Good Luck

Quando uscì l'annuncio della data numero zero dei Giardini di Mirò, a Ferrara, il giorno dopo andai subito a prendere il biglietto, in un Mediaworld qualsiasi, per due motivi: il primo, perché avevo voglia di vedere l'effetto che facevano, le parole giardini-di-mirò risuonate dentro un Mediaworld che nemmeno li vende, i loro cd. Secondo, perché i Giardini di Mirò sono quel gruppo che se provi a spiegare come suonano, non ci riesci mica. Credo sia sufficiente, no?

Suonano "da sedici anni", come ha ribadito Jukka questa sera, alla Sala Estense, e hanno un'ironia lieve, emiliana, e levigata da anni, appunto, passati a suonare assieme, quando parlano sul palco tra una canzone e l'altra. Eppure, io che non li conosco così bene da poter riconoscere le smorfie e le incertezze delle loro corde vocali mentre ringraziano, mi sembra conservino intatto quel loro essere introversi, timidi, quel senso del pudore, quasi, che li fa sembrare (azzardo) naif, o noiosi, o aristocratici. Perché i Giardini di Mirò sono esattamente quello, 'classe' pura, una bottiglia di vino, di quello buono, da sorseggiare lentamente, facendo dondolare il bicchiere, o le teste, o le mani o le gambe, oppure da spaccarsele in faccia, senza ferirsi. Li ho sempre visti in situazioni non esattamente canoniche: stasera era la prima data del nuovo tour del nuovo album, per esempio, e prima ancora, era un gennaio di un secolo fa (2010), in tv si parlava ancora di minorenni a feste presidenziali, per dire, ed ero a Berlino, e casualmente loro suonavano proprio a Berlino, le musiche del film muto 'Il fuoco'. Quella sera me la ricordo bene, mi ricordo che al mattino chiesi a Kai, il ragazzo che ci ospitava, se gli andava di venire a sentire un gruppo italiano, lui rispose "ora me li ascolto su Myspace e poi vi dico", noi uscimmo, a consumarci i piedi sui marciapiedi, e quando tornammo, con un mite sorriso disse che in fondo non erano male, e ci avrebbe accompagnato. Così, in un sabato sera di gennaio, mi ritrovai con un berlinese a sentire i Giardini che suonavano le musiche per un film muto degli anni Venti, qualcosa di apparentemente distante, forse (da cosa, poi?), eppure secondo me spiega abbastanza bene cosa possono essere, i Giardini di Mirò. Ricordo anche che poi suonarono anche i loro pezzi, e Jukka disse che ogni volta che venivano in Germania erano felici, perché suonare fuori dall'Italia per loro era come "respirare", ed era esattamente il motivo per cui mi trovavo io a Berlino, quella sera, quell'inverno, ed ero così contento, di respirare assieme ad altri italiani, che a fine concerto quella sera feci una cosa che non faccio (praticamente) mai, andare da un componente del gruppo e salutarlo e stringerli la mano, vergognandomi come un ladro. Me la ricordo ancora, la faccia contenta di Jukka. Si può essere felici a suonare cose tristi?

Non lo so, non conta poi questo. Jukka, poi, me lo ricordo a Carpi, per Materiali Resistenti, io ero in prima fila perché a me ai concerti piace sentire i gruppi che suonano, che detta così può sembrare un'affermazione supponente, ma non è così scontato, pensateci. Mi ricordo quella pelle pallida e quella barba e quel viso che quando suona si stira e quando ringrazia si raccoglie, la faccia di Jukka, dico, quando la vedo penso che la faccia di un emiliano è come la sua, pallida, stempiata, minuta, e però sa stirarsi, sudare, sforzarsi, stropicciarsi durante dieci minuti in apnea di Berlin (la penultima canzone di stasera, per esempio). Quella sera si era là per resistere, prima di tutto, un'altra serata anomala per ascoltarli. Tipo stasera.

