la salma sarebbe stata spostata in fondo al cimitero, vicino alla tomba di Victor), ascoltando i discorsi sotto un cielo grigio e nuvoloso, molte persone vennero ad abbracciarmi, gente che non conoscevo, amici che non ho mai più incontrato, anche se in seguito ho trovato il nome di almeno uno di loro nelle liste dei desaparecidos.

Questi desaparecidos sono, ovviamente, tutti quelli che erano contro il regime fascista, che furono identificati e uccisi, uno dopo l'altro. I nomi sono stati resi noti, ma lo stato nega che tutto ciò sia mai accaduto, nonostante le madri e i parenti delle vittime continuino a chiedere che almeno sia data loro la verità.

Di seguito ecco l'ultimo scritto di Victor Jara, quello scritto nello stadio, durante la sua prigionia.

 

Ci sono cinquemila di noi/in questo piccolo angolo di città./Noi siamo cinquemila./Mi chiedo quanti siamo in tutto,/nelle città e nel paese intero./ Solo qui/ ci sono diecimila mani che piantano semi/ e fanno funzionare le fabbriche./ Quanta umanità/ esposta a fame, freddo, panico, sofferenza, / pressione morale, terrore e follia?/Sei di noi erano perduti/ come nello spazio astrale./ Uno morto, un altro picchiato come mai aveva creduto/ un essere umano potesse venir pestato./ Gli altri quattro vollero metter fine al loro terrore: /uno saltando nel nulla,/ un altro dando di testa contro un muro, /ma tutti avevano nello sguardo la fissità della morte./ Quale orrore genera il volto del fascismo!/ Eseguono i loro piani con chirurgica precisione. /Niente importa loro. / Per costoro, il sangue equivale alle medaglie, /Il macello è un atto di eroismo./ O Dio, è questo il mondo che hai creato, /a ciò sono serviti i tuoi sette giorni di lavoro e meraviglia?/ Dentro queste quattro mura solo un numero esiste/ che non fa progressi,/ che lentamente non altro desidererà se non la morte./Ma all'improvviso la mia coscienza si ridesta,/e capisco che quest'ondata non ha il battito del cuore,/ solo la pulsazione delle macchine/e i militari che mostrano i loro visi da levatrici/ piene di dolcezza./Messico, Cuba e il mondo intero,/ gridate alto contro quest'atrocità!/Noi siamo diecimila mani/ che non possono produrre niente./ Quanti di noi nel paese intero?/Il sangue del nostro presidente, il nostro companero,/ colpirà con più forza che non le bombe e i mitra!/ così il nostro pugno colpirà di nuovo!/ Com'è difficile cantare/ quando devo cantare l'orrore./L'orrore che sto vivendo,/l'orrore di cui sto morendo./Vedermi in mezzo a così tanti/ e innumerevoli momenti di infinito/ nel quale silenzio e grida/ sono la fine della mia canzone./Ciò che vedo, non l'ho mai visto prima./ Ciò che ho provato e ciò che provo/daranno vita al momento...

Estadio Chile, Settembre 1973

 

Alice (Victor Jara -

una canzone infinita)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TE RECUERDO AMANDA

 (Victor Java)

Te recuerdo Amanda,
la calle mojada,
corriendo a la fábrica
donde trabajaba Manuel.
La sonrisa ancha, la lluvia en el pelo,
no importaba nada, ibas a encontrarte con él,
con él, con él, con él, con él.

Son cinco minutos.
La vida es eterna en cinco minutos.
Suena la sirena de vuelta al trabajo,
y tú caminando, lo iluminas todo.
Los cinco minutos te hacen florecer.

La sonrisa ancha, la lluvia en el pelo,
no importaba nada, ibas a encontrarte con él,
con él, con él, con él, con él.

Que partió a la sierra.
Que nunca hizo daño. Que partió a la sierra,
y en cinco minutus quedó destrozado.
Suena la sirena, de vuelta al trabajo.
Muchos no volvieron, tampoco Manuel.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POESIE

 

 


La Locomotiva

 

Un fischio ed un gran rumore,
e poi del fumo, denso, nero
che si spande nel cielo
sopra la stazione.

Non ci posso credere
e ad un primo sguardo
non sembra esserlo,
ma guardando bene...

Eh, sì! Sembra di stare
dentro uno di quei film,
di un western all'italiana,
ma non ci sono indiani!

Ha solo le vetture
agganciate davanti,
ma è proprio una tipica
locomotrice a vapore,
una vista in tanti film.
Poi guardo le carrozze
e... sembran arrivate
da un'altro pianeta.

Me ne innamoro,
alla faccia dell'alta velocità
e dei treni super comodi,
quello che ho di fronte
è un pezzo di storia
ancora funzionante.

Il macchinista apre una botola
e... eccolo il fuoco!
Non vedo le fiamme,
ma vedo il rosso
del carbone che brucia
e mi immagino tutto.

E' là per una gita
di qualche scuola elementare,
io pagherei per poter andare,
salire su quelle carrozze,
sedermi su quei seggiolini in legno,
per volare con quel treno,
vedere posti fantastici.

Correre veloce in mezzo al niente
e colorare tutto di allegria.

Vorrei tanto salirci,
ma mi accontento
di vederlo partire lentamente
con un fischio...
ma manco quello:
"Tutti in carrozza!"
ora c'è solo un segnale
tra due controllori,
e così la poesia
un poco finisce.

Poi un fumata più nera
e... si parte "tutti in carrozza",
il fischio che ci saluta
e un'ombra che si allontana
perdendosi dentro un'antica nube.

Gianluca
03 maggio 2000
ore 13.26
Siena

 

SENZA TITOLO

 

Sono sola e osservo il cielo offuscato da grigie nubi.

Le montagne riflettono la tristezza dei torti subiti,

non c'è più il sole che da luce ai miei occhi pieni di delusione.

La fredda brezza mi accarezza la pelle quasi volesse consolarmi,

vedo lontano la luna e una stella piccola piccola che gli fa compagnia,

sorrido e ingenua penso che il cielo domani sarà azzurro e che il sole sarà nei miei occhi.

 

 

 

 

SILENZIO

 

Caro amico silenzio, ogni giorno mi esplodi dentro cercando anche tu una parola d'amore.

Ti scorrono nelle vene mari burrascosi, fiumi sgargianti eppur  sei solo,

vicino ai ricordi di chi ti ama, vicino agli occhi sbarrati di chi non ti cerca eppur si ritrova tra le tue immense braccia.

Tu che sospiri tra le labbra di chi si sente perso raffreddando un tramonto acceso sull'amore.

Caro silenzio ogni notte aleggi sul mio cuscino spargendo i semi della solitudine che fioriranno imponenti nella mia vecchiaia.

Forse il mio star sveglia è un cercar di allontanarti ma poi mi ritrovo ad aver bisogno di te e ti cerco scaraventando le ciglia pesanti di lacrime nelle tue mani incolori.

Di nuovo sei qui e di nuovo ti caccerò stanca di te Caro nemico silenzio.

 

 

 

SENZA TITOLO

 

 

Le nuvole vanno e vengono occupano il cielo altrimenti troppo azzurro….

E sono come le occasioni che si affacciano prepotenti di fronte a noi

Spinte dal vento del destino e sono come le emozioni che violente ci

bucano il cuore e lo stomaco facendoci star male ma rendendoci felici di averle vissute.

 

 

Daniela

 

 

BAMBOLE MORTE

 

Occhi neri e bardati di sangue

Simili a candele bruciate.

Facce butterate da ecchimosi e

da una sottile filigrana di putrefazione

pelle che si stacca come merletto sporco di sangue.

Piccole creature che corrono sulla loro pelle

bocca chiusa con il filo chirurgico.

Il nero dei punti che

risalta sul pallore della pelle esangue.

Hanno palpebre cucite

camminano barcollando

nel caos delle illusioni,

procedendo a tentoni,

incapaci di vedere.

Corpi straziati e tendini con pus

braccio mozzato.

Nonostante le bocche cucite

si sentono le grida con cui cadono a terra

Rimangono esanimi a terra

senza occhi né bocche

con corpi consumati  dai vermi della putrefazione,

ma i cadaveri delle bambole

continuano a camminare.

 

 

Sheila (scritta dopo aver letto un libro)

 

SENZA TITOLO

 

Sono infangata nel vuoto

rotta dal desiderio di pace

Ferita e pugnalata da fantasmi viventi.

