Archive for the 'Cinema' Category

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Io e Oreste

Quando ho saputo che è morto Lionello, l'unica cosa che ho pensato è stata la più scontata: chi doppierà ora i film di Woody Allen? Vuoto incolmabile.

Across the Beatles

Across the universeUn eventuale giudizio sul "film" Across the Universe sarebbe penalizzato da una trama abbastanza piatta, molto telefonata nello sviluppo quasi elementare delle ormai "classiche" vicende di ragazzi degli anni '60 (la ribellione giovanile, il Vietnam, le delusioni, il riscatto emotivo/sentimentale...). La scontatezza della struttura quasi impallidisce di fronte alle costruzioni visive che raffigurano ognuna delle 33 canzoni dei Beatles disseminate nel film, tanto da venire trascinati praticamente senza volerlo oltre il livello cinematografico. Tutto si consuma in un'esperienza sensoriale, un abbraccio sonico a perle del '900 che, ogni volta, ti sciolgono il cuore in una pioggia colorata. Per i fan come il sottoscritto, è manna dal cielo che mi fa arrendere quasi subito: vorresti che ne cantassero ancora, tutte quante.

Non recensione 2.0 a ‘Ratatouille’ (ovvero come un non-topo può non-diventare noumeno)

[Anche Noantri aderisce alla campagna di sensibilizzazione letteraria "Non vi sopportiamo più", promossa inconsapevolmente da Irene tra i commenti di questo ormai storico (e a ragione) post apparso sull'imperdibile blog Cabaret Bisanzio]

Ho visto il film d'animazione Ratatouille.

La fenomenologia semantica della pellicola in questione richiama alla memoria del vissuto empirico gli esempi più riusciti della produzione popolare nostrana, quella dove i protagonisti del cosiddetto volgo si ergevano, a seguito di vicende trasmigranti ed equazioni collaterali di indubbio effetto, al ruolo di protagonisti e/o eroi assoluti, in particolare così visti dalla loro sfera coabitativa che, dunque, passava dal ritenerli inetti al ritenerli eccellenti. Il processo d'eccellenza è la linea guida dominante di questo non-film.

[questa non è Parigi. Sembra: in realtà è una non-Parigi. E quello all'estrema destra è un topos]



Nello specifico, l'ascesa del roditore celeste, (dove il celeste non è più un colore casuale, bensì a-laico) da semplice - appunto - roditore celeste a celeberrimo cuoco ed esponente d'un certo spicchio dell'intellighenzia culinaria francese, è una metempsicosi dei desideri nascosti di ciascuno. Dirò di più: come nel caduceo due serpi sapienziali si annodano intorno al bastone che fa da continuum, qui si misurano due serpeggiamenti che penetrano a spirale la narrazione fintosaggistica; ebbene io qui dico che Ratatouille indica la via del capolavoro agli astanti.

Sin dal titolo, che i più potrebbero confondere come un semplice coacervo fonetico di lemmi indicanti la figura del ratto, certamente, e della "vill", ovvero della comunità, del popolo, del villaggio e che, invece, nasconde, questo titolo, un tentativo, non di ermeneutica, ma anzi caratterizzato da una brillante, adamantina, genialità di nomen-omen.

Ratatouille altro non è che un piatto, un mix ben posato di verdure. Proprio come il topo protagonista è una mistura romantica di coraggio e impaccio. E allora che altro è, questo, se non la più ineccepibile prova di meta-filmografia che il cinema abbia mai partorito dai tempi di Kurosawa o Orson Welles?

In Ratatouille l'extraletterario è devastante, non solo per la nube mercantilizia e quella paradorniana, fatta di ignoranza e hortus conclusus, ma soprattutto per l'ipocrisia di chi addita mafie a partire dalla propria cosca. E sono contingenze transeunti, mentre i testi, se passano il metabolismo della specie, sono tutto tranne che transeunti, e noi possiamo dare giudizi evanescenti, anche entusiasti, in attesa che si compia la permanenza nomade di un libro o la sua definitiva scomparsa. Ratatouille non scomparirà, perciò mi permetto d'essere entusiasta; Ratatouille non è oggetto transeunte ma oggetto immobilis et evacuazionis, per dirla come Kaiser Soze. (o era il draghetto Grisù, non mi ricordo)

Inutile affermare, perciò, quanto in Ratatouille emerga anche un altro topos del cinema moderno, ma, io suggerirei, della totalità della tentacolarità dell'ars, ecco, questo topos, che in Ratatouille nemmeno topos è, ma, direi, noumeno del topos e quindi RATTO, questo non-non-concetto del-non-non-non-concetto è il Male.

Il Male in Ratatouille è incarnato in un non-Male che è poi il bene (o comunque il non-tanto-male, quindi il quasi-bene), vale a dire lo Chef. Il Male è il Male e non ha agenti o immagini: è il Male ed è l'"io" la trappola inindagata con cui l'incarnazione del male sembra essere demonicamente mossa, mentre la sua routine esistenziale è già il Male, senza separatezza dal soggetto agente.

Ma.

