Archive for the 'Personale' Category

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Note a margine sulla città di Londra

Appunti sparsi su alcune cose curiose trovate a Londra. Le foto di architetture e scorci incredibili invece sono qui.


I doubledecker bus non sono come pensavo da bambino degli autobus a due piani preposti a giri panoramici della città, ma i normali bus in circolazione per tutti i cittadini. Se la giocano a metà con quelli ad un piano quanto a diffusione, hanno una corsia preferenziale ma rimangono imbottigliati nel loro stesso traffico: ce ne son troppi e con troppe fermate, così nelle ore di punta si procede praticamente a passo d'uomo in una eterna coda di bus rossi a due piani.Le auto sono tutte ben tenute, mediamente nuove o di pochi anni, niente vecchie utilitarie anni ottanta, ma il traffico è davvero insostenibile: conviene andare in bicicletta, e non a caso sono nati in pochi anni un mare di negozi che vendono modelli elegantissimi o da corsa. Il londinese fighetto ora va al lavoro in bici, e per i turisti c'è la possibilità di noleggiarla qualche ora scalando il credito dalla Oyster Card, una prepagata per tutti i trasporti londinesi.


A Londra ci sono telecamere dappertutto: difficile compiere un reato senza essere quantomeno visto. Non si può sostare sui lati fuori dei pub ma solo davanti all'entrata, per controllare eventuali risse o ubriachi molesti. Ci sono vere e proprie no-alcohol zone in alcune vie e non rispettarle significa andare nei guai e mandarci anche i gestori del locale. Mentre aspettavamo in coda di entrare in un locale stavamo beatamente bevendo delle birre quando il buttafuori ci ha fatto cenno verso la telecamera: o le buttate via o ve ne andate di qua. Non è così ovunque, in alcune zone è tollerato quasi tutto, come a Brick Lane ad esempio, dove la gente inizia a suonare i bonghi e a bere birra già a metà pomeriggio.


Tracce di William e Kate nemmeno l'ombra nella Londra che abbiamo girato in questi giorni. La monarchia piacerà anche alle signore di mezz'età ma interessa assai pocoi giovani londinesi. Eccole le due anime di una città con secoli di storia e contraddizioni: il thè delle cinque, le porcellane, il Cheshire sulla ginocchia, la Regina e la passeggiata al parco, ma anche la cultura underground, i locali dub, i mods, i punk, Camden e mille mercatini più o meno legali. A Soho però qualche oggetto kitsch spunta addosso a qualche hipster (kitsch, ma dove l'ha trovata questa parola? mi sgriderebbe Moretti). Me le vedo queste coppie gay sbrodolare davanti al vestito della principessa o per il cappellino indossato da Elisabetta a Westminster.


Brick Lane è una specie di ghetto underground pieno di giovani, locali fighi, gente che fuma, che beve, che mangia per la strada e lascia sporco in giro. Punto di riferimento per anni di questo tipo di cultura, oggi è al centro di una regolamentazione forse in vista delle olimpiadi del 2012 o forse perché le cose vanno sempre a finire così e dove c'è troppa libertà poi arriva un sindaco di destra che si disgusta e fa sbaraccare tutto. Così ecco arrivare zone ordinate con bar e panche per sedersi, polizia ad ogni angolo, telecamere come se piovesse. Mi dicono che non sia più come prima, ma a me che la vedo per la prima volta pare ugualmente una zona molto pittoresca ed artistica.


Lungo Brick Lane è un susseguirsi di ristoranti etnici di più o meno ogni stato mediorientale. La cosa buffa è che ognuno riporta uno striscione sulla facciata dove si loda per la vittoria a qualche tipo di award: tutti hanno vinto almeno un titolo. Il miglior ristorante halal, il miglior curry restaurant, il migliore libanese del 2003, il secondo classificato turco del 2005 e quello che è tre anni che si porta a casa il titolo di migliore di tutta Brick Lane. Persino gli acchiappa clienti sulla porta ti vogliono tirare dentro con la scusa che è un ristorante di qualità in quanto blasonato e titolato.


