Archive for the 'Cinema' Category

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Un film parlato

Marsiglia, Napoli, Atene. Una madre, con una piccola per mano. E una nave da crociera.
Una nave che si rispetti, naturalmente, possiede un capitano. Un gentiluomo, con lo sguardo malinconico, fedele solo al suo mare. Sue ospiti, tre donne molto belle. Una italiana, una francese e una greca.
La bambina accompagna la madre nel lungo viaggio fino a Bombay, dove vive e lavora il padre. Quale occasione migliore per poter visitare quei luoghi leggendari, studiati nei libri di scuola, immaginati con la fantasia?

Così, ad ogni inquadratura di mare, i posti si succedono, uno dopo l’altro. Piramidi, Sfingi, i resti di Pompei. E tanti perché non dimenticati, perché che la mamma tenta di soddisfare con nozioni aiutate dalla vista, dall’esperienza. E la bambina beve ogni cosa, ansiosa di sapere.
Ma questo, come ci suggerisce il titolo, è un “Film Parlato”. E non resta che farci cullare dai suoni. Sembra di assistere a un documentario storico, ascoltando però tanti linguaggi differenti… Il portoghese, l’americano, il francese, il greco e l’italiano.
E, per una magia quasi impossibile nella realtà di ogni giorno, pasteggiano a vino e cultura. Allo stesso tavolo, il capitano invita le tre donne e la madre con la bimba. Non si può parlare di amore a prima vista, ma sicuramente di vivo interesse. Non si sa da cosa sia scaturito. In quella nave i via vai di personaggi più o meno stravaganti sono cosa di tutti i giorni. Forse è stato un sorriso. O forse riascoltare, dopo tanto tempo, il portoghese…
Vino e cultura. Ma anche dolori e malinconie. Cinque personaggi che hanno tanto vissuto e tanto perso. Chi un matrimonio, chi sogna un figlio. Chi invece non fa che lasciarsi cullare dal mare, senza una meta. Lo scopo sì, eccome. Lo scopo rimane sempre il mare.
Una canzone greca riecheggia nella sala da pranzo della nave. Una gentile concessione di una delle signore, che riporta alla luce la sua lingua, purtroppo quasi dimenticata. Si parla inglese, è vero, ma è dal greco che provengono le basi dei nostri linguaggi. Eppure, per qualche misteriosa ragione, la grecia viene sepolta nel dimenticatoio.
Solo una canzone, passeggiando tra i tavoli della gente che, stupita, ascolta, smettendo di mangiare, riporta l’antico splendore della civiltà tra noi….
Un’ombra scura sembra però coprire la giocosità dei passeggeri. Qualcuno ha messo una bomba ad orologeria.
Bastano pochi minuti e la nave è evacuata. Il capitano guarda, sommessamente, la propria casa dalla scialuppa di salvataggio. Quando due figure compaiono sul ponte.
Sono loro: la bimba, con la mamma. Rimaste indietro per uno sciagurato incidente.
La nave esploderà. Portando via la gioia, le speranze, due vite e il nostro incanto.
Un’altra torre di Babele è crollata.

Zombie

Secondo capitolo della saga sui morti viventi di George A. Romero e forse il meno efficace dei tre (il quarto non riesco, per quanto appartenga sempre al maestro, a considerarlo parte integrante del lavoro). Nettamente inferiore a La notte dei morti viventi per l'utilizzo dei colori, che rendono meno cruenta e reale la scena. Certamente una scelta ben mirata: se il primo film voleva mettere in evidenza caratteri per lo più personali dell'umanità (complesso di Edipo, paura della società) in questo caso ci si sofferma molto più sul capitalismo e sullo sfrenato consumismo: sul bisogno di sottolineare con colori moderni la realtà contemporanea.