Stasera è stata già un'impresa arrivarci, conosco persone che in questo momento stanno facendo chilometri e consegnando ore di sonno in cambio di teste che smetteranno di dondolare, sempre più lentamente, soltanto quando saranno sdraiati, per dire, è stata un'impresa arrivarci tutti interi, sconvolti dall'aria aperta, dalle tachipirine e dalle cose che vanno in frantumi. Non l'avevo ancora ascoltato, prima di stasera, il nuovo album, Good Luck, si chiama, un po' perché odio ascoltare le cose in striming (problema mio, scusate), un po' perché volevo che andasse esattamente così: volevo fidarmi, di loro, volevo chiudere gli occhi e dondolare la testa, e così è stato. Anzi, forse anche meglio: tra un amaro del capo e l'altro passato sottobanco, ho scoperto pezzi che hanno più voglia di scuotere, e meno di bagnarti. Non ve la posto, la scaletta, l'ho rubata così non la saprete mai, andateci a sentirli, senza saperne niente, di cosa suoneranno, andateci perché dei Giardini di Mirò bisogna fidarsi: e ve lo dice uno che non li conosce così bene, appunto, ed è in casi come questi che la parola 'fiducia' serve ancora a qualcosa, forse.

Perché in fondo lo sai, che certe cose possono capitare solo qui, in Emilia, nelle città "con le zampe di diavolo sopra ai portoni delle chiese" (cit. Agu), in quelle sere dove non hanno importanza le canzoni ma chi le suonerà, e chi le ascolterà a fianco o dietro o davanti a te, con vecchi con la coppola in sala che si alzano a fine concerto, imperturbabili, con il maglione sollevato, con la camicia che esce dai pantaloni, ed occhi liquidi dietro gli occhiali spessi. Da qualche parte, sapere che esistono gruppi del genere, di cui magari per mesi ora non riascolterai più nulla, oppure ascolterai solo loro, e possono esistere soltanto in questa striscia di terra che si ricorda soltanto di dimenticare, o di rimpiangere, che fa crescere la nostalgia sugli alberi, per una sera, una soltanto, questa consapevolezza riesce a tenerti in equilibrio mentre muovi la testa, avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro.

(Cidindon era tra quelli che dondolava la testa, e scrive molto meglio del concerto di ieri sera, e di cosa è davvero stato, qui)

Generatore di ottimismo (omaggio a Guerra)

(clicca refresh sul browser per generarne un'altra)

La notizia del nostro presente è fortemente esagerata

Forse non lo sapete, ma in edicola c'è un giornale che viene voglia di comprarlo soltanto 'guardandolo'. E' un mensile, e costa 50 centesimi, la metà di un caffè, e rappresenta lo stato dell'arte della grafica e dell'impaginazione di un periodico: è semplicemente impossibile, infatti, pensare qualcosa di più razionale e armonico di IL, il magazine del borghesissimo Sole 24 Ore. Discorsi fanatici da fanatico quale sono dei giornali, lo so: ma prendete l'ultimo numero in edicola, osservate soltanto la copertina, composta unicamente da caratteri dosati, quasi fossero stati messi lì con le mani, e non disegnate su uno schermo lucido di un Mac. Una grazia declinata su diverse tonalità di grigio, di pieni e di vuoti, di griglie seducenti: la perfezione stilistica, appunto.

Il lenzuolo

Sembra anacronistico, oggi, ai tempi in cui le notizie ormai le leggiamo in bagno sugli schermi degli smartphone, ritrovare la bellezza proprio in edicola, eppure IL è l'esempio di come basti il Bello, per aprire il portafoglio, è l'iPhone dei giornali italiani, ma a un prezzo di un Nokia scassato. Roba da far passare in secondo piano i contenuti, i direttori, le firme: IL è un oggetto da esibire in salotto, in bella vista, prima ancora che da sfogliare. Oggi l'ho comprato, non aspettando come faccio sempre il sabato perché francamente Il Sole 24 Ore non rientra tra le mie letture quotidiane, e poi avevo paura terminasse in edicola visto il gran vociare che se ne faceva su Twitter (come se la gente che usa Twitter andasse ancora in edicola, già). E così, il secondo grande merito di IL (il primo è la Bellezza) è stato farmi portare a casa anche un quotidiano dalle dimensioni così esagerate, in tempi in cui tutti i quotidiani puntano a rosicare preziosi centimetri di carta, riducendo le dimensioni il più possibile per tagliare costi di stampa, visto che appunto, i giornali, stanno diventando 'anacronistici', e non se ne vendono più. E allora bisogna tagliare, tutto.
E viene da sorridere, a pensare che proprio nell'imponente dimensione da broadsheet, quindi segno tangibile di un tempo che fu e che mai più tornerà, per i quotidiani, riscontri il grande merito di IL, che questo mese tenta di sostenere l'utopistica tesi dei quotidiani più vivi che mai. Non c'è affatto contrasto, in fondo. Perché il formato da lenzuolo del Sole 24 Ore mi costringe, per leggerlo, a prendere una sedia, a sedermi al tavolo della cucina, con la luce fioca, a fare rumore mentre lo sfoglio, a muovermi non solo con gli occhi ma anche con la testa, il collo, il dito per tenere il segno, lungo quelle pagine di un giallo come non se ne fanno più. Tradotto in una sola parola: esperienza.