L'estetica britannica è permeata dell'uso del font Gill Sans. Si trova in tutte le comunicazioni istituzionali del Comune di Londra, nei cartelli degli autobus, dell'underground e in un mare di insegne di negozi. Conferisce una certa uniformità se non sfociasse in una fissazione: ogni cosa moderna è scritta in Gill Sans, ogni insegna antica e classica in Garamond o simili, così non c'è molto spazio alla fantasia. Poco Helvetica in giro, d'altronde appartiene alla cultura elvetica e tedesca, anche se è lo stile usato da molte catene internazionali tra cui ad esempio Mark & Spencer o American Apparel. Molti negozi hanno un'immagine coordinata curata: dall'insegna ai cartelli dei prezzi, alle shopper, anche i negozietti più piccoli hanno comunque fatto uno studio sulla grafica per non sfigurare in strada con i concorrenti. Le insegne si susseguono in maniera molto più vistosa che in Italia e mentre i palazzi mantengono il loro rigore britannico ai piani alti, guardando verso il basso è un caos di scritte di ogni tipo, richiami colorati, input visivi nel complesso disordinati.


Nelle banchine di sosta nell'underground oltre ai soliti cartelloni pubblicitari ogni tanto compaiono usi più creativi degli spazi: alcune campagne si basano esclusivamente sull'uso del testo. Paragrafi lunghi e discorsi di una certa rilevanza contano sul fatto che l'attesa è mediamente lunga e si ha tempo di leggerli con relativa calma. Quando arriva la metropolitana una voce ripete ossessivamente "please, mind the gap" e fin qui niente di nuovo. Quello che ho scoperto è che agli inglesi devi proprio ricordare tutto: sulle scale ci sono i cartelli "mind the steps", sulle porte "mind the door". Per non parlare dell'aeroporto in coda al controllo bagagli, dove i cartelli sono tra l'ossessivo e l'orwelliano.


I controlli antiterrorismo inglesi in aeroporto sono molto elevati rispetto quelli italiani. I liquidi devono andare dentro una bustina di plastica trasparente e non superare i 100 ml per pezzo. La bustina dev'essere sigillata come quelle per contenere i cibi. La mia era trasparente ma aveva una zip, così i bobby inglesi me l'hanno respinta e ho dovuto comprarne una conforme dalle apposite macchinette che sembrano quelle con le palline colorate dei bar anni ottanta. Dentro ogni pallina ce ne sono quattro e il tutto costa una sterlina: accordatevi con i vicini, a voi ne basta una soltanto e, vista la consistenza, probabilmente solo per una decina di minuti.

Prendere un aereo tredici anni dopo


Chi mi conosce sa della mia paura per gli aerei, il volo, le altezze e così via. Una cosa piuttosto diffusa quanto sciocca, dovuta a chissà quale tarlo che si è insinuato ormai diversi anni fa nella mia mente e non è più andato via. L'ultima volta che ho preso un aereo correva l'anno 1998, era dell'Aliltalia, quando era ancora davvero Alitalia, a bordo servivano il caffè e ti davano il giornale. Io ho preso la Gazzetta dello sport perchè volevo leggere del malore di Ronaldo in finale di Coppa del Mondo. Andavo a Londra a studiare inglese in un college per due settimane, come si usava fare negli anni novanta d'estate e forse anche adesso ma con l'euro costerà almeno il doppio. A fianco a me avevo un perfetto sconosciuto, che poi per fortuna non sarebbe diventato il mio compagno di stanza perchè si rivelò essere tra i più stronzetti della compagnia e finii invece per fare amicizia con Davide che qualche anno dopo scrisse persino su questo sito quando ancora non era un blog.

Ma non divaghiamo. Dicevamo dell'aereo, che ho paura, e che sono 13 anni che non ne prendo uno. Nel mentre sono nate le compagnie lowcost, sono nati nuovi aeroporti (tipo, uno qualunque, Malpensa), ci sono stati disastri aerei, l'11 settembre, Lost e altri film e telefilm ambientati su aerei che cadono o spariscono, sono cambiati i controlli al check in e anche le modalità di imbarco e di prenotazione. C'è internet in pratica che ha sparigliato le carte anche in questo settore. Eppure la mia paura rimane tutta al suo posto ed io, per assecondarla, ho viaggiato in macchina più o meno in ogni posto che si potesse raggiungere in macchina, su e giù per il vecchio continente con una vecchia Lancia Dedra o una vintagissima Fiat Uno, per tredici lunghissimi anni.