Sono umiliata, sono deflorata.

Sto crepando nella polvere

Polvere che luccica d'oro.

I miei occhi sono bui.

Bui e mangiati da maledizioni.

Gettami nell'oblio,

nel vuoto infinito

in modo che io possa galleggiare.

Fammi tornare nell'utero,

nella pace che c'è!

Sono stanca, triste e annebbiata.

Gli spiriti bianchi e puri

mi hanno rubato l'anima

uccisa dagli spiriti ubriachi d'odio

e affamati di perdenti.

 

Sheila (esperienza Personale)

 

SENZA TITOLO

 

Figlia del vuoto

figlia nera caduta nel vuoto

figlia mangiata dalla merda

figlia mangiata dai cancri neri

e amata dai gigli e dai giunchi.

Dove hai messo la tua anima?

È volata via, trascinata dal vento scuro

e inseguita da tutte le maledizioni ombrose.

Perché sei triste?

Non lo so.

Sto qua seduta a guardare

e mi sto perdendo nel vuoto della mia anima.

Dov'è la tua vita?

È caduta nel buco di qualche cesso.

Sto annegando

afferrami.

Afferrami ti prego!

Sto precipitando nell'oblio

nel gelo del mio cuore

 

Sheila (esperienza personale)

 

 

METTETEMI IN CROCE

 

Mettetemi in croce amici miei

Se vi piace così

Se vi fa stare meglio.

Oggi non ho scuse

e devo uscirne viva.

È meglio se sto zitta

è meglio se muoio.

Stringiti addosso le tue gioie estreme

non perdere mai le tue foto preziose.

Oggi non ho scuse

e devo uscirne viva.

Mettetemi in croce, amici miei

Se vi piace così

Se vi fa stare meglio.

Ho disegnato un cuore

e ci piangerò sopra.

Ho costruito una scatola

e ci morirò dentro.

Ho disegnato un cuore

e ci annegherò dentro.

Ho costruito una scatola

e ci piangerò dentro.

 

Sheila (esperienza personale)

 

 

SENZA TITOLO

 

È così difficile da capire

che sembra insensibile.

Mi è costato molto sangue

per arrivare quassù

e per questo ora sono anemica.

Non voglio essere come lei

no, non voglio essere come lei,

voglio essere la ragazza pura di prima.

Incapace di mangiare e di dormire

fragile e incerta,

mi rivolgo a Dio.

per non essere come lei.

È così bello

che sembra irreale,

luminosa come un angelo

vado a pezzi

per raggiungere il sogno.

Non voglio essere come lei.

Voglio essere la ragazza pura di prima.

 

Sheila (scritta dopo aver osservato un'amica contaminata da quell'orrida musica            

             commerciale da disco e dal commerciale in genere).

SE

di

Rudyard Kipling

 

Se puoi mantenere la calma quando tutti intorno a te
la stan perdendo ed a te ne attribuiscono la colpa;
se tu puoi fidarti di te stesso quando tutti dubitano di te
ed essere indulgente verso chi dubita;
se tu puoi aspettare e non stancartene,
e mantenerti retto se la falsità ti circonda
e non odiare se sei odiato,
e malgrado questo non apparire troppo buono ne parlare troppo saggio;
se tu puoi sognare e non abbandonarti ai sogni;
se tu puoi pensare e non perderti nei pensieri,
se tu puoi affrontare il Trionfo e il Disastro
e trattare ugualmente questi due impostori;
se tu puoi sentire la verità che hai dette
e trasformate dai cattivi per trarre in inganno gli ingenui;
e vedere infranti gli ideali cui dedicasti la vita
e resistere e ricostruire con istruenti logori;
se tu puoi fare un fascio di tutte le tue fortune
e giocarle ad un colpo di testa e croce
e perdere e ricominciare da capo
e mai dire una parola di quanto hai pensato;
se tu puoi costringere cuore nervi muscoli
a resistere anche quando sono esausti,
e così continuare finchè non vi sia altro in te
che la volontà che dice ad essi: RESISTETE;
se tu puoi crescere in dominio e mantenerti onesto;
o avvicinare i grandi e non disdegnare gli umili,
se nè amici nè nemici possono ferirti;
se ti curi di tutti, ma di nessuno troppo;
se tu puoi colmare l'inesorabile minuto
con sessanta secondi di opere compiute
TUO E' IL MONDO E TUTTO CIO' CHE E' IN ESSO
E QUEL CHE CONTA DI PIU', TU SEI UN UOMO FIGLIO MIO.

 

Sara

 

STO PENSANDO AMORE

 

Stavo ascoltando quella musica

per continuare a ricordare

Senza ricordare.

Tu dormi sull'erba

Sotto nuvole di temporale

in acque pericolose

giù nel profondo

dove tu sogni veramente.

 

Nella mente

pensando amore…

 

Sono un fuoco fitto e grigio

un fuoco d'origine sconosciuta

perché sono pazza di te.

 

Sto' crollando,

non ho bisogno di perdere;

non lasciarmi per il sonno eterno!

 

Sott'acqua…

Sotto cieli azzurri…

Sotto il mio vestito…

 

Ora,

il cielo si squarcia per noi

come un sogno,

ed io imparo una nuova parola

che non avevo mai imparato: FINE.

 

 

Irene

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


       SUI GIOVANI        
    D'OGGI CI    
 SCATARRO SU 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Passatemi questa citazione da un pezzo degli Afterhours.

La mia o meglio la nostra generazione è stata etichettata in tutti i modi possibili, gli invisibili, generazione X, internet generation, chemical generation, MTV generation, e chi più ne ha più ne metta.

Ma di una cosa sono sicuro, guardando il comportamento degli altri coetanei intorno a me, vi do qualche aggettivo per descriverli: menefreghisti, conformisti e superficiali.

In particolare volevo soffermarmi su quest'ultima parola, SUPERFICIALE, sul dizionario, superficialità: con riferimento a valori intellettuali e affettivi, mancanza di contenuti, di approfondimento, d'interiorità..

Esatto, è proprio l'interiorità che ci manca, lo spirito, l'anima non c'è più, l'abbiamo persa, ce l'hanno rubata riempiendoci la testa di cazzate, del tipo indossa quel tipo di jeans starai meglio, spruzzati quel profumo e ti salteranno addosso, tutte cazzate.

Non ne posso più di gente che legge il giornale solo per sapere cos'è IN e OUT in questo periodo (IN O OUT rispetto a cosa? Che cosa significa?), che indossa occhiali da sole anche in discoteca, che si veste da modella perfino per andare a lavorare.

Qualcuno di voi obbietterà, ehi Nongio, è la società che dice che l'immagine è fondamentale, noi che possiamo fare? Tantissimo, se la società dice di buttarsi nel fosso voi non lo fate, vero? Non siete manichini!!!!!!!

Seguitemi un attimo in questo ragionamento, chi basa tutto sull'immagine lo fa perché non essendo sicuro di se vuole offrire un immagine vincente, sotto il vestito niente, e se tutti si fermeranno all'apparenza avrà avuto ragione lui.

Provate a non fermarvi alle apparenze, andate oltre, riscoprite i rapporti umani, andate a scovare quel losco figuro sotto il vestito, vi accorgerete che è la sua parte migliore  e che solo in questo modo potete dire di conoscere davvero una persona.

 

Vi lascio con una frase, secondo me bellissima:

" Non hai mai sentito dire che la bellezza delle cose ama nascondersi" 

(Carmen Consoli)

 

Nongio

 

 

 

 

 

 

 

CONVENZIONE ONU
I BAMBINI
L'HANNO RISCRITTA COSI 

 

 

 

 

 

 

 


Dieci Anni fa la Convenzione sui Diritti del Fanciullo ha coinvolto i paesi del mondo e ha segnato l’inizio di una stagione di attenzione alla cultura dell’infanzia.

Oggi  il telefono azzurro ha riproposto questo tema dando voce ai bambini stessi.

La Convenzione riscritta attraverso disegni , pensieri, riflessioni che hanno la forza di andare oltre l’individualità

Parole che indicano una chiara consapevolezza da parte dei bambini di essere soggetto e non oggetto di diritti. E al tempo stesso offrono un aiuto diretto per sensibilizzare tutti i bambini su un testo, la Convenzione, di importanza storica.