L'oggetto di questo Male, in Ratatouille è un oggetto-soggetto che, generalmente, nella vita vera, per così dire, è visto come Bene, ovverosia lo Chef, l'uomo della cucina: difatti difficilissimamente chi opera ai fornelli viene indicato come il Male, perché, non a caso, è sua la responsabilità di nutrire, quindi di far crescere, vale a dire di far rimanere in vita. Vita uguale non-male. Eppure in Ratatouille questo non avviene: anzi si palesa l'opposto contrario. Il Male s'incarna nel bene: e questo non-male è l'epicentro del  lungometraggio-capolavoro qual è Ratatouille, proprio perché non-lungometraggio e quindi non-accettazione-dell'accettazione-della-non-accettazione. Ratatouille è oggetto a-letterario, a-sinottico e, soprattutto, extra-sinaptico prodromico della luce del sole, o della luna, a seconda dell'orario, che ci avvolgerà una volta usciti dalla sala cinematografica; sala cinematografica che non è più sala cinematografica, ma qualcosa d'altro, una non-sala cinematografica dove i non-topoi si stravolgono davanti ai topoi, tantissimi topoi, in Ratatouille ve n'è un'intera comunità, a dire il vero, pure se questa comunità, la comunità dei topoi, kantianamente, ci appare come una non-non-comunità e dunque... [Mode G. Genna OFF]

ad libitum...

p.s. Non tutta la recensione che avete appena letto è frutto di follia. Celàti nel delirio vi sono alcuni frammenti di reali recensioni scritte veramente dall'importante autore italiano Giuseppe Genna: divertitevi pure a scovarle...

Killing Moore

Secondo me Micheal Moore è la risposta americana nazional-popolare ad Antonio Ricci di Striscia la Notizia.

Non a caso Antonio Ricci piace alla gente che io reputo più insopportabilmente di destra, (Beppe Grillo compreso) esattamente come Michael Moore piace alla gente che io reputo più insopportabilmente di sinistra. Significherà qualcosa questo fatto? Forse no, ma provo a spiegarmi.



Entrambi, Moore e Ricci, hanno un obiettivo molto preciso, vale a dire catturare consensi denigrando il potere della classe politica, (per esempio) attraverso presunti scoop relativi a malgoverno, scandaletti, superscandali, abusi sessuali, vallettine, maxi-condoni, agevolazioni fiscali. MA per arrivare a questo fine entrambi ricorrono al medesimo mezzo: prendono l'obiettivo della loro critica e la ridicolizzano mettendone in risalto soprattutto i difetti carnascialeschi, le sproporzioni fisiche, gli errori grammaticali, le idiosincrasie, le fisime, le gaffes pubbliche, i vizietti innocenti ma ridanciani, insomma, perdendo completamente di vista l'oggetto della critica, però arrivando ugualmente al loro scopo finale: rendere quell'obiettivo inviso agli occhi degli spettatori.

Il George Bush di Moore è il Silvio Berlusconi di Ricci.
Entrambi sono personaggi di una pericolosità sociale unica, entrambi sono personaggi colpevoli dei più grandi disastri sociali, storici, umani che la recente storia politica dei due Paesi ricordi, eppure il George Bush di Moore è un simpatico signore di mezza età che in 9/11 non fa altro che giocare a golf, sbagliare riferimenti storici, incappare in gaffes macroscopiche con i giornalisti, sbagliare tutti i tempi degli interventi pubblici, ripetere in sequenza - grazie a un montaggio naturalmente truffaldino e deontologicamente aberrante - la locuzione, "li staneremo!", "li staneremo!", "li staneremo!", "li staneremo!", dove, si sa, la ripetizione ossessiva è uno dei meccanismi comici più funzionanti e, infatti, è lo stesso meccanismo comico utilizzato da Antonio Ricci: il suo Silvio Berlusconi è un uomo gioviale, simpatico, galvanizzante che fa le corna durante le foto, infila topiche a ripetizione, guarda le scollature delle giornaliste e, soprattutto, proprio come il Bush di Moore, viene ripreso in continuazione mentre pronuncia l'ormai storica frase: "Sono invincibile!", "Sono invincibile!", "Sono invincibile!".

Guardando l'orribile Fahrenheit 9/11, ho notato anche un'altra drammatica somiglianza tra l'operato di Michael Moore e quello di Antonio Ricci: il ricorso al fotomontaggio, sia visivo che sonoro. Il volto del Bush di Moore è continuamente sovrapposto ai volti di cow boy in assetto di guerra e di altri personaggi tipici della filmografia popolare americana, (addirittura nel montaggio c'è un uso ossessivo di non so quale attore, forse Charles Bronson, che ripete indovinate quale frase? Esatto: "Li staneremo"...) così come il volto del Berlusconi di Ricci è continuamente sovrapposto, in quella trasmissione deplorevole qual è Striscia la Notizia, ai volti delle maschere italiane più tipiche. L'effetto comico è il medesimo: squallido, però funzionale, perché il continuo bombardamento di immagini simili serve senza dubbio a dare agli obiettivi della feroce satira quella connotazione negativa desiderata senza fare approfondimento.