Esperienza d'uso, direbbe un Jobs de noantri, qualcosa che i giornali di oggi, che stanno appallottolati in borsa, che si fanno sempre più timidi, nel tentativo di mantenersi simpatici, pratici, accondiscendenti ai nostri tempi sempre più compressi, non sanno più regalarci. Qualcuno una volta, ora non ricordo chi, disse che il vero stile di un uomo si misurava da come reggeva il giornale mentre lo sfogliava seduto a un tavolino di un bar. Oggi non c'è nessuno stile, nessuna liturgia, nel leggere di sfuggita su giornali sempre più piccoli, ed anzi, il respiro dell'Esperienza (opposta, certo, ma comunque significativa) lo si ritrova facendo scorrere le dita sulla liscissima superficie di un vetro di un tablet. E quindi il futuro è come sempre scritto sui nostri polpastrelli: è il tatto, la vista, l'odore, la percezione, è sporcarsi le mani d'inchiostro o sporcare il vetro con le nostre impronte unte. Questo, è un quotidiano, un giornale, la parola scritta, e di fronte al vetro di un iPad, o al lenzuolo ingiallito di un giornale obbligati a leggerlo a un tavolo, provo quel senso di rispetto che oggi, le cose sospese a metà, non mi fanno più provare. E bastano soltanto due euro, per farmelo tornare in mente.

Che mi hai portato a fare sopra a San Marco se non mi vuoi più bene

Io dico che bisogna essere dei completi idioti se tra tutti i giorni del carnevale si sceglie proprio il martedì grasso per andare a Venezia in treno con i bambini piccoli. Per poi lamentarsi che non si riesce a salire perché è troppo pieno, dove per troppo pieno si intende che la gente dentro non occupa solo il corridoio centrale ma anche i posti tra i sedili dove di solito stanno le gambe delle persone sedute come me, che dormivo e un signore mi ha bellamente appoggiato il gomito in testa e io che sono una persona riservata ed educata e non mi piace fare polemica sui treni specie quando c'è già il caos e nervosismo diffuso ho solo alzato la testa guardandolo come dire ma-che-cazzo! E la gente che vuole salire lo stesso e vuole passare oltre - oltre dove signora? siamo tutti qui pressati non può andare oltre - e quello che sbuffa e la bambina si lamenta che ha caldo e non respira e ha già la mascherina addosso e si scioglie il trucco e io mi chiedo razza di genitore coglione come mai proprio oggi con tanti giorni che hai avuto per venire a questo benedetto Carnevale di Venezia o per mostrare Venezia ai tuoi figli, perché proprio il martedì grasso hai dovuto scegliere, quando la città è nel suo momento più orribile e caotico, ci sono i sensi unici di marcia a piedi, si gira in un unico serpentone in coda, i prezzi sono tutti gonfiati e le frittole con lo zabaione terminate.

Tutto questo per segnalare in realtà che mentre il treno arrivava tronfio a Padova e io mi pregustavo l'apocalisse di ulteriori mascherati che volevano salire forse spingendone fuori altre come certe scene di vecchi film, Trenitalia ha annunciato un treno aggiuntivo per Santa Lucia, in occasione del Carnevale. Sta a vedere che finalmente alcune piccole cose di buon senso in questo paese iniziano a succedere davvero. Forse doveva arrivare Monti per darci una sferzata.

Il capitano che cacciò Beppe

Questa mattina a colazione chiacchierando con mia nonna scopro infine il principale motivo per il quale sono nato e vivo a Ferrara, avendo metà parenti in Lombardia e metà in Abruzzo. E la storia ha dell'incredibile.