Forse è inferiore anche per la scarsa originalità del tema. Se il primo era totalmente innovativo (ha fatto scuola, d'altra parte) qui si ricalca esattamente la stessa vicenda. Inizia dove eravamo rimasti quasi vent’anni prima. L'umanità è perfettamente a conoscenza di quanto sta accadendo ed è presa completamente dal panico. La pellicola si apre sul set di un programma televisivo che trasmette un dibattito sulla tragedia onnipresente. Ma si nota da subito come non esista affatto un'organizzazione, né voglia di risolvere senza essere presi dal panico quello che potrebbe trasformarsi nel definitivo declino dell'Uomo.
Alla domanda cruciale: perché uccidono, gli Zombi? La risposta più chiara e concisa che l'intervistato può dare è che Uccidono per nutrirsi. Il problema però non sono davvero questi esseri immondi che si sono risvegliati. Il problema, e Romero non si stancherà mai di ripeterlo nelle sue opere, sono i vivi che continuano a non vedere la realtà. Mentre i morti cercano di sopravvivere, con l'istinto più primordiale della caccia, i vivi hanno trasformato l'intera società in un monito vivente che ripete incessantemente Mors Tua, Vita mea. Il programma tv viene trasformato in una vera e propria giungla deforme, ricca di derisioni, urla, insulti. Il cervello degli uomini è già morto in partenza. Forse è proprio per questo che si colpiscono alla testa i mostri. Sembrano utilizzare più loro l'intelletto, che noi.

In mezzo a tutta questa baraonda, un gruppo di persone cerca di fuggire con un elicottero. Due appartengono all'esercito (un bianco e un nero) e due sono giornalisti (un uomo e una donna). Poco prima di partire, i due soldati incontrano un prete senza una gamba (ricordiamo che anche nel primo episodio il personaggio del rappresentante di Dio è importante, in quanto portatore di verità) che li lascia con una scomoda quanto palese dichiarazione: Quando i morti camminano, signori, bisogna smettere di uccidere o si perde la guerra. Ma a cosa si può pensare di arrivare, in un mondo in cui è la morte a far da Regina? Gli Zombi oramai banchettano allegramente con i resti della civiltà. I Due soldati cominciano la loro fuga con lo sterminio di un'ipotetica ultima cena: decine di apostoli professano l'imminente distruzione, priva di perdono e gloria. Uccidono senza pietà, i soldati. Se poi è uccidere, questo. Stanchi, devastati, alzano ancora una volta il grilletto, verso la telecamera. Lo premono e siamo noi a perire questa volta.
Romero è totalmente negativo, ci fa intendere che nemmeno per noi, che stiamo guardano un semplice film dell'Orrore, ci sarà qualcosa denominato salvezza. Verremo uccisi. Se non dai vivi, sicuramente dai morti. Per farci capire meglio a quale deleterio stato siamo caduti, il regista ci mostra la Nostra caccia. Se i morti cacciano per sopravvivenza, noi lo facciamo per puro e semplice divertimento.

La musica, dei Goblin, da cupa e angosciante, si trasforma in una tiritera da circo, accompagnata da risa di uomini che colpiscono facendo a gara, quello che invece dovrebbe spaventarli e farli riflettere. Morte è uguale a divertimento. Niente rispetto, niente alleanza. Solo voglia di sangue. Ma la scena più famosa del film è sicuramente l'entrata nel supermercato. Un supermercato, tra le altre cose, pieno zeppo di morti che camminano. Il motivo è presto detto: ci tornano per abitudine, per loro doveva essere un posto molto importante quando erano in vita. Non credo che abbia bisogno di commentare ulteriormente questa frase che si fa onore da sola. Altrettanto eloquente è il salire sulle scale mobili dei mostri: si calpestano a vicenda. Proprio come facevano in vita, a loro tempo.

