Milano fredda ieri sera, al seminario sul Dolore organizzato dal Vidas. I relatori sono molto bravi, in particolare il filosofo Natoli (Filosofia della Politica all’Università II di Milano) che da squisito meridionale si lascia andare a un’enfasi sommessa e gentile. La potenza radicale degli argomenti della sua esposizione è qualcosa che raramente si sente in giro, perfino commovente a tratti. Al termine del seminario, nel quale i relatori hanno costruito l’architettura dei futuri incontri sul tema, mi trovo a meditare sui confini del corpo, sulla cultura della sofferenza, sulle nuove sfide che l’essere umano si troverà di fronte tra breve. Mentre il vociare degli ospiti si intreccia tra soffitto e poltroncine, mentre stringo mani e soccombo alle presentazioni, tra un sorriso e l’altro, mi avvio verso l’uscita di via Hoepli e dopo quattro passi sono in Galleria. Sono le otto di sera.
Tutto appare deserto, solo un paio di caffetterie sono ancora aperte e dentro poche persone, per lo più da sole. La grande piazza del duomo si apre con il solito e bellissimo scenario e penso che sono in una città della germania, dove il barocco prende possesso del centro di quello che una volta era un solo un paese. Mi rendo conto che milano è una città triste, semideserta e spazzata dal vento. Non che non abbia una sua tragica e storica bellezza, ma rimane un paese, un grosso paesone acquattato al termine della pianura, reso ricco, a suo tempo, dai suoi grandi borghesi (e dalla manovalanza). Le velleità di competere con la Capitale, frasi deliranti che una volta spuntavano settimanalmente, oggi sono solo un ricordo. I montanari e i preti che governano Milano senza fantasia nè cultura (e come potrebbero?) non ci provano nemmeno più, li vedo sospirare nei rispettivi luoghi di potere, tra un messale e una polenta, involgarendo perfino il dialetto che si strappa mille miglia lontano da quell’inflessione colta e meridionale che ancora risuona nelle mie orecchie. Potrebbe essere una metropoli straordinaria, coraggiosa, innovativa, divertente, culturale, potrebbe diventare ponte di quest’Italia disgraziata per accompagnarla (veramente) in europa, così come il nostro meridione ci accompagna per mano nel mediterraneo. Potrebbe. Ma ci vorrebbe qualche filosofo in più.
State bene, Cyrano.
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