In 9/11 non c'è, in tutto il documentario, una chiave d'inchiesta originale: i volti rigati dalle lacrime dei parenti delle vittime dell'11 settembre vomitano le sciocchezze ovvie e legittime di tutti i parenti di vittime del mondo, da quelle del terrorismo, a quelle dei sassi dai cavalcavia; gli interventi di Bush sono, come detto, sempre votati alla comicità involontaria, alla caricatura. Il resto è creato dall'intervento rumoroso di Moore che, proprio come i vari Staffelli e Ghione di Ricci, arriva sul posto con mezzi mediaticamente esplosivi, disturbanti, invadenti, utili a rendere prima di tutto inoffensivo l'obiettivo. (un senatore che si vede arrivare Moore a bordo di un camioncino di gelati, a megafono spianato, con dietro 400 persone preda di crisi di risate, non è il referente ideale per organizzare un botta e risposta onesto, proprio come gli inseguimenti di Staffelli seguito da elicotteri trasportanti Tapiri megagalattici e pesanti 4 tonnellate, non è neanche un po' giornalistico, ma è più che altro una cagata pazzesca)

Nel suo ultimo lavoro, "Sicko", Moore ha fatto qualcosa di talmente aberrante che neanche Ricci ha osato mai. Nel tentativo inutile (perché già si sa) di dimostrare quanto inefficiente sia il sistema sanitario americano, Moore ha preso un tot di ammalati americani e li ha portati alla Havana con il chiaro messaggio di mostrare a cinema zeppi di mangia hot dog inebetiti dalle Marlboro rosse quanto sia indietro l'America, dal punto di vista sanitario, rispetto nientemeno che a Cuba, la stella mancante della bandiera a stelle e strisce, proprio la terra vessata dai Kennedy, da Clinton e dai Bush, l'isola rivoluzionaria devastata dall'embargo americano, proprio Cuba, siore e siori, riesce ad essere più avanzata rispetto all'America, almeno dal punto di vista sanitario. Questo è quello che vorrebbe dirci Moore nel suo ultimo "documentario". Applausi scroscianti dei mangia hot dog e dei compagni italiani con le magliette del Che.

Peccato che questa… Cosa sia totale pornografia. Lo dico da comunista e da amante profondo di Cuba, terra che ho nel sangue come ho nel sangue l'Italia e gli spaghetti cacio e pepe. Moore prende e fa vedere in primissimo piano l'atto della penetrazione, così da eccitare irreversibilmente teenagers, adolescenti e puttanieri. Ma Cuba, dal punto di vista sanitario, NON è affatto più avanti dell'America: non esiste UN americano che preferirebbe farsi curare a Cuba e non esiste UN cubano che non preferirebbe farsi curare in America. I medici cubani sono bravissimi, straordinari, umanamente profondissimi (ma anche i medici italiani lo sono): peccato che il sistema sanitario cubano sia, semplicemente, inesistente. (a parte il fatto che le farmacie sono vuote ed è impossibile trovare perfino i fazzolettini per soffiarsi il naso) Gli ospedali, se non ti chiami Diego Armando Maradona, non esistono, non curano, sono fatiscenti, non hanno le attrezzature, la ricerca non è sovvenzionata, (come l'arte) i medici che possono espatriano, quelli che non possono farlo, come il mio fraterno amico Raul, sceglie di abbandonare la professione tanto amata per scaricare carne ai mercati. E Raul era uno di loro, un bravissimo scienziato, un medico superiore, capo del laboratorio di medicina molecolare, aveva all'attivo convegni in tutto il Sudamerica e l'Italia e se avesse visto Michael Moore con la sua flotta di malati emigranti, li avrebbe presi tutti quanti a calci nel culo, oppure inseguiti con il suo furgone che è adesso diventato lo strumento di lavoro principale.

Il mio amico Raul vuole vedere Fidel Castro morto e sepolto da quando, in uno dei suoi tanti comizi televisivi, il lider maximo annunciò che una certa malattia che colpiva i bambini era colpa dell'embargo. Raul, che stava lavorando alla cura per quella malattia con la sua equipe medica da tempo, e che finalmente aveva trovato la via, si vide tagliati i fondi perché, secondo Fidel, quella malattia era colpa dell'embargo. E invece, naturalmente, no. Si può dire che l'embargo sia l'ultimo dei problemi cubani e il primo alibi di Fidel, ma questo è un altro discorso. Il fatto è che Moore ha messo su una cosa molto comoda e molto pornografica ed è per questo che io reputo Moore un cialtrone grasso e non un grasso e grosso documentarista: Moore è un ciccione furbacchione che fa spettacolo.

(l'avete sentita la storia del suo denigratore? Quello che aveva organizzato un sito Web per affossarlo? Per affossare Moore? L'avete sentita? A un certo punto al denigratore folle è capitata una disgrazia: la moglie stava morendo di cancro. Allora lui, il denigratore, sul sito che usava per denigrare Moore, ha messo un annuncio: per piacere aiutatemi. Mi servono tot soldi per le cure di mia moglie. Tac, Moore ha preso e gli ha fatto un assegno. Però restando anonimo. La moglie s'è salvata e il denigratore di Moore ha messo sul sito un altro annuncio: grazie al mio angelo salvatore. Chiunque tu sia. Moore s'è fregato le mani e che ha fatto? Ha schiaffato questa cosa in "Sicko". Così il denigratore folle, se non si è suicidato, adesso sta schiattando lui di cancro per la rabbia e la vergogna. Vi sembra bello? Vi sembra deontologico? Vi sembra per caso funzionale all'obiettivo del documentario oppure vi sembra funzionale soprattutto per rendere l'autore di quel documentario simpatico a tutti i mangia hamburger dei cinema?)

Come dice il mio amico Andy Capp: ma a che serve Moore? Lo andiamo a vedere noi, quelli come noi, ne parliamo tra di noi e finisce lì. Io aggiungo che pure quelli come noi dovrebbero smetterla di farsi abbindolare dal falso giornalismo d'inchiesta travestito da show del sabato sera. (anzi, scusate, è il contrario: è show del sabato sera travestito da falso giornalismo d'inchiesta) Moore è come Ricci: fa risaltare cose ovvie usando i mezzi sbagliati, quelli più comodi.