Parole che scrivono un messaggio che non dovremmo mai dimenticare.

Il mondo dell’infanzia va aiutato a crescere nel rispetto dei suoi diritti e nella consapevolezza che costruirà il mondo di domani.

 

Prima parte

 

1 Il bambino (o bambina) è ogni essere umano fino a 18 anni..

2 Gli stati devono rispettare, nel loro territorio, i diritti di tutti i bambini;     

   handicappati, ricchi o poveri, maschi o femmine, di diverse razze, di religione    

   diversa, ecc.

3 Tutti quelli che comandano devono proteggere il bambino e assicurargli le cure   

    necessarie per il suo benessere.

4 Ogni stato deve attuare questa Convenzione con il massimo impegno per mezzo di

   leggi, finanziamenti e altri interventi. In caso di necessita gli stati gli Stati più      

   poveri dovranno essere aiutati da quelli più ricchi

5 Gli Stati devono rispettare chi si occupa del bambino.

6 Il bambino ha diritto alla vita. Gli Stati devono aiutarlo a crescere.

7 Quando  nasce un bambino ha diritto ad avere un nome, a essere registrato e ad avere l’affetto dei genitori.

8 Il bambino ha diritto alla propria identità, alla propria nazionalità e a rimanere sempre in relazione con la sua famiglia.

9 Il bambino non può essere separato, contro la sua volontà, dai genitori. La legge      

   può decidere diversamente quando il bambino viene maltrattato. Il bambino

   separato dai genitori deve poter mantenere i contatti con essi. Quando la   

   separazione avviene per azioni di uno Stato(carcerazione dei genitori, deportazione,

   ecc.) il bambino deve essere informato sul luogo dove si trovano i genitori.

10 Il bambino ha diritto ad andare in qualsiasi Stato per unirsi ai genitori.

      Se i genitori abitano in due Stati diversi il bambino ha diritto a tenere relazioni    

      con tutti e due.

11 Il bambino non può essere portato illegalmente in un altro Stato.

12 Il bambino deve poter esprimere la propria opinione su tutte le cose che lo       

      riguardano. Quando si prendono decisioni che lo riguardano, prima di decidere

      deve essere ascoltato.

13       Il bambino ha diritto di esprimersi liberamente con la parola, lo scritto, il disegno

la stampa, ecc.

14       Gli Stati devono rispettare il diritto del bambino alla libertà di pensiero, di

conoscenza e di religione. I genitori hanno il diritto e il dovere di indirizzare

i figli nell’esercizio dei loro diritti.

15       Il bambino ha il diritto alla libertà di associazione e di riunione pacifica.

16       Il bambino deve essere rispettato nella sua vita privata. Nessuno può entrare in       

      casa sua, leggere la sua corrispondenza o parlare male di lui.

17       Il bambino ha diritto a conoscere tutte le informazioni utili al suo benessere.

Gli Stati devono:

-   far fare film, programmi Tv altro materiale utile per il bambino;

-         Scambiare con gli altri Stati tutti i materiali interessanti adatti per i bambini;

-         Proteggere i bambini dai libri e da altro materiale inadatto per loro.

18       I genitori (o tutori legali) devono curare l’educazione e lo sviluppo del bambino.

Lo Stato li deve aiutare rendendo più facile il loro compito.

19       Gli Stati devono proteggere il bambino da ogni forma di violenza, maltrattamento

       e sfruttamento.

20       Lo Stato deve assistere il bambino che non può stare con la sua famiglia          

Affidandolo a qualcuno. Chi si occupa del bambino deve rispettare le sue abitudini.

21       Gli Stati devono permettere l’adozione nell’interesse del bambino.

L’adozione deve essere autorizzata dalle autorità col consenso dei parenti del bambino. Se l’adozione non può avvenire nello Stato del bambino si può fare in un altro Stato. L’adozione non  deve essere fatta mai per soldi.

22       Gli Stati devono prendersi cura dei bambini rifugiati e aiutarli a ricongiurgersi

      alla famiglia.

23       Il bambino svantaggiato fisicamente o mentalmente deve vivere una vita    

completa  e soddisfacente insieme agli altri bambini.

Gli Stati devono garantire l’assistenza gratuita se i genitori e i tutori sono poveri.

Inoltre il bambino ha diritto ad andare a scuola, a prepararsi al lavoro e a divertirsi.

24       Il bambino deve poter vivere in salute anche con l’aiuto della medicina.

Ha il diritto ad essere aiutato quando ne ha bisogno.

25       Il bambino che è stato curato ha il diritto di essere controllato periodicamente.

26       Ogni bambino deve essere assistito in caso di malattia o necessità economiche tenendo conto delle possibilità economiche dei genitori o dei tutori.

27       Ogni bambino ha diritto a vivere bene. La famiglia ha la responsabilità di nutrirlo, vestirlo, dargli una casa anche quando il padre si trova in un altro Stato e gli Stati devono aiutare le famigli in questo compito se ne hanno bisogno.

 

 

28       Il bambino ha diritto all’istruzione. Per garantirgli questo diritto gli Stati devono

-         fare scuole di base gratuite e obbligatorie per tutti;

-         garantire la scuola superiore e aiutare chi ha la capacità a frequentare.

-         Informare i bambini sulle varie scuola che ci sono.

Gli Stati devono anche controllare che nelle scuole siano rispettati i diritti dei bambini.

29       L’educazione del bambino deve:

-         sviluppare tutte le sue capacità;

-         rispettare i diritti umani e le libertà;

-         rispettare i genitori, la lingua e la cultura del Paese in cui il bambino vive;

-         preparare il bambino ad andare d’accordo con tutti;

-         rispettare l’ambiente naturale.

30       Il bambino che ha una lingua o una religione diversa dalla maggioranza ha il

      diritto di usare la propria lingua e vivere secondo la sua cultura e praticare la sua  

      religione.

31       Il bambino ha diritto di giocare, di riposarsi e di divertirsi. Gli Stati devono 

Garantire a tutti il diritto di partecipare alla vita culturale e artistica del Paese.

32       Il bambino non deve essere costretto a fare dei lavori pesanti o rischiosi per la sua

Salute o che gli impediscano di crescere bene o di studiare. Gli Stati devono approvare delle leggi che stabiliscano a quale età si può lavorare, con quali orari e in quali condizioni e devono punire chi non le rispetta.

33       Gli Stati devono proteggere il bambino contro le droghe ed evitare che sia

       impegnato nel commercio della droga.

34       Gli Stati devono proteggere il bambino dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale.

35       Gli Stati devono mettersi d’accordo per evitare il rapimento e la vendita dei bambini.

36       Gli Stati devono proteggere il bambino da ogni forma di sfruttamento.

37       Nessun bambino deve essere sottoposto a tortura, a punizioni crudeli, alla pena di morte o all’ergastolo. Se un bambino deve andare in prigione, deve essere per un motivo grave e per un breve periodo. In carcere deve essere rispettato, mantenere i contatti con la famiglia e tenuto separato dagli adulti.

38       In caso di guerra i bambini non devono essere arruolati in un esercito se non hanno almeno 15 anni.

39       Se un bambino è stato trascurato, sfruttato o maltrattato anche a causa delle guerra, deve essere aiutato a recuperare la sua salute.

40       Il bambino che non osserva la legge deve essere trattato in modo da rispettare la sua dignità. Gli Stati devono garantire che deve essere ritenuto innocente fino a quando non sia riconosciuto colpevole, dopo un processo .giusto; che la sua causa 

      si faccia velocemente; che non sia costretto a dichiararsi colpevole; che, se non  

      giudicato colpevole abbia il diritto alla revisione della sentenza; che se parla 

      un’altra lingua abbia l’assistenza di un interprete, che sia rispettata la sua privacy, 

      ecc.

41       Gli articoli di questa Convenzione possono non essere sostituiti alla legge dello Stato se essa è più favorevole al bambino

 

Seconda parte

 

42       Gli Stati si impegnano a far conoscere questa Convenzione sia ai bambini che

      agli adulti

43       Gli Stati devono nominare un comitato internazionale che si riunisca 

      periodicamente e controlli se i diritti dei bambini vengano rispettati.

44       Ogni 5 anni gli Stati devono informare il Segretario Generale delle Nazioni Unite

(ONU) e il comitato dicendogli cosa hanno fatto per far rispettare i diritti dei bambini.