La Squadra di Fuggitivi irrompe dunque in questo supermercato e fa razzia di tutto ciò che NON serve. Perché, strano a dirsi, neanche alle strette l'uomo riesce a comprendere quali siano le cose fondamentali della vita. Volere TUTTO e subito è ciò che caratterizza il nostro secolo e ciò che ci ridurrà a dei mentecatti bavosi (è il Romero-pensiero, chiaramente). Il restante tempo del film viene vissuto in questo Tempio del Consumismo, tra razzie, divertimenti e tragedie (in fondo è pur sempre un film dell'Orrore, non tutti possono arrivare alla fine). Fino a raggiungere il classico Tocco romerico, con l'irruzione di Harleysti nel supermercato e la guerra civile tra i vivi. I Protagonisti si alleano in qualche modo agli Zombi, morte e non morte uniti per un solo scopo comune: il Potere. Potere differente: se i fuggitivi possono rappresentare velatamente il governo costituito, gli Zombi sono il Popolo, che si accontenta dei resti e ne banchetta. Romero non lascia spazio alla speranza. Gli unici due sopravvissuti (il nero e la donna, incinta) lasciano il supermercato in elicottero; il seme dentro di lei lascia intravedere una possibilità: un mondo nuovo potrebbe esser possibile. Ma è solo un diversivo.

Le ultime parole pronunciate dai sommersi e salvati sono: Quanta benzina abbiamo? - Non molta. L'esodo continua, dunque. Per quanto si cercherà di fuggire, il problema è sempre dentro di noi: nell'Io che, quando meno te lo aspetti, può trasformarsi nel più grande incubo mai concepito dall'uomo. Quell'Io destinato a deteriorarsi fino a diventare quello che, in modo molto pagano, chiamiamo Morto Vivente.

La notte dei morti viventi

Un buon film dell’orrore, ho scritto qualche tempo fa, deve essere in grado di riportare alla luce le paure più recondite di ognuno di noi. E, aggiungo, dovrebbe trasfigurare la nostra realtà, creando così dei paradossi o uno specchio di ciò che vediamo e viviamo ogni giorno. Una sorta di satira sociale e, se vogliamo, politica. Romero, con la sua trilogia sui morti viventi ( “La notte dei morti viventi”, “Zombie”, “Il Giorno degli zombie”)ha delineato indubbiamente un profilo abbastanza chiaro della società non solo degli anni settanta, ma anche dell’imminente futuro, quello in cui oggi viviamo. Mi soffermo solo sul primo capitolo della serie, girato nel sessantotto e prima opera del regista. Ha creato letteralmente uno stile cinematografico e tutti hanno attinto e attingono dalla sua pellicola cult. Basta citare “Zombie 2”, il remake de “La notte dei morti viventi” e i più recenti “L’alba dei morti viventi” e “28 giorni dopo”. Persino Resident Evil, videogioco di successo da cui hanno tratto un film tra i più guardabili (Nel genere) degli ultimi anni, ha sicuramente da ringraziare il Vecchio George. Sarà che è stato il primo a trattare l’argomento?