(a proposito: non vi viene in mente nessun altro che, saggiato l'anello del potere, sta adesso impazzendo e anche lui comincia a far risaltare cose ovvie ridicolizzando l'obiettivo della sua critica tramite i difetti fisici, di pronuncia, eccetera eccetera, utilizzando parole chiave come "Alzaheimer", "Valium" e compagnia bella? Vi viene in mente nessuno? Che facciamo? Ci svegliamo in tempo o ci facciamo prendere per il culo un'altra volta?)

Un intruso alla Mostra del Cinema /2

Bentornati al nostro appuntamento con le paparazzate dal lido di Venezia, appuntamento che finisce oggi visto che domani si torna a lavorare e la si smette di spacciarsi per accreditato Warner che si spaparanza nella hall del prestigioso Hotel Excelsior... 😉

Questa mattina file di ragazzine e sbarbati con ombrellini per il sole e ipod in attesa davanti il tappeto rosso. Brad e Angelina sfileranno questa sera alle 22 per la prima del film "The assassination of Jesse James" e viene da chiedersi se due minuti di visione di un vip valgano 12 ore di attesa. Ai Musei vaticani si aspetta meno, ma volete mettere una foto di Brad, oh mio Dio è luiii? Tra l'altro una sbirciatina gliel'abbiamo data poco fa, al suo blindatissimo arrivo all'Excelsior: è davvero figo, a livelli che noi maschietti non raggiungeremo mai e non c'è palestra o gel che tenga. Ho scattato tre foto: in una ha la mano davanti la faccia e saluta, in una è di spalle e nella terza controsole ho scattato a caso e gli ho preso le mani. Sono uno sfigato.

Il luogo più esclusivo della Mostra del Cinema, dicono i giornali, è la piscina dell'Excelsior: the Pool. Ci sono stand, barettini con divani, cagate e cotillons sponsorizzati. Non solo è la zona più inutile del Festival ma anche quella dove gira più gente che non c'entra niente. In realtà la zona più esclusiva del Festival è appunto il Festival. Ai varchi si passa solo con accredito o biglietto anche solo per prendere un panino o fare pipì. Metal detector, polizia e gorilla ovunque in quantità eccessiva.

Carlo Rossella gironzola tutto il giorno con aria da tombeur de femme nella hall e nei corridoi qua dentro. O non lavora o è disperatamente in caccia di una donna fascinosa. Tipo la moglie del Mago Forrest, molto carina e all'acqua di rose.

Certa gente non te la levi mai di torno. Non parlo di Mollica, sarebbe troppo facile. Tre nomi: Marzullo, Ippoliti, Zazà di Striscia. Mobbastaveramente però.

Ieri arrivano Cristina Parodi e Giorgio Gori e monopolizzano l'attenzione nella hall. Tra le donne invidiose che le ammirano il decolletè e chi riverisce e saluta con inchini e sudditanza il boss di Magnolia spiccano le uscite del popolino:
- Hai visto? C'è la Parodi e Cecchi Gori!

Sempre in ambito di cappelle ieri in sala a vedere il bel film di Ken Loach due ragazzi dietro a me, tra i pochi paganti probabilmente, nel mare di invitati, fotografi, giornalisti e magna magna vari, se ne escono con un bel siparietto. Lei individua seduta poco avanti Margherita Buy (bellissima anche lei). Manda in avanscoperta il moroso a vedere se ha visto bene. Lui va a vedere, conferma. Lei si alza per fare una foto. Si avvicina il ragazzo alla timidissima attrice italiana e chiede:
- Scusa sei Margherita Buy?
- Si - fa lei timidissima quasi recitando la stessa parte dei suoi film con gli occhi sgranati e il volto teso
- Possiam fare una foto?
Le siede a fianco, la ragazza impugna il telefono per scattare (sic!) e mentre scatta lui le fa:
- Complimenti mi sei piaciuta tantissimo ne L'ultimo bacio.
- Io non ho fatto L'ultimo bacio - fa lei trafelata.
- Ahhh è vero era queel'altro coome si chiama tesoro?
Non le viene in mente manco a lei. Battono in ritirata. Risate, grasse risate.

Un intruso alla Mostra del cinema

buongiorno a tutti dal vostro intruso di fiducia. sto scroccando la connessione di cinecittà sulla terrazza dell'Excelsior. perdonerete se scrivo male ed in fretta. Qui è tutto lustrini e gente impomatata che sembra lavorare davvero. poi c'è tutta la gente che vuol vedere i vip e fotografa ogni cosa, anche chi non conosce.
- chi è quello mamma?
- zitta e fotografa.

cose di questo genere.
spike lee è una specie di santone, sembra saperne a pacchi di ogni cosa, ha quell'aria da sapientino ma è proprio figo.
Mollica e' sempre l'unico che non si veste elegante. sembra un poveraccio in mezzo a befane incipriate, bodyguard e champagne. forse l'autografo piu' facile da reperire ma chi lo vuole?
alessandra mastronardi, quella dei cesaroni per intenderci, gira tranquilla e pochi la riconoscono. strappo una foto, con il solo intento di rivenderla come feticcio a Notuno, che la ama alla follia.

c'è anche quel pirla di calabrese che faceva striscia la notizia tempo fa. trafficava con una digitale per scattare foto da mostrare ai parenti ma non sembrava riuscirci.

ora torno di la', il mio obiettivo, helena bonham carter, è ancora lontano. 🙂
a dopo per altri aggiornamenti!