Prima o poi le cose però vanno affrontate nella vita, e visto che il tempo passa in fretta e ci si fa vecchi, restare con i piedi per terra ancora a lungo sarebbe stato davvero sciocco. Quindi ho comprato un biglietto per Londra un mese fa. Domani si parte, anzi si riparte proprio da dove ero rimasto nel luglio del 1998. Ryanair, volo economico, bagaglio ridotto all'osso, servizio semplice ed efficace. Cercherò di dormire, o di giocare a frisbee con le hostess, mi han detto che si può. Ho autorizzato la mia compagna di viaggio a menarmi nel caso mi metta a gridare come un bimbo che vuole scendere. Tanto sono convinto che appena saremo un poco in alto mi metterò a fare urletti di stupore guardando le nuvole e la paura sarà passata. Proprio come un bimbo che non voleva salire, ma poi chiede alla mamma se può fare un altro giro.

Habemus Perugiam

(Lo sappiamo, lo sappiamo, a Perugia c'è il Festival del Giornalismo, ma ieri era pure il Record Store Day 2011 e tra l'altro c'era pure il sole e tirava vento e quindi niente, abbiam finito per divagare pesantamente)

Non vola più una mosca

Le zanzare giganti rimaste li, come i piatti da lavare, erano tutte inspiegabilmente morte quando il giorno dopo sono tornato a vedere. Dev'essere passata la nube atomica da queste parti e con il loro corpicino gracile non hanno resistito alla botta. Le ho contate spazzando in terra, erano cinque, e in mezzo alla polvere che ho tirato su si contorcevano facilmente fino a diventare anche loro granelli di materia inanimata. Abbiamo scoperto che un appartamento non occorre quando viene caldo, ed è sufficiente un gradino e un po' di balcone, per appoggiare i piedi e qualche bicchiere. Poi a volere essere sofisticati ci si possono mettere anche i tavolini di ikea che ti mandano per posta per invogliarti ad avere una casa con un giardino, sui quali puoi appoggiare il mac per lavorare da casa, come va di moda adesso, per chi può, per chi riesce. Magari buttiamo giù un pezzo di muro per vedere meglio i gatti sui tetti che scottano e il tramonto dalla parte sbagliata.

Le cose succedono

Quando ogni tanto mi lascio prendere dallo sconforto pensando che Berlusconi non se ne andrà mai da questo paese e non morirà mai perchè si farà clonare o congelare o che ne so io, poi penso che in realtà le cose prima o poi succedono se sono in qualche modo previste. Non c'è fretta: basta attendere che la Storia faccia il suo corso ed anche avvenimenti improbabili (non impossibili, attenzione!) infine capitano.
Attimo ad esempio, alla volta del 25 marzo 2011, è capitolato passando al lato oscuro della forza.
Non so però se questo ragionamento mi porti quindi a concludere che anche Berlusconi prima o poi morirà, oppure se passerà a Mac.

 

Chiedi chi era Diamante

Diamante era lo storico del paese. Nessuno l'aveva insignito di tale ruolo ma in ogni paese che si rispetti c'è sempre un sindaco, un prete, un ubriacone, un matto, ed altre figure tipiche. Lui conservava la memoria storica del paese: sapeva risalire ai tuoi antenati anche quattro o cinque generazioni indietro, conosceva la storia di tuo nonno e tuo bisnonno, i nomi dei caduti, gli anni in cui si erano svolte le feste patronali, quelli in cui un giornalista Rai era passato per documentare qualcosa in paese e quelli in cui gli emigranti erano partiti per il Canadà, nel primo dopoguerra. Salutava tutti e di tutti voleva sapere ogni cosa: se eri capitato in paese doveva esserci un motivo, e sapere quel motivo era tutta la sua vita.

Annotava tutto quello che succedeva in piccoli quadernetti delle elementari, diari preziosi di una quotidianità piuttosto monotona, come si addice ad un piccolo paese di montagna. Un giorno che lo andai a trovare da ragazzino insieme a suo nipote Mimmo per saperne di più su leggende e antiche memorie del paese, ci offrì contento da bere il consueto analcolico e riempì il suo tavolo di foglietti “a cura dello scrivente”, da lui redatti con minuziosa cura a macchina da scrivere e bordati a pennarello rosso uno ad uno. Opuscoli su chiese e monumenti colmi di arte e storia, racconti favolistici scritti in un ampolloso italiano d'antan unici nel loro genere, che fotocopiava e distribuiva in occasione delle celebrazioni del 25 aprile, del 2 giugno, o di qualche festa patronale dove non mancava di suonare l'harmonium in chiesa scrutando lo spartito da pochi centimetri dietro le sue lenti spesse.