Può essere, certamente però è la sola opera a terrorizzare ancora oggi. Privo d’effetti speciali, con una fotografia in bianco e nero, la vicenda avviene quasi solamente dentro una casa, diventata rifugio per sette persone disperate. Fuori, infatti, il mondo sembra impazzito. I morti sono tornati a vivere, sono pericolosi e soprattutto sono cannibali. Insomma, gli Zombie hanno invaso la Terra. Per tutto il film, di conseguenza, i protagonisti cercano di sopravvivere. Storia semplice, direte voi, quasi banale. Peccato che le cose non sono proprio come sembrano. Innanzi tutto soffermiamoci sulla figura del “morto vivente”, sull’”uomo mangia uomo”. Non è un mostro, ma è il nostro modo di campare. Non viviamo (Generalizzo, chiaramente) forse godendo del soccombere altrui? E, diciamola tutta, non siamo noi spesso i carnefici della vita altrui? La radio spiega nel film che si tratta di “Automatismo ossessivo”, quasi fossero tutti sotto ipnosi. Se vogliamo fare un parallelo con la Realtà, è ciò che capita a tutte quelle persone ormai talmente assorbite dal sistema da spingere i propri gesti verso il motto: PRODURRE – CONSUMARE – MORIRE. Una catena di montaggio senza senso, ma approvato dall’umanità. Gli Zombie, appunto. Zombie che, assai simbolicamente, possono perire solo se colpiti alla testa. Il regista ci suggerisce, quindi, che il potere, la massa (chiamiamolo come vogliamo) è poco intelligente e con la forza del singolo è possibile abbatterlo. La forza del singolo è rappresentata dai sette superstiti, quelli che non si sono arresi, quelli che uniti possono creare la rivoluzione. Peccato però che esista qualcosa chiamato: “Guerra fra poveri”. E’ vero, non siamo arrivati a mangiarci l’uno con l’altro, ma siamo in gara per ottenere quanto più potere possibile. Abbiamo l’uomo con ego di superiorità e il nero che si sente capo nell’animo. Il gruppo quindi è portato a dividersi in due fazioni che apparentemente collaborano ma, in realtà, attendono solo un passo falso per avere supremazia. Insomma, se il potere riesce a dividere, il nemico vince. Gli Zombi prenderanno il sopravvento. Perché, si sa, ogni divisione di razza, credo e politica, altro non è che un miraggio e inganno, solo un qualcosa creato ad arte per metterci gli uni contro gli altri. Infatti, durante il film anche i superstiti si ammazzeranno a vicenda, per il predominio di una semplice casa disabitata. Allucinante se ci si pensa, ma reale se si contrappone la nostra società. Persino tra “amici” non si può mai voltare le spalle se non vogliamo essere pugnalati.

Un episodio particolarmente disturbante è il risveglio della figlia di una coppia presente nella casa. “Risveglio” tra virgolette perché, morsa da una delle creature immonde, diventa come loro e mangia con noncuranza i genitori. Questo non è altro che il complesso d’Edipo, ma anche segno che non esiste più moralità. Il detto “Parenti Serpenti” è allegramente superato dall’ipotesi di uccidere il familiare pur di diventare parte integrante della società d’oggi. Non c’è limite all’indifferenza, alla crudeltà. Pur di non restare “arretrati” si ucciderebbe la propria madre. 
Ma, questo è quel che tutti penserete, alla fine i buoni vincono sempre, no?Sicuramente almeno un superstite riuscirà ad uscire dalla casa. Gli Zombi torneranno sotto terra. Sì e no. Certo, l’umanità riesce a sotterrare (momentaneamente) la nuova razza. Si Sono, infatti, formate delle vere e proprie squadre che avanzano senza paura abbattendo i mostri che, ora lo sanno, sono infondo molto deboli. Peccato però che non riescano più a riconoscere il buono dal cattivo, il bene dal male. Quindi quando l’ultimo sopravvissuto (il Nero) cerca di uscire dalla casa dopo quasi un’ora e mezza di pellicola cercando di difendere la propria vita, viene abbattuto senza remore da un “cacciatore”. Questo cosa vuol dire? Semplicemente che non c’è speranza. Che la forza del singolo, la mia forza, la tua o quella del regista, è vana. Se non sarà la Società dei Potenti Automatizzati (Gli Zombie) a finirti, sarà il destino o il volersi dividere in piccoli gruppi gli uni contro gli altri. Insomma, l’umanità è ridotta al macello. Prima o poi finirai anche tu in mezzo a quel rogo di corpi senza nemmeno sapere il perché. Anzi, conscio del fatto che un perché non deve esistere né mai esisterà. E’ la nostra natura. Vivere per uccidere.

So long young Frankenstein

Harry ti presento Sally

Uomini e donne possono essere amici?

Per quanto sia strano a dirsi, amore e amicizia non legano spesso insieme. Tutti noi cerchiamo un compagno (o una compagna) che possa completarci e con cui potere parlare proprio di tutto, ma nessuno penserebbe ad una relazione con il suo migliore amico. Difficile da spiegare. Come se l’amico non possedesse una sessualità, quasi fosse un cartone animato. Ma, in qualche caso, può un’amicizia decennale nel grande amore della nostra vita? Nella realtà non lo so, ma nel campo cinematografico l’esempio per eccellenza è rappresentato da Harry e Sally. Harry e Sally, incontratosi mille volte nell’arco di dieci anni e odiatosi sempre più, senza motivi ben precisi.