La mortazza è finita

La serata è finita male.
Ho dovuto camminare intorno al tavolo del salone per un sacco di tempo, finché non è venuta F. e abbiamo mangiato la pizza. (e pure quella l'ho mangiata in piedi) Mi sono guardato allo specchio un paio di volte, ho messo gli indici sotto gli occhi e ho tirato giù la pelle per vedere che effetto faceva. E ho respirato a lungo, naso-bocca, naso-bocca, per togliermi la nausea e fermare la vorticosa terra: ho un video di me stesso, risale ad almeno tre anni fa, in cui cammino alle 4 del mattino in camera mia alzando e abbassando le braccia: è quello che faccio, camminare, ogni volta che sono ubriaco. Perché come mi fermo, vomito. Me lo sono fatto da solo, quel video.

L'altra sera con Andy Capp è finita male: ci siamo ubriacati a metà pomeriggio per festeggiare un lavoro finito e finalmente anche pagato. Io non lo so perché la gente si debba ubriacare per festeggiare: quello che so lo so per bocca di Omer Simpson il quale dice che l'alcol altro non è che la causa di – e la soluzione a – tutti problemi della vita. Io amo Omer Simpson: amo quello che fa e come lo fa. Per me non dovrebbe esserci bisogno di nessun altro modello imitativo se non, appunto, Omer Simpson che riesce contestualmente ad amare se stesso, egoisticamente, e la sua famiglia nella stessa misura. Comunque non è di Omer Simpson che volevo parlare, a parte il fatto che sia Andy Capp che io, dopo sei Cuba Libre, eravamo gialli quasi quanto lui, quanto Omer Simpson.


Ho detto "sei" Cuba Libre non per intenderne "tre" o "quattro" o, genericamente, "un po'". Ho detto "sei" perché è quello che abbiamo fatto: ci siamo bevuti sei Cuba Libre. A testa. Il che non è né intelligente né sano, me ne rendo conto, ma il fatto è che avevamo un sacco di cose di cui parlare e molte cose per cui fare tintinnare i bicchieri. Ce li siamo bevuti tutti di gusto. Nella mia cucina: è stato bellissimo bere i Cuba Libre nella mia cucina. Sul tavolo ci stava: una bottiglia di Ron bianco (il vero Cuba Libre è col Ron bianco, bando alle ciance), una bottiglia di Coca Cola (il vero Cuba Libre è con la TropiCola, non con la Coca Cola, ma qui in Europa la TropiCola non si trova neanche da Castroni, quindi nisba), un bicchierino con dentro un po' di lime spremuto e una vaschetta di ghiaccio abbondante. Non eravamo né comodi né belli, però eravamo noi. Eravamo veri e a un certo punto, tra il quinto e il sesto Cuba Libre, abbiamo chiamato Fede ché anche lui stava bevendo, però a Ponte Milvio e invece noi nella mia cucina, aggratis, e allora gli abbiamo detto: "Fede, noi siamo completamente ubriachi nella mia cucina, perché non vieni anche tu?", al che lui ci ha risposto: "Maddeché, sto a Ponte Milvio a bere pure io, ci sentiamo dopo", e quindi abbiamo continuato a bere ognuno per conto proprio, finché, circa mezz'ora più tardi, non abbiamo mandato a Fede un sms in cui gli abbiamo scritto: "Stiamo a magnà mortazza", perché era esattamente quello che stavamo facendo, ovvero mangiare mortazza, mortadella, con il pan carré del mulino bianco, "una cosa da alcolizzati" ha detto Andy Capp a un certo punto, però era bello essere alcolizzati per un momento, per un pomeriggio di fine estate, col campionato di calcio già iniziato e l'abbronzatura già mangiucchiata dalla vita di città e dal lavoro, era bello essere ubriachi mangiando mortazza, alle 7 e 30 di sera, mentre fuori ci stavano tutte le macchine che si parcheggiavano a fine giornata, e la gente tornava a casa tra le cacche di cane.

Abbiamo brindato a un sacco di cose, davvero, certe serie, altre meno. Per esempio, tra quelle serie, abbiamo brindato a Carlo Verdone. Noi amiamo, stravediamo per Carlo Verdone: "Je vojo troppo bene" ho detto io a un certo punto. E Andy Capp ha aggiunto: "Il nostro modo di parlare, le nostre battute, qualsiasi cosa diciamo, ha a che fare con i film di Carletto" e da lì ne abbiamo tirata fuori una sfilza di film di Carletto, e io gli ho raccontato, ad Andy Capp, che sul sito suo  ci stanno un sacco di cose stupende, tipo le canzoni di Morricone di "Bianco, Rosso e Verdone", il tema di Marisò, e tutte le scenette più divertenti, per esempio quella dell'Aci di Furio, il personaggio comico di Verdone meno amato da Sergio Leone, insieme a un sacco di scritti suoi, di Verdone, uno su tutti quello in cui racconta la sua storia con Alberto Sordi, un altro che noialtri romani teniamo stretti sul cuore ogni volta che apriamo bocca o facciamo qualsiasi cosa. Abbiamo brindato a queste cose qui, a Verdone in particolare, ad "Acqua e Sapone" che io, ubriaco di sei Cuba Libre, non riuscivo a ricordare il titolo e allora a un certo punto ho detto: "Aho, quello che c'ha una cosa tipo er sapone ner titolo", perché noi, quando siamo appena appena brilli, ma che dico?, noi, appena ci allentiamo il nodo della cravatta, parliamo subito in romanaccio e facciamo proprio come Verdone in uno di quei film lì, a metà strada tra la timidezza e il dominio dell'universo e ci sentiamo bene, benissimo, ci diciamo un sacco di cose sulle donne che non dovrebbero essere dette e poi, sempre tornando sul discorso Verdone, che è stato il leit motiv dell'ubriacatura epocale, ci siamo trovati tutti e due d'accordo, Andy Capp ed io, che un altro grande romano, invece, non ha mai raggiunto le vette del collega e amico e cognato: Christian De Sica.