Cappello degli alpini sempre addosso, occhiali scuri, Diamante osservava il mondo curioso, sempre con il registratore sotto braccio e quei nastri a cassetta su cui erano incisi gli inni degli alpini, da ascoltare durante gli alzabandiera davanti alle autorità. Un senso della patria solenne e forse fuori dal tempo, che faceva sorridere molti, ma che negli anni gli ha regalato l'affetto e la stima di tutto il paese. Chiunque prima o poi è passato per il suo mitico scantinato, un vero e proprio museo pieno di reperti storici più o meno veritieri sui quali narrava storie lontane nel tempo e nello spazio: le palle di Annibale ad esempio, che restano nell'immaginario collettivo forse l'oggetto più chiacchierato e raccontato al bar o nella piazza locale. Quando si è un mito non mancano poi le imitazioni: quella di Luigi rimane la migliore, che indossando occhiali e cappello sapeva coglierne frasi tipiche e tic, suscitando simpatia in ogni occasione.

Con la scomparsa di Diamante ieri a Roma, se ne va insomma un tassello importante di un paese montano che va spopolandosi, e soprattutto un'importante memoria di quello che è stato, che si spera potrà essere valorizzato un domani dalla famiglia e dalla proloco locale. A Diamante, un caloroso ringraziamento per quello che ha fatto per il suo paese e la sua terra, e la certezza che l'avranno accolto in cielo con la bandiera e l'inno, proprio come sarebbe piaciuto a lui, davanti a tutte le autorità di un tempo che non c'è più. A lui il compito di raccontare cosa succede lassù, giorno dopo giorno. Sempre che vendano i quadernini, da quelle parti.

lo scrivente E.C.

Nonna, ascolta questi Mogwai

quando ieri sera hanno iniziato a suonare i Mogwai ho pensato che era il suono del futuro, e che ero diventato grande e il futuro non era come l'avevo immaginato ma ci assomigliava abbastanza da fare un suono etereo ed indefinito che colpiva diretto al cuore. mi è sembrato fosse passato un secolo da papaveri e papere e dalle canzonette di sanremo in bianco e nero, e come siamo arrivati a questi suoni postmoderni? in mezzo cosa passa? vorrei far sentire questi brani a mia nonna, che non apprezza molto le canzoni di adesso perchè non riesce a capirle, ci sono troppi suoni dice, troppe parole in fretta, non si capiscono più, una volta erano belle e le potevi cantare. vieni a sentire i Mogwai, nonna, ascolta dove siamo finiti, la guerra non c'è più, le televisioni sono piatte e ci parliamo su skype da una parte all'altra del pianeta, mia sorella sembra vicinissima anche se è andata ad abitare via. vieni a sentire, nonna, il muro di rumore che produce una band dei nostri tempi, e immagina quello che ancora sarà, quello che sempre i soliti strumenti ora sono in grado di produrre per emozionare una platea di giovani folle che non si lamenta se il cantante non canta, pensa nonna, nemmeno una parola in due ore se non per ringraziare. a questo pensavo ieri, ed era il 2011, ma era già il futuro, lontano da quando ero bambino e registravo le musicassette degli ottoottotre, lontano dai vinili incisi con le lacche che mettevi sul giradischi e ai radioromanzi ascoltati tutti insieme nel salotto del vicino. hai ragione tu quando dici che è un peccato morire e non vedere cos'altro ci aspetta e come cambia il mondo, forse in peggio sicuramente, ma questi signori son venuti dalla scozia a farci sentire come suona il futuro e fanno impressione, e allora nonna, spero tu possa campare altri cent'anni per poterli ascoltare e capire, digerirli, farli tuoi. pensavo che potresti iniziare da questo pezzo, mentre guardi fuori dalla finestra del tuo salottino i camion che portano via i mobili dell'ufficio davanti e un'altra famiglia di immigrati colonizzare la tua zona. che fatica il futuro, nonna.