45   Le Nazioni Unite possono incaricare organizzazioni specializzate internazionali,   

       come l’Unicef o altri, di controllare come i diritti dei bambini vengano rispettati   

       in tutti gli Stati del mondo.

 

Terza parte

 

46  Questa Convenzione può essere firmata da tutti gli Stati del mondo.

47         La Convenzione deve essere trasformata in legge da ogni Stato.

48         La Convenzione può essere firmata, anche dopo l’approvazione, da qualsiasi altro Stato che si aggiunga dopo.

49         La Convenzione è entrata in vigore 30 giorni dopo che i primo 20 Stati la hanno adottata.

50         Ogni Stato può proporre cambiamenti al testo della Convenzione inviando le proposte di modifica al Segretario Generale delle Nazioni Unite.

51         Il Segretario Generale farà conoscere a tutti gli Stati le osservazioni e i dubbi che ogni singolo Stato ha espresso quando ha adottato la Convenzione.

52         Uno Stato si può opporre alla Convenzione scrivendo al Segretario Generale.

53         La Convenzione è depositata presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite.

54         Il testo ufficiale della convenzione è scritto in arabo, cinese, inglese, francese, russo e spagnolo.

 

Claudio (materiale del Telefono Azzurro)   

 

 

      

     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

APPELLO

 

 

Le notti tormentate che mi rendono uno straccio, sentire l'anima che si ritorce insieme a qualcosa di sconosciuto dentro di se che preme per espandersi come un piccolo rettile in procinto di rompere il suo uovo, come se la mia stessa persona fosse un impedimento.

Il desiderio violento di scrivere, come una pulsione che mi opprime e mi consuma giorno dopo giorno.

Ma cosa? Scrivere cosa? Come?

Avere la certezza della propria strada e non trovare forse la forza e l'audacia, disorientati indugiarci davanti e perdere tempo, e rimandare….. e soffrire come un cane.

Non lasciate vi prego, che la quotidianità vi avvolga in una patina di indifferenza verso gli altri, ma soprattutto verso voi stessi, come una pellicola di cellophane a proteggervi dalla vostra potenziale felicità completa.

Io sono sulla strada della mia "meta", sono in continua lotta con me stessa e per me stessa, ancora ho molto troppo da capire, sapere, realizzare.

Se c'è qualcuno qui che prova o ha provato la mia stessa inquietudine, la stessa mia ansia di vivere appieno la propria vita, e neanche questo mondo che tenta invano di assorbirci in se. 

Se ce l'avete un motivo, il motivo, se la vostra illusione più reale l'avete avuta, o magari l'avete persa già, essendo stata indurita e frantumata dalla noia, vi prego di contattarmi.

Grazie a Claudio e ad Alice.

Grazie a tutti coloro che hanno speso qualche minuto del proprio tempo leggendo questa stupida e sgrammaticata espressione del mio delirio.

 

 

Sara Oliverio

Via della Resistenza, N° 16/A

8890 Crotone (KR)

E-mail: caleuche26@hotmail.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RUOLI E RESPONSABILI DEL PROGETTO TAV

 

L’architettura finanziaria e contrattuale per la realizzazione del progetto TAV è stata definita e attivata nella primavera –estate 1991.

 

All’epoca i responsabili che avevano competenze e ruoli di decisione erano:

· Giulio Andreotti – Presidente del Consiglio

· Paolo Cirino Pomicino – ministro del Bilancio

· Carlo Bernini – Ministro dei Trasporti

 

I responsabili per la definizione e comunicazione sugli assetti sociali e contrattuali erano:

· Benedetto De Cesaris – Presidente Ente FS

· Lorenzo Necci ­– Consigliere delegato Ente FS

· Claudio Portaluri – Presidente TAV S.p.A.

· Ercole Incalza – Amministratore delegato TAV S.p.A.

· Emilio Maraini – Presidente SISTAV Italfer S.p.A.

· Carlo Iammello ­– Consigliere delegato SISTAV Italfer S.p.A.

Fra la primavera 1991 e la primavera del 1992 si definiscono tutti i contratti per la realizzazione del progetto TAV con informazioni e comunicazioni, sia al pubblico che agli organi di controllo in gran parte viziati da “falsi” r comunque privi di riscontri. Tali “falsi” hanno consentito successivamente di articolare un’architettura contrattuale perversa comunque caratterizzata da diversi profili di illegittimità e comunque illogici e sconvenienti dal punto di vista della salvaguardia del pubblico interesse.

L’architettura finanziaria e contrattuale del progetto è stata presentata in forma solenne con una conferenza stampa il 7 Agosto del 1991 alla quale hanno partecipato in forma ufficiale, oltre alle persone prima menzionate, quali interlocutori contrattuali:   

• Cesare Romiti – Amministratore delegato FIAT S.p.A.

• Franco Nobili – Presidente IRI

• Gabriele Cagliari – Presidente ENI

In tale occasione vennero presentati oltre al ruolo di FIAT, IRI, ENI quali General Contractors, i consorzi realizzatori delle tratte costituiti e o in via di costituzione.

I contratti presentati definiti all’epoca con prezzi: “CHIUSI” prevedevano un costo complessivo di 26.180 miliardi per i quali si disse , il 50% veniva coperto con i finanziamenti PRIVATI. Contestualmente nella stessa occasione venne presentata la TAV S.p.A. costituita due settimane prima per la quale venne pure indicata la maggioranza privata della sua composizione societaria.

Come vedremo sia la maggioranza privata di TAV sia il finanziamento privato delle infrastrutture erano in quel momento semplicemente inesistenti , come pure: i costi, la funzione dei GENBERALK CONTRACTORS, il ruolo e i compiti di TAV, come quello dei CONSORZI REALIZZATORI si sono rivelati successivamente privi di riscontri e comunque diversi da quelli pubblicamente presentati. 

In presenza di presupposti falsi o inesistenti l’architettura finanziaria e dunque i contratti impongono atti e provvedimenti conseguenti da parte degli attuali responsabili. In assenza dell’adozione di provvedimenti ed atti, ritenuti dai sottoscritti DOVUTI si segnala chi oggi ricopre incarichi di competenza:

• Romano Prodi – Presidente del Consiglio

• Claudio Burlando - Ministro dei Trasporti

• Azeglio Ciampi – Ministro del Bilancio 

 

per quanto concerne le responsabilità politiche di controllo ed indirizzo:

• Claudio Dematte – Presidente FS S.p.A.

• Giancarlo Cimoli – Consigliere delegato FS S.p.A. 

• Giancarlo Cimoli – Presidente TAV (fino ad aprile 1998)

• Umberto Bertele – Presidente TAV  ( da aprile 1998)

• Roberto Renon – Amministratore delegato TAV

• Vido Livio – Presidente Italfer SISTAV S.p.A.

• Carlo Ianniello – Vice Presidente Italfer SISTAV S.p.A.    

per quanto concerne le scelte economiche, finanziarie, tecniche nel rapporto con i fornitori privati.

Si segnala infine che fra il 1991 ed il 1997 l’Ente FS e la FS S.p.A. ha fra gli altri, nominato come GARANTI dell’Alta Velocità:

• Romano Prodi (Tratte)

• Susanna Agnelli (Nodi)

• Sergio Pininfarina (Tratte – Nodi)

I quali hanno assunto tale ruolo (del quale sfugge la reale portata) in condizioni di dubbia compatibilità (conflitto d’interessi) in relazione ai contratti e/o rapporti economici realizzati dalle diverse società pubbliche coinvolte rispettivamente con le società:

• Nomisma

• FIAT

• Pininfarina

 

   Costi complessivi dei contratti a prezzi chiusi per l’Alta Velocità.

RO – NA (tratta)

3.900

FI – BO

2.100

BO –MI

2.900

MI – TO

2.100

MI – VR

2.200

VE – VR

1.700

GE – MI

3.100

RO – FI

100

Totale Tratte

18.100

Totale Nodi

2.080

Materiale Rotabile

4.800

Linee Aeree

1.200

Totale Generale

26.180 (miliardi)

 

 

 

 

 

CHI PAGHERÀ TUTTO QUESTO ?