Uno con quel nome, ci siamo detti, lo ha mai fatto un film veramente indimenticabile? Ci abbiamo pensato, ravanando nella nostra memoria trash il più profondamente possibile e ci siamo detti no, a parte i primi "Vacanze di Natale" che però erano corali, fatti di tanti protagonisti, niente affatto "De sica-centrici", come invece sono tutti i più grandi film di Verdone, ecco, a parte, volendo proprio fargli una concessione, quei primi "Vacanze di Natale", si può dire che De Sica, a differenza di Carlo, non abbia mai fatto un film degno di passare alla storia degli uomini.

Comunque poi la mortazza è finita e io ho telefonato per farmi portare la pizza, boscaiola bianca per me e margherita per F., ed Andy se n'è andato a casa a mangiare la pasta, e dopo un po' è arrivata F. e abbiamo mangiato la pizza, io in piedi, perché sennò vomitavo, e poi ci siamo messi sul divano e abbiamo visto su Sky "Febbre da cavallo" commentando tutte le scene in romanaccio - si vede che era una serata così - e a me, che stavo perdendo l'ubriacatura poco a poco, m'è sembrato che, tutto sommato, non lo so, non mi ricordo bene cos'ho pensato, però mi è venuto da rannicchiarmi sul divano.

23, 24, 25…

Denzel WashingtonAbbiamo ancora bisogno, nel 200X (slogan da riciclare sempre, in politica, nell'arte, nella società, dappertutto: perchè in fondo, non abbiamo più bisogno di niente, dato che, volendo, c'è tutto) di film come 23? E' necessario imbottire le nostre sale cinematografiche (ormai tenute aperte dalle solite tre o quattro riedizioni di film tramutatesi in telefilm) con questa invasione continua, imperterrita, di film americani con detective, assassini, le solite paranoie, i soliti casi prevedibili, i soliti ambienti polizieschi, le solite armi, le consuetidini, i soliti moralismi e scontati immoralismi, la classica sovversione pettinata che finisce per diventare la stessa retorica che dovrebbe scardinare?
Io dico di no.
Beninteso, non sono contro i film spazzatura, o i film mangiapopcorn inutili e che servono a sghignazzare o sobbalzare. Hanno ovviamente il loro diritto a continuare ad esistere, e liberi tutti di continuare a cibarsi di paccottiglia, ogni tanto ci vuole. Il problema è la ripetività, la totale mancanza di slancio che scardini una vera e propria catena di montaggio cinematografica.
Dico che di thriller fotocopia, di casi umani fotocopia, di fumettoni fotocopia, di tutti quei clichè fotocopia che vengono sparati dagli Usa, grazie ma abbiamo già dato: se possibile, mandatecene di meno. Lo stesso discorso, meglio precisare, vale pure per il cinema italiano e le sue storie di trentenni malinconici ma con quella punta di sorriso, quando va bene, altrimenti di indicibile tristezza che tutto ammaina (mi pare che una lamentela simile l'abbia fatta quel gonzo di Tarantino, subito rimbrottato da Bellocchio).
Dico che i multisala infarciti di burrosi popcorn e burrosi film dalle sceneggiature quasi ciclostilate, prodotte in serie, hanno seccato la pianta.
Personalmente, voglio (vorrei) film che parlino anche, perchè no?, di fantascienza (argomento tabù, ormai), soprattutto voglio film che raccontino storie, visivamente e narrativamente sforzandosi di raccontare questo mondo e quello fantastico (non si scappa: c'è il vero, il verosimile, e l'inverosimile, non occorre sforzarsi così tanto), senza bisogno di ricorrere ai faccioni di amianto di Denzel Washington, tanto per dire il primo clichè che mi viene in mente.

Cannibal Holocaust

Probabilmente tutti ricorderanno quella grande trovata economicamente redditizia (anche se un po’ di paura incuteva) di “The Blair Witch Projet”… I tre ragazzi che andavano in un bosco a cercare la verità su una piccola leggenda locale e si perdevano, lasciando ai posteri l’ardua sentenza di accettare l’atroce realtà scovata. Infatti quelli che abbiamo visto sono, in teoria, i filmati girati con la loro telecamera e misteriosamente ritrovati. Beh, filmettino di serie B. Perché ne parlo? Semplicemente perché attinge a piene mani da un altro film horror serie Z, “Cannibal Holocaust”, di Ruggero Deodato. Dubito che siate in molti ad essere a conoscenza della sua esistenza, dato che è stato stroncato, censurato e soprattutto fuori catalogo per diverso tempo.