Eppure, durante il loro primo viaggio per New York, gli argomenti e la sintonia sembrano non mancare. Si aprono molto sinceramente, litigando e dissertando su Casablanca, l’essere negativi e mille altri discorsi.Ma la fiamma non si accende e si salutano, pronti ad affrontare un’esistenza diversa, cercando ciascuno il proprio compagno di vita… Dopo qualche anno si ritrovano su un aereo, lei fidanzata da un mese e lui in procinto di sposarsi. Ma, si sa, non è la felicità a legare le persone, ed anche quest’incontro non frutta. E’ dopo qualche anno ancora, quando lei soffre per amore e lui è stato lasciato dalla moglie, che scatta la scintilla. La depressione, la malinconia, l’inadeguatezza. Queste sono le condizioni che rendono possibile la comunicazione profonda con uno sconosciuto. Così, Harry e Sally diventano finalmente amici. Parlano dei loro rapporti antichi, di quello che li ha fatti finire, dei nuovi appuntamenti disastrosi, delle paure più radicate. Consigliandosi a vicenda, supportandosi. In cuor loro sanno di essere innamorati. Se ne rendono conto durante il ballo di fine anno. Ne sono stupiti e talmente spaventati da voler fare finta di nulla. L’uomo non ama essere felice o (come dice Jesse,l’amico di Harry) ne ha paura. Quindi il tempo passa e nessuno compie il primo passo, fino a quando l’ex di Sally decide di ammogliarsi. Sally è disperata e, in piena notte, chiama l’amico, che corre subito a casa sua. Lacrime, parole consolatrici, bacini per colmare quel qualcosa che non c’è… E l’attimo è complice. Finalmente i due fanno l’amore.
Ma, ribadiamolo, gli uomini hanno paura d’essere felici. Ed Harry se la dà a gambe. Si dà inizio così a un tira e molla, un corri e fuggi, tra Sally che vuole dimenticarlo e lui che non può fare a meno di lei. Finalmente, la notte di capodanno (con sottofondo un brano dolcissimo che più o meno canta: “Dovunque io vada, qualsiasi cosa faccia, dovevi essere tu”) Harry si rende conto della sua stupidità. Cammina per le strade deserte, disperato e, ad un tratto, ecco la voglia di gridare, di vederla, di sposarla. E corre,perché quando ci si rende conto di volere trascorrere il resto della propria vita con una persona, si vuole che il “resto della vita” sia prima possibile. A nulla serve il rancore di Sally, perché la ama quando sente freddo anche se fuori ci sono quaranta gradi, quando ci mette un’ora per ordinare al ristorante, quando lo guarda come se fosse pazzo e si forma quella ruga al centro della fronte. Gli piace quando, dopo una giornata trascorsa con lei, rimane il suo profumo sui pullover ed è felice quando l’ultima voce che sente prima di addormentarsi è la sua. E, come in ogni commedia romantica che si rispetti, il lieto fine arriva, sospirato e atteso.
Rob Reiner, regista di poco conto (chiaramente è solo un punto di vista), questa volta colpisce pienamente il bersaglio. Riesce a divertire, commuovere, riflettere ed a inserire un piccolo grande omaggio a “Casablanca”,uno dei capostipiti del genere romantico (anche se trovo limitante definirlo in tal modo). Ha momenti indimenticabili, dei piccoli gioielli, inserendo nella commedia moderna frammenti e stili di quella classica anni ’50. Esempio evidente è la telefonata a quattro, con lo schermo diviso in tre parti. La commedia, di solito, pecca di stereotipi. La donna romantica e l’uomo cinico (o viceversa), senza altre caratteristiche. Qui invece sembra di assistere alla storia d’amore di due amici, amici che si conoscono bene e che hanno cento difetti e mille pregi. Harry è depresso, cinico, amante dell’amore ma incredulo di trovarlo. Infondo lo sa che tutto è un inganno, che prima o poi si arriva alla conclusione dei momenti felici. Sally è esattamente l’opposto. Solare, positiva. Ma, anche se non vuole ammetterlo, altrettanto depressa. Trascorre le notti insonni, guardando film in spagnolo e lagnandosi incessantemente. Sì, d’accordo: è un’inesattezza. In realtà questo è Harry. Ma, cosa credete, Sally semplicemente non vuole ammetterlo. Sta attenta a non farsi vedere, tutto qui.
E, dulcis in fundo, troviamo dei dialoghi profondi, con spessore, vivi. Sempre più rari, di commedia in commedia. Senza dimenticare la musica, perfettamente integrata, che ci suggerisce le varie scene, raccontandole.
Si può infine affermare che sia l’unica pellicola degna di nota anche per Meg Ryan. Attrice mediocre, prima ferma nello stesso ruolo per decine di film, ora pronta al riscatto con parti trasgressive (riscatto impossibile: non sa recitare), in “Harry ti presento Sally” è davvero perfetta. Forse complice il duetto con Billy Cristal, qui in stato di grazia. Il film è una gioia per gli occhi anche grazie (o forse è giusto dire soprattutto grazie) alla sincronia dei due attori. Non sembrano veramente recitare, ma vivere sulla propria pelle la loro avventura. Infine non posso tralasciare la fotografia e i costumi, che segnano con evidenza il trascorrere del tempo.
Un film da vedere e rivedere, imparando le battute a memoria.
Ma, dopo tutto questo, il quesito rimane: uomini e donne possono essere soltanto amici?
 