La seconda cosa che vedi quando arrivi a Ferrara

Ancora treni, ancora stazioni e piazzali davanti alle stazioni, non è che stiamo diventando un blog per pendolari, però non è nemmeno colpa mia se le cose succedono o non succedono dentro e fuori e lungo le stazioni. Ché detta così sembra esattamente quella banalita qual è. Ma insomma, le stazioni sono posti così fascisti, ché le stazioni praticamente tutte le hanno tirate su loro, da diventare perfetti luoghi di resistenza, e sono posti fascisti e dunque spigolosi, essenziali e definitive nelle forme, con quei marmi segnati e quindi liscissimi, quando non sono incrinati, e quei freddi d'inverno dove sono tutti sotto i sottopassaggi ad aspettare una poltrona calda dove poter dormire altri cinque minuti in più. Dentro le stazioni si resiste, fuori dalle stazioni capitano cose che nemmeno ci fai caso, vedi gesti piccoli inoffensivi gratuiti e però proprio per questo ti sembrano anche così volgari, quasi te ne vergogni a parlarne.

Il biciclaro della stazione di Ferrara

Uno esce dalla stazione di Ferrara e la prima cosa che vede è un mare di biciclette. Piantagioni di bici (bici e stazioni, sempre lì si finisce, ve l'ho detto) geneticamente modificate, ridipinte per non farle riconoscere dai rispettivi proprietari che nel frattempo le avran rubate a qualcun altro. Io, per dire quanto son diventato diffidente, la parcheggio lontano, mica lì davanti, la parcheggio lontano al sicuro nel cortile di un palazzo. Lontano.

Allora quando esco dalla stazione, per colpa della mia diffidenza mi tocca fare un pezzo di strada in più a piedi e passo davanti a queste biciclette parassite che si attaccano a qualsiasi cosa, rastrelliere pali infissi alberi cartelli, e poco prima di infiltrarmi nel parco attorno al Grattacielo, un tempo la zona più malfamata di Ferrara ora "simbolo" dell'integrazione, almeno così dicono, sicuramente forse l'unico posto dove d'estate alla sera ci sono bambini fuori a giocare o persone a discutere tra di loro, appena prima di entrare nel parco del Grattacielo ci sta sulla sinistra il 'biciclaro' della stazione, che oltre a riparare le biciclette rotte ha il suo piccolo parcheggino privato, dove pagando lui ti tiene a bada le biciclette.

E' un servizio per i pendolari diffidenti, o pendolari esasperati dai continui furti forse, o pendolari che toccatemi tutto ma la mia bicicletta no, ognuno ha i suoi validi motivi per non volersi fare fottere la bicicletta, e allora paga e la lascia lì, in quelle rastrelliere un po' più rastrelliere delle altre, dipinte di giallo e separate dalla giungla con soltanto un cordicino metallico. A vegliare su di loro, mentre tu dormi verso Padova Rovigo Venezia Bologna, ci sta un omino, un umarell meccanico di biciclette, che butta un occhio ogni tanto, così tu sui tuoi regionali puoi dormire tranquillo, sicuro alla sera di ritrovare la tua fedelissima bici (rubata o meno).

Però il biciclaro della stazione non si limita a tenertele lì, le biciclette. Cioè, a forza di passarci tutte le sere, ho notato che intorno alle sette e mezza ormai tutte le bici sono state riprese dai legittimi (o meno) proprietari, tranne una, ed è la bici di una ragazza, oddio, donna, signora, insomma, di una tipa che secondo me è una professoressa o una maestra forse una mamma, non importa, lei si presenta dal biciclaro e lui è lì sulla soglia della bottega con la sua bici in mano. Sta lì, ad aspettarla, così lei quando arriva al termine della giornata, deve soltanto prendere la bici già aperta che le viene offerta dal biciclaro, salire e salutare ringraziando quella persona lì, che non si limita a riparlarle, le biciclette, o a buttarci un occhio, ma te le porge anche.

Ecco. La seconda cosa che uno vede, uscendo dalla stazione, dopo il mare di biciclette, è un gesto carino. Uno poi pensa, stai a vedere che qui a Ferrara sono tutti così. Carini.