 La storia è scarna e forse anche un po’ debole: quattro ragazzi , reporter shock affermati, si recano nella foresta amazzonica per girare un reportage sulle tribù indigene che ci vivono. Ma non ritornano più indietro, così un gruppo di salvataggio viene inviato per riportarli a casa. Si ritrovano magicamente a compiere lo stesso tragitto dei ragazzi, arrivando a fare amicizia con le popolazioni locali e scoprendo che i quattro sono stati da questi uccisi. Perche? Mistero che trova soluzione nei filmati ritrovati tra le spoglia dei quattro malcapitati. Tornati alla “civiltà” scoprono l’arcano. I ragazzi non si limitavano a osservare, erano in realtà i fautori del male che filmavano. Erano loro la causa di uccisioni, stermini, pene capitali etc. Giocavano con la vita e il mondo, per poi andare in sala montaggio e costruire storie sensazionali. Che Fruttavano soldoni
Apparentemente sembra un film da nulla, privo di attrattiva. Anche Morandini lo giudica male, assegnandogli appena un punto e mezzo. E lo lapida con il commento: “ L’espediente del documentario serve a R. Deodato per un inutile e cinico sensazionalismo”.  Sarà. Fatto sta che alla mia prima visione sono rimasta letteralmente folgorata, per non dire scioccata e anche alla mia seconda, alla mia terza… E alla mia ultima, avvenuta pochissimi giorni fa. Innanzitutto il film è diviso in due parti. La prima, quella meno interessante e che potrebbe far demordere e portare a spegnere il televisore, funge solamente da introduzione. La squadra di salvataggio mostra l’ambiente selvaggio, mostra i suoi abitanti, a come sanno essere malvagi e ingenui nello stesso tempo. Pessimo cinema, ne convengo anche io. Passiamo davanti a un guscio di tartaruga, a un palo fissato nel terreno, raccogliamo le spoglie della guida dei giovani reporter. Poi il villaggio, con le strane abitudini e i riti per l’accettazione. Infine il ritrovamento degli scheletri e dei nastri.
Ma è al ritorno a casa, quando il protagonista del film si ritrova in sala montaggio a spulciare e a spiare la vita segreta dei quattro ragazzi che la cosa si fa interessante. Tutta girata con una telecamera a mano (come The Blair Witch Projet), mostra senza veli le Reale personalità dei malcapitati. La musica, dolcissima , soave, sognante… accompagna scene di sangue e di terrore inimmaginabili. I ragazzi infatti cominciano con l’uccisione e lo smembramento di una tartaruga, per poi passare alla cattura di un’indigena, con correlata violenza sessuale e “impalamento”. Proprio così. I tre maschi la violentano, a turno, in mezzo al fango, incuranti delle urla e dei pianti della donna, filmando tutto… e gridando, di tanto in tanto “questo filmato lo teniamo per l’album di famiglia, da rivedere tutti insieme a Natale, vicino al camino acceso”… Poi la telecamera si spegne e si riaccende pochi secondi dopo. I quattro fanno finta di avvicinarsi per la prima volta al palo dove hanno appeso (anche se non è certo il termine esatto) la vittima e fingono disgusto, ribrezzo (accennando però distrattamente un sorriso di compiacimento per le loro malefatte). Parole di cordoglio anche: “sembra un rito magico, una punizione per un’adultera. Ma noi non possiamo capire e concepire un simile orrore, appartenente a queste culture sottosviluppate”..  Questa credo sia la scena più terribile del film, quasi inguardabile, tanta è la violenza. Non sono una mente impressionabile e le pellicole cruente sono tante e varie. Forse quella più cruenta in assoluto nel cinema d’autore è “Salò e le 120 giornate di Sodomia”, di Pierpaolo Pisolini. Ma in quel caso c’era una sorta di psicologia dietro, una serie di spiegazioni. Non era violenza pura e priva di significato. Ma Deodato ha mostrato il degrado più assoluto dell’uomo, quello che non potremmo nemmeno lontanamente progettare. La noia e il senso di onnipotenza che trasformano gli uomini in Assassini.
Un’ altra scena abbastanza segnante è quella del fuoco appiccato al villaggio. Uomini, donne e bambini che vedono distrutto il loro abitat, che vengono picchiati e maltrattati.. Il tutto sempre accompagnato dalla musica di Riz Ortolani. Devastazione e dolcezza. Forse è proprio per questi suoni che non riusciamo a credere ai nostri occhi. Musica dissacratoria, quasi derisoria se vogliamo. Poco rispettosa. O forse musica che ci sussurra che tutto va avanti, che noi siamo anche questo, uomini e donne crudeli e gioiosamente cattivi. Musica che si prende gioco del nostro orrore, sorridendo alla nostra ingenuità. Anche tu sei così, sembra svelarci qualcosa più in alto di noi. 
Una cosa forse esecrabile del cinema di Deodato è stato l’utilizzo di animali veri per le scene. Tartaruga, ragni, serpenti, scimmie… Tutti gli animali uccisi nella pellicola non sono stati ammazzati per finta. E’ tutto vero. Naturalmente proprio per questo Deodato ha avuto parecchie ripercussioni da parte degli animalisti (e come dargli torto), ma anche per questo le immagini hanno più impatto. Non riusciamo a distogliere lo sguardo da tanta inutile imbecillità. Soprattutto quando la Tartaruga viene sventrata.. Ho sentito male fisico. Voglia di vomitare. Mai un film mi aveva provocato simile reazione. Forse sarò ingenua, ma questo è stato uno dei motivi per cui ho amato e amo quest’opera. La capacità di coinvolgere è sorprendente.
Nel film sono presenti anche gli ultimi attimi di vita dei ragazzi. Dopo tanto dolore afflitto a una tribù di Cannibali innocua, è venuto il loro turno di sofferenza. Infatti vengono uccisi, lentamente e dolorosamente, infliggendo le stesse pene che han dovuto subire le loro vittime. L’ansia di diventare ancora più potenti e famosi ha portato i quattro a filmare anche la loro dipartita. Incuranti della loro morte, assistiamo alla caduta di tutti e quattro. La telecamera cade a terra e la testa dell’ultimo sopravvissuto, con gli occhi sgranati, le cade vicino, fissandola vuotamente…
Il filmato finisce. Ogni commento è superfluo. ..”mi chiedo chi siano, i veri cannibali”… Così riflette tra se e se il protagonista del film, uscendo dalla stanza del montaggio.
 La musica riprende, portando via anche i titoli di coda…. E i nostri pensieri viaggiano, verso un’altra amazzonia, riflettendo sulla follia…. La Follia che porta a una tartaruga sventrata, a una donna massacrata… al sorriso beffardo di un ragazzo che gioca a essere Dio….