 

Breve storia delle previsioni di spesa del progetto Alta Velocità

 

Importi in miliardi di lire

 

Anno

1991

1994

1996

1997

1999

Tratta Milano - Bologna

2.900

4.595

6.045

8.750

9.225

Totale Torino – Napoli

11.000

17.381

24.034

33.790

40.000

Totale Generale

20 080

30.231

49.60

72.600

?

 

Mi sorge spontanea una domanda, ma questi soldi dove vanno a finire?

Davvero tutti in questo progetto, non ci crede nessuno, preparatevi ad una nuova tangentopoli.

 

Possibili profili di illeciti nelle relazioni contrattuali.

Governo

      |

Contratto di programma                                      falso in atto pubblico e truffa ai danni 

      |                                                                      dell’Europa.

FS S.p.A.

      |

Concessione di progettazione                               abuso e truffa ai danni dello Stato

Costruzione e sfruttamento economico

Delle infrastrutture per l’Alta Velocità

      |

TAV S.p.A.

      |

SUB-concessione di progettazione                        abuso e truffa ai danni dello Stato

e sola costruzione

      |

FIAT S.p.A.

      |

SUB-SUB-Concessione di                                       subappalto illegittimo

Progettazione e sola costruzione 

      |

CAVET

(BI- FI)           

|

Affidamenti e appalti                                               appropriazione indebita                                                              

 

                                                                             Claudio (Materiale dell’Associazione

                                                                                            Regionale “Davide”)

Chi ha paura del terremoto?

 

22/8/2000

E' passato esattamente un giorno dalla scossa di terremoto del 21 agosto. É fin troppo facile pensare che sia stato solo un brutto sogno. Grazie tante, non ci sono stati danni a persone e pochissimo a cose, prova    un po' a chiedere ai terremotati dell'Umbria se il giorno dopo avevano già dimenticato tutto. Eppure comunque è stata un'esperienza che non dimenticherò facilmente. Lo dico perchè ho appena dato accidentalmente un colpo al tavolo e vedendo lo schermo tremare mi è saltato il cuore in gola. Non so se quello che sto scrivendo avrà un senso logico, certo se lo facessi come tema scolastico prenderei un voto sotto zero, ma voglio scrivere lo stesso. Penso che un'esperienza come questa può servire. E molto. A migliorare se stessi. Perchè a leggere una notizia sul giornale o a vederla al telegiornale perde completamente credibilità. Stamattina, quando ho aperto "La Stampa" e ho visto "Il monferrato epicentro del terremoto" sono rimasto freddino. Ma quando ho letto dell'ultima ( speriamo bene ) scossa questa notte alle tre mi sono ricordato di averla sentita, nel dormiveglia, e la presenza nel ricordo del sordo russare di mio padre proveniente dall'altra stanza mi ha fatto rendere conto di non essermi sognato niente. E il bello è che ieri sera, alle 7.15, mentre cenavamo, stavamo parlando proprio del terremoto. Mamma diceva che la zia aveva sentito una piccola scossa quella mattina... d'improvviso la cucina comincia a traballare e un sordo e martellante rumore invade la casa. Papà urla qualcosa, come nei film: « Fuori!! »

Quelle che si susseguono sono una serie di immagini velocissime, come fotografie scattate in sequenza da una macchina fotografica all'interno della mia testa. Con un balzo sono sul balcone, ma da solo. Nella frazione di secondo in cui mi chiedo dove sono i miei li vedo sbucare dalla porta della cucina, sono usciti di lì ma la mamma credeva che fossi rimasto indietro e ha esitato per cercarmi. Capisco che anche loro hanno intenzione di uscire e mi butto giù dalle scale. Vedo solo più due gambe lunghissime quasi sollevate da terra ( le mie ) e in un batter d'occhio sono in fondo, spalanco la porta con un colpo secco ( non ho il minimo ricordo nè della mia mano che gira la chiave nè del movimento della maniglia ) e siamo fuori. Pochi attimi dopo, forse subito, la scossa cessa. Papà chiama la nonna che esce spaventata. Entro un quarto d'ora arriva il nonno in vespa, era andato a giocare a bocce, tutto tranquillo e da buon rompiscatole comincia a prenderci in giro:

« Come se fosse successo chissà che cosa! »

 

10/09/2000

Seconda parte, tipo i diari di viaggio, nota divertente in mezzo ad un discorso decisamente poco comico. Il tempo è passato, la vita di tutti i giorni ha preso il sopravvento ed il ricordo del terremoto è in un angolo della mia testa, pronto a balzare fuori come un ragno in attesa di una mosca nella sua ragnatela ogni volta che passa un trattore e fa tremare i vetri delle finestre. Ho sentito l'altro sabato il rumore del terremoto leggero, quasi lontano. É stato però divertente ( solo visto in restrospettiva ) venerdì sera, ero in chat con Alice e Fra. Mi alzo in piedi un secondo per spegnere la luce e vedo i muri che si muovono, papà è all'altra estremità del corridoio e anche lui se ne accorge.

- Questa volta lo è -

Usciamo fuori rapidamente ma è già tutto finito. I media non ne hanno ancora detto niente, evidentemente non interessa più a nessuno, soprattutto dopo che il menagramo scienziato russo ha cannato clamorosamente la previsione ed è tornato in patria con la coda tra le gambe. 

Il divertente è che quando sono tornato al computer e ho scritto che c'era stato il terremoto, la cara Alice non ha nemmeno pensato che potessi dire sul serio, e per farglielo credere l'ho caricata di insulti per un paio di minuti buoni. Scherzi della chat.

 

                                                                                                                                                                    FULVIO

 

 

 

RECENSIONI CINEMATOGRAFICHE

 

RADIOFRECCIA

Raccontata dal suo DJ Bruno (Luciano Federico), RadioFreccia è la storia di una delle tante radio private nate a metà degli anni ’70, Radio Raptus, che sarebbe diventata RadioFreccia in ricordo di uno dei protagonisti della vicenda, Freccia (Stefano Accorsi), che insieme a Bruno, Tito, Iena e Boris aveva trovato nella radio la sua seconda casa (la prima era il bar del paese).

Siamo nel 1993, la radio chiude dopo diciotto anni di attività, e Bruno vuole spiegare il perché di quel nome e la storia di quei primi avventurosi e indimenticabili anni trascorsi in quel mondo, incerto fra città e campagna, tipico della Correggio città natale del Liga e naturale ambientazione della vicenda. L’esordio alla regia di Ligabue, consigliato e guidato da Antonello Grimaldi (Juke box -1983 e Il cielo è sempre più blu - 1996), si basa su due racconti del suo libro "Fuori e dentro il borgo", da lui stesso sceneggiati insieme ad Antonio Leotti. Se ci si chiede cosa abbia spinto uno dei più creativi cantanti rock italiani a cimentarsi nella non facile impresa di girare un film, la risposta è probabilmente nella voglia e nel bisogno di raccontare storie vissute e a lui molto care. Ligabue pesca nella memoria personale e ricostruisce in modo genuino, senza retorica, l’epopea di un periodo in cui le radio erano veramente "radio libere", raccontando con tono fresco e spontaneo le gioie, i problemi e soprattutto i drammi (quello della droga in primis) vissuti dai giovani di quel periodo, che non sono poi molto diversi da quelli dei giovani d’oggi. Ne esce un film di tipico stampo giovanilistico, asciutto e sincero nel ricostruire le contraddizioni di una generazione cresciuta con la musica angloamericana, anche se a volte un po’ ambiguo nello schematizzare i personaggi e contraddistinto da qualche virtuosismo registico di troppo, lasciando forse intendere che non si è ben capita la differenza fra stile personale e semplice uso di buone tecniche cinematografiche. Piuttosto a disagio con la recitazione Francesco Guccini, anche se la sua immagine carismatica contribuisce indubbiamente a ricostruire l’atmosfera anni ’70 della provincia emiliana. Ciò non toglie che il film sia riuscito, considerando anche che si tratta di un’opera prima, soprattutto anche grazie, e come non poteva essere altrimenti, alla bellissima colonna sonora: due i brani di Ligabue (Ho perso le parole e Metti in circolo il tuo amore) uno di Guccini (Incontro) ed abbondanza di pezzi di leggende musicali quali Lou Reed, David Bowie, Iggy Pop e molti altri.