Mio nonno materno era nella Polizia Stradale, categoria che da bambino mi affascinava molto e dalla quale invece oggi mi guardo bene quando sono al volante, pensando sempre di commettere qualche errore o reato che mi costi multe salate. Erano gli anni '50 e Beppe si trovava in servizio a Reggio Emilia. Guidava la moto, faceva i rilievi sulle statali, qualche incidente, multe da fare, cose così. Il ricordo che ho di mio nonno non combacia con quello di un poliziotto di oggi. Il rigore e la compostezza erano valori che gli appartenevano, ma in casa era sempre una persona buona e gentile, niente a che vedere con certa arroganza e prosopopea tipica da caserme e simili. Da certi atteggiamenti e chiacchiere all'interno della Polizia venne fuori che il Capitano del comando, il capo tra gli altri di Beppe, era ghéi. Dice proprio così la nonna raccontando, con la e aperta lombarda e una parola a lei insolita. Forse all'epoca avrebbero detto effeminato, tuttalpiù omosessuale.

Lo immagino discriminato e deriso il Capitano, in una società che non era pronta a certi atteggiamenti ancora oggi faticosamente vissuti in certi ambienti, figuriamoci tra la dirigenza di una centrale di Polizia negli anni '50. Venne segnalato in maniera anonima alla sede centrale e questa cosa gli rese la vita più complicata perché un conto è una voce, un conto una chiacchiera o una burla, ma se qualcuno fa rapporto su un aspetto della vita privata di un uomo diventa una mezza verità. Diventa un outing non richiesto.
Forse per via che Beppe era nelle mire del Capitano e non ricambiava certi atteggiamenti e attenzioni venne tacciato insieme ad un collega di essere il responsabile della segnalazione ai piani alti, atto che tuttavia non aveva compiuto. Il Capitano ghèi decise per punizione di trasferirlo ad altra sede. Ferrara era una città di provincia decentrata ed ancora piccola, una sede che nessuno richiedeva e nessuno ambiva particolarmente, nonché città natale del Capitano. Lì venne mandato il nonno Beppe, con due figlie piccole, una moglie al seguito e quaranta giorni di tempo.

Lì nacqui io, quasi trent'anni dopo. Ferrarese per colpa di un capitano ghèi.

Hell vetica!

"Hai visto che ho usato anche l'Helvetica? Che brava eh?"

Sms, mail, segnalazioni sui social network di casi d'uso e tesi sull'argomento. Questa mia mania per il carattere Helvetica inizia ad essere nota anche ai sassi. Mi aspetto da un momento all'altro che anche mia nonna scelga i biscotti per la mia colazione mattutina sulla base dei font sulla confezione. Mi rendo conto di essere una persona orribile quando trovo le cose scritte in Helvetica Neue e faccio gli occhi a cuoricino, o quando spiego agli amici come riconoscere Helvetica dall'Arial guardando i particolari di alcune lettere. O quando trovo scritte in Comic Sans e mi lamento a voce alta come se avessi trovato una mosca nella minestra o mi avessero fatto uno sgarbo gravissimo. Per tutti quelli che hanno vissuto quei momenti, mi scuso per gli episodi passati e per quelli che verranno, almeno fino a quando Microsoft non ritirerà da questo pianeta il suo font peggio riuscito di sempre.

Fare l’eternauta

Mi piace camminare nella neve, pensavo ieri recandomi nel lungo tratto tra casa e ufficio: circa cinque minuti di pensieri congelati in solitaria guardando le nuvolette di alito e le signore anziane fare piano per non cadere sui lastroni di ghiaccio. Mi piace camminare nella neve con gli scarponi che metti una volta ogni qualche anno, se vai in montagna a fare la settimana bianca, ma tanto chi ci va più. Mi piace fare stomp stomp stomp e lasciare le impronte sulle croste ghiacciate, sulla neve fresca, su quella sporca e quella battuta da altri piedi e troppe macchine.

Stomp stomp stomp.

Vestito come un pellegrino con i pantaloni di lana pesantissimi che metti una volta all'anno quando c'è neve o troppo freddo per i jeans. E lo zaino in spalla, la berretta che fa di me un imbacuccato ridicolo cui improvvisamente non interessa più niente di chi c'è in giro, chi si potrebbe incontrare, chi passa di fianco. Testa bassa a guardare dove mettere i piedi.

Stomp stomp stomp.