Anna dei miracoli

"Helen ha piegato il tovagliolo". Quanto può essere importante un gesto semplice come questo, consueto, automatico, ovvio? E' degno di nota, è possibile pronunciare questa frase con enfasi, con le lacrime sgorganti, con una prospettiva del futuro più ampia e lucente? Naturalmente sì, se a pronunciarla è la mamma di Helen. Se è il risultato di ore ed ore di lotta (metaforicamente riassunte in nove minuti), di anni di isterismi e di insensibilità cieca.

Helen è una bambina, cieca, sorda e, conseguentemente, muta. E' figlia di una borghesia medio ricca, in anni in cui psicologia e pedagogia, probabilmente, non potevano fornire soluzioni semplici ed efficaci per confrontarsi con patologie di questo genere. Vive in casa, lasciata a sè stessa. Non c'è comunicazione, nè sembra che Helen la desideri. Non ha nessun tipo di educazione, ogni suo capriccio viene soddisfatto scambiando la pietà estrema in libertà. In realtà, tutto questo viene percepito dalla bambina con ostentata indifferenza, e la violenza è l'unico linguaggio da lei assimilato. Fino a quando, nella sua esistenza, entra Anna. E' una ragazza problematica, ha subito nove operazioni agli occhi ed ha vissuto insieme a un fratello storpio. I suoi ricordi le permetteranno di avvicinarsi ad Helen, fino ad adottarla e diventare sua Madre, nel senso più profondo del termine. Perchè Madre non è colei che ci da la luce, ma colei che ci insegna l'amore, la vita. La parola può riassumere ciò che noi stessi siamo. Senza di essa, scompare anche la nostra individualità.

Il film è annichilente. La violenza colpisce lo spettatore. Helen, per lo meno, è immune al rumore, ma noi no. Le urla, gli oggetti rotti, rendono ogni scena insostenibile. Helen non vede, ma noi dobbiamo superare gli spaventi per i gesti inconsulti, per quelli troppo veloci e improvvisi. O per quelli di Helen, che si muove a scatti, probabilmente perchè non possiede nessuna idea, nemmeno artefatta, di se stessa. Helen è perfetta estranea per gli altri, ma anche per se stessa. Anche noi non riusciamo a provare nè quella pietà che la madre le regala, nè quell'affetto crescente di Anna. Solo quando pronuncia, come grazie a un piccolo miracolo, la sua prima parola ("Acqua") cominciamo a capire che si tratta di una persona viva. Prima di quel momento, era il dolore protagonista della vicenda. Non la persona che lo provava.