 

 

Ragazze interrotte

Siamo nel 1967 e la diciassettenne Susanna Kaysen (Winona Rider, "Celebrity") si comporta come tutte le altre adolescenti sue coetanee: confusa, insicura e impegnata a dare un senso al mondo in continua evoluzione che ha intorno. Ma lo psichiatra che la visita per ordine dei genitori, dà a questo comportamento un nome preciso: disturbi della personalità che si manifestano attraverso l'incertezza riguardante la propria immagine, gli obiettivi a lunga scadenza, le amicizie e gli amori da avere e i valori da adottare. Così, dopo questa diagnosi, decide di non preoccuparsene più mandando Susanna al Claymoore Hospital. Qui conosce Lisa (Angelina Jolie, in sala con "Il collezionista di ossa") un'affascinante sociopatica, Daisy (Brittany Murphy, "Ragazze a Beverly Hills"), una figlia di papà viziata e con la passione per i polli allo spiedo e per i lassativi e Polly (Elizabeth Moss, "Una cena quasi perfetta") una ragazza con il viso ustionato ma con il cuore incredibilmente privo di cicatrici. Alla fine Susanna dovrà decidere fra il mondo di coloro che vivono all'interno dell'istituto e quello al di fuori di esso, sotto la guida di un'infermiera "quadrata" come Valerie (Whoopi Goldberg, di recente in "Benvenuta in paradiso") e del primario di psichiatria dell'ospedale, la dottoressa Wick (Vanessa Redgrave, vista di recente in "Deep impact"). Diretto da James Mangold, il film è tratto dalle memorie di Susanna Kaysen sui suoi due anni trascorsi al Claymoore, dove analizza i confini tra l'essere libero e l'essere rinchiuso, tra amicizia e tradimento, tra follia e sanità mentale. In un cast eccellente dove spiccano alcuni premi Oscar come Whoopi Goldberg e Vanessa Redgrave, o candidate come Winona Ryder, fa la sua splendida parte anche, e soprattutto, Angelina Jolie che è stata premiata con l'Oscar come miglior attrice non protagonista.

 

 

Tutto l'amore che c'è

Puglia, metà degli anni '70. Carlo (Damiano Russo) è un ragazzo di sedici anni molto ambizioso. Suona in un gruppo musicale, ama una sua compagna di scuola ed è in continuo conflitto con il padre Pietro (Sergio Rubini, "Nirvana", attualmente nelle sale con "Mirka"), impiegato postale con la mania di mettere in scena ogni anno drammi in costume tra l'ilarità dei paesani. È il più piccolo del gruppo e vorrebbe diventare come i suoi amici ventenni: estroso come Enzo (Francesco Cannito), intelligente come Vito (Pierluigi Ferrandini) e seducente come Nicola (Michele Venitucci), del quale invidia soprattutto lo splendido rapporto che ha con Maura (Teresa Saponangelo, "Ferie d'agosto", "I vesuviani"). Tutto però cambia con l'arrivo di tre ragazze dal nord, Tea (Alessandra Roveda), Gaia (Vittoria Puccini) e Lena (Celeste Pisenti), figlie di un ingegnere mandato in paese ad ultimare gli impianti di una fabbrica che promette lavoro. Le ragazze sembrano appartenere ad un altro mondo per il loro modo di fare, di vestirsi, per il loro linguaggio. E con loro iniziano una serie di cambiamenti: Nicola è attratto da Gaia e rompe con Maura, Vito si innamora di Tea ed è disposto a partire con lei e lasciare l'università e la sua attuale ragazza, e anche Carlo si invaghisce di Lena, la più piccola del gruppo salvo poi capire che anche suo padre ne è rimasto incantato tanto da inserirla attivamente nel suo spettacolo. Lentamente franano i vecchi solidi terreni e anche il gruppo con il quale Carlo si esibisce è diventato più ambizioso e lo ha sostituito con un altro tastierista. Ma quando tutto sembra perduto, nel corso della recita finale Carlo si accorge di saper incantare il pubblico attingendo alla propria sofferenza per dar forza alle povere battute che è costretto a recitare. Il film è diretto da Sergio Rubini (tre anni dopo "Il viaggio della sposa"), presente anche nel cast con Margherita Buy e Gerard Depardieu tra i pochi ad aver avuto esperienze cinematografiche visto che tutti gli altri protagonisti sono stati scelti tramite provini fatti a Bari (per i ragazzi) e a Milano (per le tre ragazze provenienti dal nord Italia). Importante ruolo nel film riveste anche la musica, non solo perché i protagonisti amano suonare, ma anche perché funge da elemento di aggregazione tra le ragazze (che ascoltano Led Zeppelin, Santana, Genesis) e i ragazzi del paese.

 

 

Claudio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RECENSIONI LETTERARIE

 

"Cronache Marziane" di Ray Bradbury

Questo libro è il primo romanzo di successo e, probabilmente il più noto da Ray Bradbury. Più che un romanzo è un raccolta di racconti brevi, nati da ispirazioni diverse e qui riuniti dal filo conduttore dell'ambientazione marziana. È la cronaca della faticosa conquista del pianeta Marte, della colonizzazione e della distruzione della terra in seguito allo scoppio della guerra totale. L'azione si svolge tra il 1999 e il 2026 l'anno dell'olocausto atomico. I protagonisti sono da una parte astronauti e civili statunitensi, dall'altra marziani in via di estinzione. Nel racconto "Ylla", malinconico e grottesco, la prima spedizione terrestre viene distrutta da un marito marziano geloso. A un successivo tentativo falliscono nuovamente gli sforzi degli esploratori, coinvolti in un terribile malinteso, poiché vengono creduti pazzi e rinchiusi in un manicomio locale. Bradbury interviene con il suo abituale sarcasmo ad annullare il prevedibile pathos dell'incontro tra due civiltà e a trasformarlo in una tragedia ridicola. In un racconto successivo "La terza spedizione", il capitano e l'equipaggio, sbarcati su Marte, incappano in una sorta di paradiso, abitato da tutti i loro amati defunti.  In realtà si tratta un'astuzia dei telepatici marziani che suggestionando le menti terrestri, si trasformano in mogli, padri, madri per ingannarli e distruggerli tutti. "Su negli azzurri spazi", è un racconto decisamente antirazzista, infatti tutti, ma proprio tutti i neri d'America decidono in una afosa giornata estiva di prendere i razzi costruiti con i loro risparmi e di andare su Marte, lasciando i bianchi razzisti, accecati dalla rabbia, con un palmo di naso. Infine concludo con uno splendido omaggio ad E.A.Poè, uno scrittore che Bradbury ama moltissimo; si tratta di "Usher II", nel quale si rinnova l'atmosfera funebre e l'epilogo dell'originale.

 

Claudio

  

 

CENT’ANNI DI SOLITUDINE – GABRIEL GARCIA MARQUEZ

 