 

Inland Empire di David Lynch (anteprima)

Impressioni a caldo, spunti e appunti dopo la proiezione in anteprima nazionale di Inland Empire (L'impero della mente), il film summa del Lynch-pensiero che il regista ha presentato alla recente Mostra di Venezia in occasione del Leone d'Oro alla carriera.

Un film che non potrebbe e non dovrebbe raccontarsi...ma vedersi nel buio di una sala, per assaporarsi fino all'ultima goccia di follia che in esso vibra e si distilla.



DIGRESSIONE SU LYNCH

(qualche idea a beneficio di color che son sospesi)

Si sa, non a tutti piace David Lynch e il motivo consiste nella sua abilità a sfidare i peggiori colpi di scena del cinema americano e insieme la lentezza delle cimematografie orientali. I film di David Lynch sorgono in un punto d'intersezione di due stili estremi e incompatibili e di per sé border line: al confine di quella recinzione che dovrebbe dividere e distinguere rispettivamente il cinema dal ritmo letterario e dai colori squisitamente pittorici, e il cinema rispetto ad altri generi bassomimetici come la farsa e l'orrorifico, in voga nei teatrini della suburra fino all'ottocento e poi addomesticati e dismessi.

E tutto ciò senza addentrarci nelle disquisizioni sull'evidente circolarità aperta e frammentaria dei suoi plot che di fatto impediscono allo spettatore medio un approccio acuto e un'adesione spontanea alla cinematografia pretestuosamente non lineare.

IMPRESSIONI SU INLAND EMPIRE
(Impressioni a caldo, dacché l'anteprima s'è svolta stanotte dall'1.15 alle 4.15)

Una visione o un incubo. Una matassa che rotola, si dipana e nel frattempo si attorciglia, torna e ritorna e infine esplode. Come potrebbe mai esplodere una matassa?!
Un'allegoria degna di Inland Empire, tre ore di metacinema (una storia di attori che interpretano altri attori e altri film, all'apice d'un mistero che li vedrà sovrapporsi a più riprese ad altre figure e ad altri uomini, come in un transfert collettivo), metacinema ed incubi mostruosi.
E soprattutto: il film per buoni due terzi offre intensità senza pari, specie nella prima parte ove si giova di una eccellente fotografia capace da sé, sembra paradossale, di scandire il ritmo!
Sono infatti le inquadrature, tagliate sui visi perfino per scene che gli attori recitano seduti, e la straordinaria performance di Laura Dern e J.Theroux, a raggiungere coralmente e senza eccezioni il sublime.

E se questo fosse l'arrosto diciamo che il brodo consisterebbe nel genere del terrore, nella scoperta e riscoperta di un luogo dagli specchi abominevoli che replicando uomini replicano storie, contaminano esistenze, ci aprono un varco osceno come fossimo burattini d'una tragedia greca...costretti a ricalcare parti già scritte e già vissute (il regista avverte: "ve lo devo dire, la produzione non vi ha informato, quello che reciterete non sarà un film, ma un remake") fino alla deformazione finale, ovverosia fino alla perfetta identità tra passato e presente, in un delirante annullamento.

Dunque, le impressioni a caldo non possono che debordare in un oceano di frasi sconnesse, perché in sé la pellicola vuole esserlo; sconnessa. Un costante cortocircuito col prima e il dopo e il durante. Un buio di mezzogiorno.
Uscendo dalla sala, riassaporando l'aria nel suo effondersi lieve della mattina, compiendo quell'azione ancestrale e semplice come il passeggiare, ma riattualizzata in un hic et nunc con le visioni dell'impero della mente che ancora albergano dentro di noi, viene spontaneo domandarsi: se oggi una tale fusione tra generi, arti e prospettive (anche filosofiche), nella sua complessità e finanche nella sua imperfezione non rappresentasse l'autentica sfida registica dei nostri tempi, voglio dire, cos'altro ci resterebbe nel cinema e del cinema?

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(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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