Sembro l'Eternauta, che si fa largo nella neve sfidando il vento e i fiocchi che cadono leggeri e silenziosi. Perchè i fiocchi non fanno rumore e rubano anche quelli degli altri. Forse li mangiano. Infatti non vola una mosca ed è tutto ovattato, persino le macchine fanno sfrush sfrush e scivolano morbide come il pinguino nella caverna di fight club. Alcune hanno le catene e fanno crac crac crac spezzettando il ghiaccio sottostante in finissimo mojito, passasse qualcuno subito dietro con rum e mentuccia.

Stomp stomp stomp.

Davanti all'ufficio i ragazzini giocano a palle di neve - e non potrebbero fare altrimenti visto quanta ce n'è - così vengo preso dal raptus di fermarmi a giocare un momento con loro. Non capirebbero. Darei fastidio. La signora spala la neve dal terrazzo, non è che me la presta? Quando passo sotto il suo balcone si ferma per un attimo, per evitare di ricoprirmi buttandola giù. Mi ricopra pure, signora, così mi sveglio!

Stomp stomp stomp.

Il generale nella neve ha completato la sua breve ma onesta missione. Entra trionfante nel fortino. Non volevo inzaccherare tutto l'androne, penseranno senz'altro che sono stato io. Come hanno fatto gli altri ad entrare oggi senza sporcare? Forse dormono ancora tutti.

Plotch plotch plotch.

Lascio gli scarponi fuori a fianco dello zerbino. Ho lasciato acceso il riscaldamento un giorno e mezzo in mia assenza e appena entro gli occhiali si appannano che sembra di stare in piscina. Il vetro ha fatto persino la condensa. Devo avere esagerato, il pavimento è tutto bello caldo che concilia il sonno. In calzini, concedo un pisolino ai piedi.

Chiedi cos’è (stato) Splinder

Per coloro che non hanno mai sentito parlare di Splinder, o sono sul web da troppo poco tempo, gli basti sapere che quella che chiude oggi i battenti dopo circa undici lunghi anni è stata la più grande piattaforma di pubblicazione per blog in Europa degli anni Zero. La più diffusa in Italia prima dell'avvento di WordPress, la più vasta community di scrittori in erba, appassionati, grafomani, giornalisti, scrittori e disperati. Tutti i blogger negli anni hanno a suo tempo iniziato a scrivere sulla rete aprendo un blog su Splinder prima di mettersi in proprio comprandosi un dominio nomecognome.net. Hanno passato le giornate a leggere blog su Splinder, commentare blog su Splinder, linkare blog su Splinder.
Per quel che mi riguarda si è trattato per anni della principale attività alternativa allo studio dell'Ingegneria, quella che ha causato notti insonni, appelli mancati, distrazioni in aula, chiacchiere al pub e organizzazione di eventi smandrappati.

Perché c'è stato un tempo - in cui non esistevano i social network e nemmeno YouTube - in cui ad un gruppo sempre più ampio di persone venne la mania di aprire un blog per raccontarsi e per raccontare qualcosa. Erano i primi anni del Duemila e come per incanto sulla rete si potevano intavolare discussioni bellissime, approfondire concetti, raccontare storie, aggregarle, mescolarle, ascoltando quello che i lettori avevano da dire e a loro volta da proporre nei rispettivi blog. Ognuno produceva contenuti e ne fruiva altri, in uno scambio enorme di conoscenza, sensazioni, idee messe nero su bianco.
Ovviamente all'inizio scriveva solo chi aveva qualcosa da dire, per lo più aspiranti scrittori ed addetti al mestiere come giornalisti o addetti stampa, ma anche molte ragazzine che tenevano un diario virtuale al posto di quello con il lucchetto nascosto in un cassetto. C'era parecchia qualità in giro, mescolata ad una buona dose di cosiddetta fuffa.
Ci si conosceva fuori dalla rete alle blogfest, alle blogcene, e ai blograduni, che sembrano nomi ridicoli ma dietro c'erano persone che nella vita reale abitavano in posti lontanissimi e quando si incontravano di persona quelle poche volte l'anno avevano un sacco di cose da dirsi perchè conoscevano l'uno dell'altro interi scampoli di esistenza letta tra le righe di un blog.