Cent'anni di solitudine è il libro più famoso della letteratura sudamericana con cui G. G. Márquez vinse, nel 1982, il premio Nobel.  Nei modi delle narrazioni e delle mitologie familiari, mescolando realtà e leggenda, verità e fiaba il libro svolge la saga fantastica e paradossale dei Buendía, nell'arco di sei generazioni, sullo sfondo dell'immaginario ma emblematico paese di Macondo.  La famiglia è oppressa dalla superstiziosa paura di generare un figlio con la coda di maiale, poiché il capostipite e fondatore della città, José Arcadio, contravvenendo alle leggi di natura, ha sposato la cugina Ursula.  Un destino di decadenza minaccia d'altra parte tutto il paese da quando, uscendo dal suo isolamento per entrare in contatto con la Storia, Macondo comincia a conoscere la violenza e lo sfruttamento, le guerre ed il colonialismo, la miseria ed il sottosviluppo.  A tal proposito "tante incertezze... tante lusinghe e sventure, e tanti cambiamenti, calamità e nostalgie" porteranno alla tranquilla cittadina i tentativi di apertura al mondo esterno fatti da José Arcadio Secondo e da Aureliano Triste: "La zattera di tronchi"1, che trasporta "un gruppo di splendide matrone francesi, le cui arti magnifiche cambiarono i metodi tradizionali dell'amore" rappresenta infatti il "primo e ultimo battello che mai attraccò nel villaggio". Medesima funzione ha "l'innocente treno giallo"2, veicolo di mutamenti e sventure nella regione.  Inoltre, pur con una veste fiabesca, il romanzo rimanda alla realtà storica dei Paesi latino-americani, sconvolti, assoggettati e annientati dall'imperialismo dei Paesi moderni e tecnologicamente avanzati come gli Stati Uniti, dilaniati dalle guerre civili, oppressi dalle dittature, condannati al sottosviluppo economico o addirittura cancellati nelle loro antiche culture e tradizioni indigene.  Come scrive Dario Puccini, "in Macondo, García Marquez non solo incarna il ricordo del suo paese natale Aracataca - oggi desolato ed un tempo luogo dello splendido benessere portato dalle piantagioni di banane - e quello della grande casa avita affollata di esseri reali e fantasmi, ma cifra anche i connotati di persistenza del mai scomparso e aggrovigliato e quindi ossessivo colonialismo.  E in Macondo, come una sineddoche, vede in sintesi - microcosmo che rispecchia un macrocosmo - le vicende di memoria e di oblio, di speranza e di disperazione nelle quali si dibatte un universo che soffre di cento anni e più di solitudine e di arretratezza"3.  I temi della narrativa del nostro scrittore sono tutti desunti dal mondo latino-americano: il suo impatto con la civiltà moderna, la resistenza alle forze esterne che lo sovvertono e lo sfruttano, la sete di giustizia, l'attaccamento disperato alla propria identità.  Di questo mondo egli spesso coglie gli aspetti più originari, che magari ai nostri occhi possono risultare primitivi ed incredibilmente insoliti, sostituendo una realtà oggettiva ad uno spazio fantastico e rappresentando un impasto narrativo sempre ai limiti dell'onirico.  Macondo potrebbe così divenire un'illusione, fondata nel posto immaginato da José Arcadio.  Così del resto si esprime lo scrittore: "Quella notte José Arcadio sognò che in quel luogo sorgeva una città rumorosa"4, sparita in un "vortice di polvere"5.  Bisogna poi affermare che il ritmo ciclico e iterativo della narrazione è una caratteristica fondamentale che crea un tempo ed uno spazio immaginari. Si può parlare pertanto di "realismo magico"6 o di "reale meraviglioso"7 per sottolineare l'esuberanza di fantasia, il simbolismo, il complesso gioco di piani cronologici, l'accostamento di spunti che sanno di mitologico a particolari di crudo verismo. Ne risulta uno stile personalissimo, che ci riporta alla cultura sudamericana, connotato sempre di aspetti altamente suggestivi ed incantati. Fiabesco è, per esempio, il tempo che non procede, ma si ripete in sequenze sempre uguali protraendo le vite degli uomini fuori dai loro limiti naturali. Notano infatti Ursula e Pilar Ternera, le due matriarche, legittima e illegittima, della stirpe: "È come se il tempo continuasse a girarci in giro e fossimo tornati al principio8". D'altra parta la "storia della famiglia era un ingranaggio di ripetizioni irreparabili9".  Fiabeschi sono i personaggi che non hanno nulla di naturalistico, ma rappresentano, esasperandoli e ingigantendoli, alcuni caratteri umani: Ursula raffigura, per esempio, la laboriosità della matriarca; il colonnello Aureliano la violenza; Remedios la purezza. Favoloso è pure lo spazio che nasce dalla trasfigurazione dei ricordi e che sconvolge le fila del tempo. Da un lato troviamo infatti "l'irrompere della fantasia nel passato di ognuno, via via che questo si cancella10", dall'altro le ricorrenti proiezioni: "Molti anni dopo di fronte al plotone d'esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato... 11". Cosí nel romanzo, presente, passato e futuro si mescolano liberamente in un gioco di anticipazioni e dilazioni che stravolgono l'ordine cronologico, e forse anche logico, con cui i fatti accadono. Vi sono "due tipi di tempo: un tempo mentale, che scavalcando gli anni congiunge momenti di piú intensa coscienza, ed un tempo - calendario, soggetto a regolari misure12".  Il Todorov definisce questa scelta di poetica che G. Márquez compie sugli sviluppi cronologici della vicenda "proiezione13"; sostiene infatti che "le numerose prospezioni non sono un gioco sapiente con il tempo, bensí strumenti della comprensione del presente".  Il tempo nel romanzo ha dunque un valore emblematico. La fine ed il principio si confondono, definendo un perfetto circolo, una "parabola visionaria dell'ascesa della rovina di una civiltà o di una città, una sorta di Babele"14.  I Buendía e Macondo sono infatti un'allegoria della condizione umana, condannata alla solitudine dal fatto di non poter conciliare le proprie tradizioni con una cultura scientifico-razionalistica.  "La mitologia che si inventarono i Buendía e la storia che essi hanno sofferto sono il nostro comune patrimonio. La Sacra Scrittura che ce li trasmette, le pergamene di uno zingaro prodigioso, non fa nessuna differenza tra il pianeta, l'America Latina, la Colombia, Macondo-Aracataca. Nel suo spazio di fiaba sono contenuti, cristallizzati tutti gli spazi15".  Per concludere mi sembra opportuno rilevare che, nell'epopea di Gabriel García Márquez, fra realismo e magia si può proiettare e collocare il destino di tutti gli uomini.  Per questo, trascende i limiti geografici e si concentra in una visione della vita valida per tutti il suo chiaro e forte messaggio, che è nel contempo un'amara e cruda constatazione: la civiltà e il progresso sottraggono all'uomo la sua intima armonia e semplicità.

CLAUDIO – DA INTERNET

 

 

 

DELL’AMORE E DI ALTRI DEMONI- Gabriel Garcia Marquez

 

C’è chi dice che le storie d’amore si assomigliano tutte, tutti però sono pronti a giurare che la propria sia unica nella storia dell’umanità. L’amore si manifesta nelle forme più disparate e spesso la nostra morale ci porta a definire ciò che niente altro è se non un sentimento purissimo, come aberranti distorsioni della natura umana. L’unione che può nascere tra una bambina che si affaccia alla pubertà ed un uomo maturo, per di più di Chiesa, non può che essere giudicata che con attributi negativi, ma Marquez in questo suo capolavoro scava non solo negli animi dei protagonisti, ma si addentra sino alla radice comune a ciascuno di noi, costringendo il lettore a schierarsi dalla parte dei perseguitati. La lunga chioma che accompagna la protagonista per tutto il racconto, sin oltre la morte, rappresenta il punto d’incontro del candore tipico dell’età della protagonista con la sensualità dolce ma sempre irrequieta e intrigante che viene sprigionata lungo tutto il racconto. Un vero e proprio filo di Arianna che guida l’animo di chi si appresta a leggere le vicende, verso un autentico sentimento di compassione. L’analisi delle cause moventi, attraverso l’inconfondibile stile dello scrittore colombiano, porta inevitabilmente alla totale approvazione delle più indicibili azioni. Leggere questo libro significa estendere la visione quotidiana delle vite altrui, significa quindi apprendere il porsi dai vari punti di vista, superando quindi quell’insulsa barriera che, fungendo da paraocchi, ci costringe a giudicare negativamente tutto ciò che è diverso, o che più semplicemente tutto ciò che non riusciamo a capire. Noi tutti a causa degli stereotipati canoni di giudizio potremmo essere accomunati a quei personaggi di contorno che interpretano una ribellione alla quotidianità come l’essere posseduti da una forza demoniaca travisando in negativo ciò che non riusciamo a capire, ignorando ingiustamente quelle che sono le reali cause motrici. Personaggi che dovrebbero rappresentare la bontà pur facendo il loro dovere vestono abiti da persecutori, mettendo tutto l’apparato di una società abbastanza evoluta in una vera e propria crisi di identità. Qualcuno potrebbe anche chiedersi se l’amore stesso sia un’invenzione demoniaca  poiché la carica che scaturisce dall’avvicinarsi di due anime tormentate è così forte da non lasciare dubbi sulla natura oscura e indecifrabile del nobil sentimento. Una storia d’amore senz’altro condizionata dal contorno storico ma attualissima, le cui metafore che infatti si possono ricavare sono innumerevoli e incredibilmente quotidiane. Chi legge questo libro deve necessariamente estendere la propria visione, la sua lettura è sconsigliata a colore che hanno paura di mettere in discussione la normalità, la consigliamo invece a chi non pone limiti all’energia che l’amore può fornire ai fortunati (o sfortunati!) prescelti. Questo romanzo è inoltre consigliato ai lettori dal palato fine e sempre disposti ad apprezzare una gemma di uno dei più floridi autori della narrativa mondiale del novecento.