La violenza non è solo fisica. Una persona è violentata pur mantenendo l'integrità che la natura ha donato. Ma mai avevo trovato una descrizione tanto realistica del concetto. Non accade nulla, eppure l'indignazione sale. Una bambina bistrattata, non valorizzata, insultata. Non comprende, certo, non con le parole. Ma in quel buio la sofferenza deve essere lancinante, sempre sola, sempre inascoltata.

Non riesco a perdonare nemmeno Anna, per la verità. Quei nove minuti di cui parlavo all'inizio, sono distruttivi. Helen si rifiuta di sedersi a tavola, quindi Anna le insegna l'educazione e, soprattutto, le fa comprendere chi comanda. Nove minuti di piatti lanciati in aria, di urla e di capricci portati all'estremo, di sberle e tirate di capelli. Ma, come vi ho già detto, alla fine "Helen ha piegato il suo tovagliolo". Sì, ma a che prezzo? Insegnare l'educazione con la violenza? Inculcare educazione PRIMA di arrivare ad assorbire il male impregnato in lei? A che pro? A che serve, soprattutto? E come avrà vissuto, Helen, da dietro il suo muro di silenzio?

Ma Anna, naturalmente, non è solo quello. E' colei che le insegna le espressioni del viso, colei che le regala fiducia e le insegna l'esistenza. Che le restituisce quella dignità negata in partenza. Colei che diventa la sua Maestra (e non è un titolo che si regala...). Acqua è vuota parola. Ma quando "Acqua" è associata a qualcosa di freddo o di caldo, che scorre, che ha una sua consistenza... quale mondo racchiude!! Acqua, ramo, terra, cielo, mare....

Helen uscirà dal suo silenzio. Forse, dal Buio, Mai.

Luci della città

Il vagabondo è innamorato.
E' rimasto rapito, vedendola. Una piccola, dolce fioraia.
Cieca.
Non si rende subito conto del fatto che non veda. Ma è proprio n quel momento, quando le raccoglie il fiore che le è scivolato per terra, che perde la testa per lei.

Tanto da trovare un lavoro. Da aiutarla nei suoi problemi con l'affitto. Tanto da rubare per lei e finire in galera, per permetterle di operarsi agli occhi. Così vedrà. Anzi, lei aggiunge, LO vedrà.
;a il volto del vagabondo, a queste parole, si impaurisce.
Forse è meglio che lei non sappia.

Perchè non si tratta di un milionario, come pensa. Perchè non è bello e distinto, come sicuramente immagina. Lui è Charlot. Con i pantaloni troppo larghi, la bombetta e il bastone. Lui non è ciò che desidera.

Ma per lei, questo e altro.
Uscito di prigione, tristemente, si aggira per la città. Due ragazzi lo deridono. Abbassa gli occhi... e vede dei fiori.

E pensa alla sua piccola e dolce fioraia...

Ma lei è lì. Lo guarda e ride. Ride di lui.
Rimane inebetito, con un sorriso, sincero, felice. Lei vede. Ed ha un negozio tutto suo. E poi, soprattutto è bellissima. Tanto bella. Ma non può toccarla. Non può farsi riconoscere. Non così, non lì. Non con lei che ride.
Lei esce, per regalargli dei soldi e un fiore. Ride ancora.

Lo tocca. A quel punto, tutto si ferma. Capisce. E' il gentiluomo. Colui che ha sempre desiderato incontrare. Lui è lì. E il suo sorriso diventa ancor più dolce.

... Luci della città è uno di  quei capolavori che Chaplin ci ha regalato. Una storia d'amore dolcissima e tremenda, nella sua semplicità. Un film muto, nonostante fossimo negli anni del sonoro (ma Chaplin lo odiava... credeva sarebbe stata  "una moda passeggera").