Noi nel nostro piccolo eravamo una piccola perla di blog, cari i miei quindici lettori. Ci leggevano in centinaia ogni giorno, avevamo un programma su una webradio, stampavamo un giornalino, andavamo ai raduni e ne abbiamo persino organizzato uno un po' bucolico ai Giardini Margherita di Bologna dove si è finito per giocare a bandiera come quando eravamo ragazzini.
Eravamo quasi famosi. Una volta hanno riconosciuto me ed Attimo per strada a Bologna e la cosa ci aveva fatto parecchio ridere per quanto fosse assurda. La cosa che ci distingueva, fin dagli inizi quando eravamo ancora su Splinder, era avere un blog a più voci che unisse l'Italia da nord a sud. Idea certamente non nuova, ma siamo stati un po' come il Parma di Scala, pieno di talenti incredibili che sono passati e negli anni hanno avuto successo e fortuna altrove.
Tra gli oltre 50 collaboratori persone che abbiamo avuto la fortuna di incontrare e con cui collaborare come Francesco Costa, oggi in forza al Post, Francesco Locane, conduttore di Radio Città del Capo, Margherita Ferrari, Mauro Zucconi, Marco Bertollini, Gabriele Capasso (che non ha un blog di riferimento ma oggi scrive per TvBlog e CalcioBlog) e tanti altri che negli anni sono passati da uno pseudonimo sulla rete a scrivere libri veri e propri o a collaborare per riviste e giornali vari. Questo grazie anche a Splinder, principale piazza di ritrovo in quegli anni.

Abbiamo intessuto relazioni tra persone, avuto opportunità di lavoro, incluse le attuali professioni per molti di noi, incluso il sottoscritto. Quello che era un gioco è diventato un lavoro a tempo pieno e una palestra dove esercitare l'arte del web design, del marketing, e in generale di ogni aspetto che ruota attorno alla comunicazione e all'informatica.
Abbiamo conosciuto ragazze, ci siamo fidanzati, mollati, desiderati, frequentati per un po' e poi buttati via. Abbiamo fatto sognare qualcuno per quello che abbiamo scritto e abbiamo sognato una sconosciuta dalla penna tagliente per poi scoprire che nella vita reale eravamo entrambi anche qualcos'altro, con i nostri difetti e i nostri non detti.

Splinder insomma è stata lo specchio dei nostri anni Zero, quella che ha custodito i nostri pensieri più profondi e più sciocchi, il nostro desiderio di comunicare qualcosa con il mondo fuori, ma anche colei che ha costruito le nostre identità in rete, il nostro essere diversi a volte da come siamo nella realtà di tutti i giorni, in casa, al lavoro o con gli amici.
All'epoca sotto uno pseudonimo, oggi con nome e cognome come i moderni social impongono, molte delle nostre presenze online si sono costruite negli anni attraverso le parole che abbiamo scritto sui blog, le cose che abbiamo raccontato e quelle che abbiamo taciuto. Siamo diventati grandi insieme a Splinder e grazie a lei molti di noi ancora oggi adorano scrivere, raccontarsi e non buttarsi via. Rintanati da qualche parte al sicuro dietro uno schermo, proprio come allora.

Ci siamo ancora quasi tutti, sparsi qua e la come dieci anni fa, prima che arrivasse la grande onda dei blog e la piazza di Splinder a riunirci qualche anno per poi disperderci di nuovo. A voi il difficile compito di scoprire dove siamo finiti, come ci chiamiamo oggi, e se siamo ingrassati un po'.

Oscar Luigi Scalfaro e lo strano caso del prendisole

Tra le tante cose che questa mattina leggerete in giro sulla scomparsa del caro Presidente Scalfaro, forse la più incredibile sarà di quella volta che Oscar Luigi venne sfidato a duello (!) e fece incazzare Totò.