A Ferrara le bici erano come le persone

Niente, ieri con i due viaggi in treno e mettici anche un'ora sottratta al sonno ho finito un libro che avevo preso praticamente senza pensarci alcuni mesi fa. Quando intendo senza pensarci intendo davvero senza pensarci, sono uscito dal lavoro, sono entrato dalla Mel (perché da noi si dice così, LAMEL), ho chiesto se avevano quel libro, che era uscito esattamente quel giorno stesso, qui la pazienza te la raccomando, sono entrato trafelato perché ero in ritardo, ero in bici e poi dovevo tornare a casa e scambiare la bici con la macchina, avevo ancora la Puntoverde, all'epoca, cara lei, e poi andare dal cinese e poi in stazione, e poi andare al Comunale per il miglior concerto di Vascobrondi visto finora, ché sabato all'Estragon non ci vado perché ora ci ha messo pure la batteria nei pezzi e perché comunque vado altrove, se ci metti insieme tutto questo ero trafelato e insomma entro da Lamel e chiedo questo libro, il tizio ci guarda e dice sì ce l'ho, e io dico che però ne volevo due copie, è possibile? e lui ah guarda ne abbiamo cinque se vuoi te le dò tutte, a me non cambia niente, a me sì invece, quindi ne prendo solo due, il massimo indispensabile, prendo infilo nello zaino vado in stazione e lo sventolo fuori e dico fanculo a trenitalia.

L'ho preso così, senza nemmeno sapere di cosa parlava, e guarda caso anche dentro al libro partono diversi fanculi a trenitalia, ma è più che altro un libro sulle biciclette, l'ho preso poi anche per quello, oltre al fatto che fosse di Paolo Nori, l'avevo sentito parlare, leggere cioè, soltanto a Carpi per la Resistenza e lì mi aveva fatto rabbrividire, in senso buono, e sorridere, e ne avevo sentito parlare come uno dei migliori scrittori italiani viventi, più o meno, adesso probabilmente ricordo male, ma questi sono dettagli, a me contava che mi avesse fatto rabbridivire (un lavoro) in senso buono, contava che parlasse di biciclette, anche se poi ho scoperto che non era il tema principale, contava soprattutto mandare a fanculo trenitalia, fare le sorprese, comprare un libro. Ecco, l'ho preso essenzialmente perché avevo voglia di comprare un libro, che significa tante cose, nell'ordine: avere voglia, avere voglia di comprare, avere voglia di comprare un libro, un libro. Tanta voglia che ne ho prese due copie, figuriamoci.

Ora, potrei passare le prossime giornate a riportarvi le pagine che ho cerchiato sobriamente con la matita, facendo un cerchio attorno al numero di pagina, invece che sottolineare il pezzo esatto, ma perché intanto non so, mi mettono soggezione i libri, nel senso buono, e allora non mi va di sporcarli col mio tratto di penna che va di traverso, e poi perché cosa vuoi sottolineare, lì tutte le pagine son buone e allora l'ho presa alla larga, così quando tra ventanni lo andrò a ripescare dalla mia libreria di casa (tra ventanni ce l'avrò anchio vero una casa mia sulla via Emilia?) per rileggere i passaggi che ho adorato finirà che per ritrovarli leggerò anche tutta la pagina intera e quindi anche il libro intero. Potrei insomma, ma mi trattengo, anche perché ho pensato, metti che ve le riporti tutte, poi vi passa la voglia di comprarlo anche voi, questo libro, e non va bene, perché questo libro non parla mica solo di biciclette, parla di nasi a forma di roncola e di cassette sbobinate. Soprattutto cassette sbobinate.

E al mare, a Viareggio, una signora che era seduta sotto l'ombrellone vicino al nostro aveva raccontato a una sua amica che suo figlio, siccome gli avevano insegnato che non si dice Voglio ma Vorrei, adesso lui a sua mamma e a suo babbo diceva: "Ti vorrei bene".

Paolo Nori - A Bologna le bici erano come i cani

Lo strano caso del Digitale Terrestre

Questa cosa che Dan Peterson torna ad allenare dopo 25 anni passati a bere tè freddo a bordo di piscine californiane mi ha decisamente scosso e mosso un fremito interiore. Dan Peterson, dopo 25 anni al sole della California circondato da ragazze bionde dalla dubbia morale e con un insospettabile accento ferrarese e atteggiamenti da magnaccio piacione, si infila di nuovo le scarpette (rosse, per l'occasione) allenerà la sbrindellata Olimpia Milano, un tempo squadrone che tremare il mondo fa e ora invece sbrindellata compagine lombarda che si schianta a Cantù nell'ultima partita. Il tempo passa per tutti, per le storiche squadre di basket ma non per Dan Lipton Ice Tea Peterson, che dice di "aver perso una notte di sonno, ma che all'Olimpia non poteva proprio dire di no".