 

Claudio – Da internet

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RECENSIONI MUSICALI

 

The Doors - Omonimo(1967)

Quest'album vive nel nome del rock blues e della fortissima personalità individuale dei componenti del gruppo.  

Morrison su tutti: con una prestazione vocale incalzante che fa di ogni canzone un piccolo pezzo di teatro, riesce a dare corpo e credibilità alle sue liriche immaginifiche visionarie. Ma gli altri non fanno certo tappezzeria: l'organo ripetitivo di Ray Manzarek, la chitarra accarezzata nervosamente da Rob Krieger, e la batteria tutta sussulti di John Densmore.

Il vertice artistico dei Doors prima fase era rimane The end, consegnata direttamente dal vinile all'olimpo del rock. In undici minuti intensi a drammatici, Morrison racconta, in tono quasi da tragedia greca, una a storia a dir poco.

Alle prese con freudiano complesso di Edipo, Jim canta il parricidio e l'incesto senz'altro compiacimento che quello di mettere a nudo la propria anima angosciata.

The end, che era costata al gruppo il licenziamento dal Whisky a Go-go (il primo locale dove si esibirono) a causa del suo tema scabroso, fu il primo mattone "scandaloso" con cui venne costruito il mito del quartetto.

Light my fire, secondo mattone scagliato dai Doors contro il comune buon senso, arriva al primo posto nella hit-parade americana dei 45 giri, in una versione ridotta rispetta a quella contenuta nell'album(da oltre sei minuti e mezzo a due minuti e mezzo). Attraverso ripetuti passaggi radiofonici diviene in breve il brano più conosciuto dei Doors uno degli inni dei giovani anticonformisti.

Mentre The end mescola sesso e senso di morte in maniera pressoché indistricabile, Light my fire,  con il suo testo breve e a doppio senso, libera esclusivamente le energie sessuali ed è l'esempio, anche musicalmente, del lato più vitale ed energico dei Doors.

 

Black Sabbath - Omonimo     

Quest'album datato (1970) è stato inciso in soli due giorni, con una spesa totale di 600 sterline. L'LP rifletteva fin troppo chiaramente gli interessi del gruppo nei confronti del blues, risultando alla resa dei conti, ancora abbastanza lontano dalle future caratteristiche heavy.

Una serie di sovraincisioni accuratamente scelte (un rumore di pioggia e lampi, opprimenti rintocchi di campane) di "Black Sabbath" lo rendevano e lo rendono tuttora un gioiello di raro fascino, dall'intenso "profumo" d'occulto.

Vorrei soffermarmi sul primo brano del disco ancora una volta la stessa parola

"Black Sabbath", tratto da un racconto di magia nera di Dennis Wheatley), che inizia subito dandoci l'effetto del poemetto suddetto,  cioè pioggia battente, tuoni ed una campana in lontananza, veramente inquietante, ma veramente agghiacciante e da brividi (direi che a qualcuno può anche far paura la prima volta che la si ascolta) è l'entrata degli strumenti, oltre tutto veemente come mai si era sentito prima a quei tempi e forse come mai fino ad oggi.

Poi ecco la voce di Ozzy finalmente che narra di una figura in nero che gli punta il dito e di un Satana sorridente alle fiamme che si alzano, per poi supplicare Dio di aiutarlo, mentre "una grande ombra nera con occhi di fuoco dice alle persone i loro desideri". Rimbaud, poeta maledetto della seconda metà dell'Ottocento, faceva dire in "Una stagione all'inferno" al demonio: "Raggiungi la morte con tutti i suoi appetiti e il tuo egoismo e tutti i peccati capitali" e poi ancora parlando di se stesso "riuscii a far svanire nel mio spirito tutta la speranza umana" ed ecco in questa canzone anche le parole "questa è la fine amico mio". Comunque La title track, non è l'unica brano degno di nota di quest'album, "N.I.B."  "Evil Woman" e Tomorrows Dream" sono solo alcuni degli ottimi esempi di quello che diverrà famoso come lo stile Black.

 

Black Sabbath are:

Ozzy Osbourne: voce, armonica

Tony Iommi: chitarra

Geezer Butler: basso
Bill Ward: batteria


 Ancora cade la pioggia, i veli dell'oscurità avvolgono gli alberi anneriti, che contorti da qualche nascosta violenza perdono le loro stanche foglie e piegano i loro rami verso un terreno grigio di ali spezzate di uccelli, tra l'erba alta i papaveri sanguinano prima di una morte gesticolante e giovani conigli, nati morti in trappole, stanno esanimi come sorvegliassero il silenzio che circonda e minaccia di sommergere tutti quelli che vorrebbero ascoltare. Uccelli muti, stanchi di ripetere i terrori di ieri, accalcati l'uno contro l'altro nelle rientranze di angoli bui, teste che si distolgono dai morti cigni neri che galleggiano capovolti in un piccolo specchio d'acqua nel vuoto. Lì emerge, da questo piccolo specchio d'acqua, una nebbia lieve e sensuale che indica la sua via verso l'alto per accarezzare i piedi scheggiati della statua del martire senza testa, la cui unica impresa è stata di morire troppo presto perché impaziente di perdere.  La cataratta del buio si forma pienamente, la lunga notte nera comincia, ma ancora, vicino al lago una fanciulla aspetta, non vedendo si crede non vista, ride appena, alla lontana campana che suona a morte, e la pioggia che ancora cade.

 

 

 

 

Deep Purple - In Rock (1970)

Senz'altro uno di migliori album rock di tutti i tempi, con il quale crea un nuovo filone musicale che oggi classifichiamo come Hard Rock. Il disco, dove emergono i riff devastanti della chitarra di Blackmore, il piano di Lord, il magistrale ritmo di Paice e il perfetto accompagnamento di Glover, è soprattutto caratterizzato dal virtuosismo vocale di Gillan, che raggiunge tonalità vertiginose soprattutto nella lunga e ambiziosa "Child in time". Si distinguono anche nel disco brani importanti come "Speed king" e "Bloodsuker", senza dimenticare la splendida "Black Night"

Formazione:

Ian Gillan:  voce                                   Ritchie Blackmore: chitarrra

John Lord:  tastiere e piano                  Roger Glover: basso

Ian Paice:    batteria

Claudio

 

 

 

 

 

BECK HANSEN 

 

 

 


David Beck Hansen nasce a Los Angels, l’8 Luglio 1970, da madre punk e padre chitarrista, a 16 anni lascia la scuola e comincia a suonare nelle coffe house newyorkesi.

Beck Hansen (il cognome è il materno, adottato alla separazione dei genitori) è uno degli artisti contemporanei più intelligenti e promettenti.

Contagiato da Woody Guthrie, Prince, Beastie Boys, con la creatività di Bob Dylan,

questo angelo dagli occhi blu è la TOTALE FUSIONE di generi musicali totalmente differenti tra loro.

La sua personalità non ha confini. Basti ascoltare “Odelay” (1996) per capire: passare dall’alto al basso, dal rilassamento al totale eccitamento.

Ma fin dall’inizio, da “Mellow Gold” (1994) ci si poteva render conto della originalità di quest’artista: “Loser”, “Soul Suckin Jerk”, “Blackhole”, canzoni stupende, senza un unico filo conduttore che le colleghi; solo pure originalità!

I suoi continui salti, cambi, passaggi Rock, Hip Hop….

Beck è questo, un creativo, capace di rivoluzionare la concezione dello stile musicale.

È “Midnight Vultures” (1999) è una conferma, ascoltate “Sex Laws”, “Mixed Bizness”, ma anche “Debra”, “Beatuiful Way”, insieme a un’altra artista da tenere sotto osservazione: Beth Orton

Tutto per capire che con Beck non ci sono confini, il polistrumentista losangelino, con quei suoi occhi blu scuro, quei suoi capelli biondi, quel suo fare quasi femminile, eppure affascinante nel suo alone da extraterrestre, non ha limiti, ha mille sfaccettature.

Nel 1994 lo avevano marcato: il “loser”, il perdente, il fannullone, oggi occorrono almeno una decina di aggettivi per descriverne qualche aspetto, perché Beck è una ruota surreale, un continuo geniale dinamismo da cui aspettarsi di tutto..

 

MARIALUISA