Quando la parola fine campeggia sul video, non si può non chiedersi "Ma cosa succederà, ora? Lei lo potrà amare?".

Ma no, il sorriso di lei non era d'amore. Forse di sorpresa... ma non d'amore...

... Meraviglioso.

 

Sintesi cinefila

Quando racconto di cinema ambirei al dono supremo della sintesi ma consegnare una recensione di un rigo – come piacerebbe a me – so mica se rende contento il Signor Editore. Quel che segue sono semplicemente titoli cotti e mangiati e sottotitoli, generati col Pesce Babele residente nel mio cervello. Che, a proposito, saluta tutti.

L’AMICO DI FAMIGLIA di Paolo Sorrentino
Cattiva solitudine, nefasta natura umana: il Cinema necessario

GRIZZLY MAN di Werner Herzog
Come perdere iscritti al WWF
 
CHILDREN OF MAN di Alfonso Cuaron

Sublimi fotogrammi in movimento e finale appiccicaticcio

MARIE ANTOINETTE di Sofia Coppola
(Ir)reali, ricche ragazze chic perse nella storia (quale?) 

QUALE AMORE di Maurizio Sciarra
Quale amore? Quale prece! 

IL VENTO CHE ACCAREZZA L’ERBA di Ken Loach
L'IRA funesta di Ken e del popolo irlandese

THE DEPARTED di Martin Scorsese
Bravi ragazzi, cattivi poliziotti: l'ombroso Scorsese ritrovato 

UOMINI E DONNE di Bart Freudlich
Meglio i tronisti 

MIAMI VICE di Michael Mann
Criminal greetings from Miami 

SCOOP di Woody Allen
Non tutti i tarocchi vengono per nuocere

IL DIAVOLO VESTE PRADA di David Frankel
Il Diavolo le veste e poi le rattoppa la morale disneyana

Psyco

Tutti, ma dico tutti, hanno visto Psyco, il celebre film di uno dei registi più importanti della storia del cinema (posso non scrivere il suo nome, visto che sicuramente ne sbaglierei l'ortografia?).

Ma il vero quesito del giallo/thriller non è "chi sia la donna sepolta nel cimitero, se non è la madre di Norman Bates".... nè dove siano finiti i quarantamila dollari...

La vera domanda è:

Perchè sia Norman Bates che l'investigatore privato continuano a uscire e a entrare dalle macchine passando per il sedile del passeggero?
La porta "giusta" è perfettamente funzionante, anche perchè si tratta di due automobili differenti.

Possibile che sia questione di inquadratura? Da un genio come Alfred?

E poi... Come fanno a sparire ben 4 automobili in uno stagno?

Onestà intellettuale non si vende al mercato.

C'è una sostanziale differenza tra il festival del cinema di Venezia finito a Settembre a Venezia e la festa del cinema che si sta svolgendo Roma in questi giorni.
Venezia ha ricevuto dal Governo la ragguardevole somma di15 milioni di euro. Roma ne ha ricevuti 300 milioni.
Qui di fatto da Prodi i soldi si son visti solo per finanziare il Mose, pompino gratuito bipartisan, e un bel taglio di fondi a Cacciari che si è permesso di dire che quel progetto fa acqua da tutte le parti.

Cacciari l'ha presa con filosofia, commentando che la differenza sta nel fatto che a Roma hanno il Papa. E Veltroni. [Le malelingue poi dicono che là Veltroni ha pure Berlusconi, qualcuno sa perchè]
Solo la smettessero di dire che è "solo" una festa e che "non c'è nessun tipo di competizione".
Verità è che anelano da anni a "farci la zucca", come si dice da queste parti, e se il governo li aiuta ancora un po' come sta strenuamente cercando di fare visto la nostra scarsa tendenza alla paritocrazia, può anche darsi che ce la facciano. Avessero il buongusto di dirlo ad alta voce almeno la cosa avrebbe quasi una parvenza onesta.

Buffet

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Si comincia!

Spot

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Fornace musicante

Cocapera: e sei protagonista

Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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