Tralasciando per un attimo il discorso puramente sportivo, visto che tenere per anni una rubrica sulla Gazzetta (la Gazzetta dei nostri giorni, peraltro) non sia automaticamente garanzia di aggiornamento professionale, il ritorno di Dan apre scenari inquietanti su le vite di ciascuno di noi. Qui gli si vuole bene come a un figlio, al nostro Dan, anche perché ha traviato le nostre estati con sorsate di tè chimico che sapeva di tutto tranne che di tè, ma come resistere al tintinnio dei cubetti dentro quel bicchierone enorme e volgare directly from Californiaaa? Non si poteva, e infatti siamo cresciuti come siamo cresciuti, ma pensavamo di aver confinato Dan Peterson nel museo delle cere viventi, eppure ce lo ritroveremo a bordo campo a urlare di nuovo ai suoi "ragazzi" che devono "sputare sangue". Dan, fermati un attimo, vorrei farti notare due cose: il tuo labiale (vedi il video culto che anticipa di anni et anni tutte le parodie possibili inventate poi sulla Rete) è inequivocabile, e che noi qui si sputa sangue da appunto 25 anni. E adesso torni tu, e pretendi che non sia cambiato nulla? FENOMENALE.

E invece ci tocca vivere in un mondo dove ancora tutti si ricordano perfettamente le mosse del Gioca Jouer di Cecchetto (prossimo ritorno?), ma non possiamo più ammirare Uan in Uanathan, o quelle interminabili puntate dove sempre Uan e Bonolis trasmettavano dal Polo Nord, episodi memorabili di un tv fatta coi piedi ma artigianalmente, almeno, mentre ora ci sono rimasti solo i piedi e al pomeriggio i cartoni nemmeno li danno più. Dan, torni dalla California e vuoi che sputiamo sangue mentre oggi i bambini crescono con una tv che al pomeriggio manda i troioni di Uomini e Donne e non Mila e Shiro, e poi uno si chiede il crollo delle vocazioni per la pallavolo.

Dan, è cambiato tutto, e il tuo ritorno su una panchina come se nulla fosse è il crack del 2011, il vero evento di un decennio abortito, che si ripiega su stesso come nemmeno i sogni di Inception, dove il tempo reale è diventato a pagamento, e infatti noi poveracci che armeggiamo con la banda quinta sopra al tetto umido, Dan mio, non ti vedremo, ma ti vedranno soltanto le gens illuminate di Sky, quelle per cui 2011 non significa i Robinson su K2 o Happy Days su Mediaset Extra o i film di Tomas Milian su Rai Movie, ma, che so, allenatori milanisti sulla panchina dell'Inter, ovvero NOVITA', cose mai viste e soprattutto in orario.

Ci hanno tolto tutto Dan, e sputare sangue proprio non ne abbiamo voglia, al massimo possiamo assaggiare un bicchiere di tè alla pesca (l'invenzione peggiore del secolo, seconda solo al Tè Deteinato), senza ghiaccio magari, ma ormai non abbiamo più nemmeno l'edizione regionale del Tg3, ora non so chi abita nelle altre provincie dell'Emilia e della Romagna, ma noi qui a Ferrara dal giorno del suic of ci tocca sopportare l'edizione del Veneto, e quindi le alte maree lagunari, il servizio sulle nevi della Perla delle Dolomiti, le dichiarazioni fasciste di Zaia o Tosi o chi per lui, o i gol del Cittadella o del Portogruaro, tutte cose a loro modo interessanti (io a Venezia ci lavoro per dire) ma grazie, io quando torno a casa alla sera voglio sentire le mie radici, e guardare la cosa più triste in tv dopo Omnibus del mattino, ovvero il Tg Regionale, e invece noi ferraresi siamo stati cancellati dalla mappa del Diggitaletterrestre e ci propinano tutti i giorni l'edizione veneta. Dan, io lo sputo anche il sangue sul decoder, tutti i giorni gli parlo, lo accarezzo, tutti i giorni lo sottopongo a corroboranti sedute di Risintonizzazione automatica dei canali, ma niente, salta sempre fuori la malefica scritta Veneto, e oltre a non vedere più Mentana mi tocca perdere anche le imprenscidibili sagre da Bagno di Romagna o di Verghereto, ed è un colpo troppo forte per tirarsi su. FENOMENALE.

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Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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