Considerato persona di rigide vedute in tema di morale fu protagonista il 20 luglio del 1950, all'inizio della sua attività parlamentare, di un episodio che fece molto scalpore, poi divenuto noto come "il caso del prendisole".
Il fatto ebbe luogo nel ristorante romano "da Chiarina", in via della Vite, quando insieme ai colleghi di partito Sampietro e Titomanlio Scalfaro ebbe un vivace alterco con una giovane signora, Edith Mingoni in Toussan, da lui pubblicamente ripresa in quanto il suo abbigliamento, a parere dell'onorevole, era sconveniente poiché ne mostrava le spalle nude.
Secondo una ricostruzione de Il Foglio, la signora si sarebbe tolta un bolerino a causa del caldo e Scalfaro avrebbe attraversato la sala per gridarle: «È uno schifo! Una cosa indegna e abominevole! Lei manca di rispetto al locale e alle persone presenti. Se è vestita a quel modo è una donna disonesta. Le ordino di rimettere il bolerino!». Sempre secondo questa fonte, Scalfaro sarebbe uscito dal locale e vi sarebbe rientrato con due poliziotti. L'episodio terminò perciò in questura, ove la donna, militante del Movimento Sociale Italiano, querelò Scalfaro ed il collega Sampietro per ingiurie.

La vicenda tenne banco sui giornali e riviste italiane per lungo tempo: la stampa laica accusava Scalfaro di "moralismo" e "bigottismo", quella cattolica lo difendeva. […] Alla Camera furono presentate interrogazioni parlamentari nell'attesa di una delibera sull'autorizzazione a procedere (della cui competente Giunta Scalfaro stesso era membro) contro i due parlamentari a seguito della querela sporta dalla signora. Peraltro, poiché la Mingoni aveva dichiarato la sua militanza politica, nella richiesta di autorizzazione a procedere si afferma che dai parlamentari sarebbe stata chiamata "fascista" e minacciata di denuncia per apologia del fascismo. L'episodio fu raccontato dalla stampa anche in una versione secondo la quale Scalfaro avrebbe dato uno schiaffo alla signora.

Il padre della Mingoni in Toussan (un colonnello pluridecorato dell'aeronautica militare a riposo), ritenendo offensiva nei confronti della figlia una frase pronunciata da Scalfaro durante un dibattito parlamentare, lo sfidò a duello. Al padre subentrò poi come sfidante il marito della signora, anch'egli ufficiale dell'aeronautica. La sfida fu respinta, la qual cosa, risaputa pubblicamente, fece indignare il "principe Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis", in arte Totò, del quale il quotidiano socialista Avanti! pubblicò una vibrante lettera aperta a Scalfaro. Nella missiva, il comico napoletano rimproverava a Scalfaro un comportamento prima villano e poi codardo.

«Ho appreso dai giornali che Ella ha respinto la sfida a duello inviataLe dal padre della signora Toussan, in seguito agli incidenti a Lei noti.
La motivazione del rifiuto di battersi da Lei adottata, cioè quella dei princìpi cristiani, ammetterà che è speciosa e infondata.
Il sentimento cristiano, prima di essere da Lei invocato per sottrarsi a un dovere che è patrimonio comune di tutti i gentiluomini, avrebbe dovuto impedire a Lei e ai Suoi Amici di fare apprezzamenti sulla persona di una Signora rispettabilissima.
Abusi del genere comportano l'obbligo di assumerne le conseguenze, specialmente per uomini responsabili, i quali hanno la discutibile prerogativa di essere segnalati all'attenzione pubblica, per ogni loro atto.
Non si pretende da Lei , dopo il rifiuto di battersi, una maggiore sensibilità, ma si ha il diritto di esigere che in incidenti del genere, le persone alle quali il sentimento della responsabilità morale e cavalleresca è ignoto, abbiano almeno il pudore di sottrarsi al giudizio degli uomini, ai quali questi sentimenti e il coraggio civile dicono ancora qualcosa.
principe Antonio Focas Flavio Comneno De Curtis»
(Avanti!, 23 novembre 1950)

Il processo per la querela non fu mai celebrato per l'amnistia del dicembre 1953.
(via Wikipedia)

Fare le pulci al circo

Probabilmente non avete mai visto - davvero - un circo delle pulci. Attenzione, causa prurito!

Buffet

Le migliori foto di LondraNote sparse su alcune cose curiose
trovate a Londra

Le migliori foto di Berlino Do not walk outside this area:
le foto di Berlino

Ciccsoft Resiste!Anche voi lo leggete:
guardate le vostre foto

Lost finale serie stagione 6Il vuoto dentro lontani dall'Isola:
Previously, on Lost

I migliori album degli anni ZeroL'inutile sondaggio:
i migliori album degli anni Zero

Camera Ciccsoft

Si comincia!

Spot

Vieni a ballare in Abruzzo

Fornace musicante

Cocapera: e sei protagonista

Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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