Su La Repubblica di oggi (Sabato 14 ottobre) Adriano Sofri pubblica una riflessione sul Premio Nobel Orhan Pamuk che avrebbe recentemente affermato il proprio dissenso sull’iniziativa francese di rendere “obbligatorio” il riconoscimento dello sterminio armeno ad opera dei turchi nel secondo decennio del novecento. Nell articolo, Sofri riflette sulle apparenti contraddizioni del comportamento di Pamuk, apprezzato nel mondo per il nobel, disprezzato in Turchia per aver stigmatizzato l’atteggiamento negazionista dei governi turchi sulla questione armena, e poi apprezzato in Francia per le sue qualità ma criticato per le sue prese di posizione contrarie nei confronti della recente legge francese, e quindi apprezzato in Turchia per questa stessa posizione e via dicendo, in una girandola di attribuzioni di stima e disprezzo. A un certo punto Sofri afferma che: “...non so se nella sua (di Pamuk) presa di posizione si insinui una punta di opportunismo” e poi continua affermando che “prendere il nobel da giovani è rischioso: bisogna restarne all’altezza a lungo. Il rischio più grave è di cessare di essere se stessi, e diventare soltanto un premio Nobel, uno dei tanti. Troppo poco. Meglio scontentare subito qualcuno, e rientrare in fretta nei propri panni.”.
Ora io credo che Sofri si sia sentito profondamente in difficoltà nel comprendere la posizione dello scrittore, e dell’apparente somma di contraddizioni che Pamuk (ma chiunque altro in verità) ha rivestito in questi episodi. Come? Sembra chiedersi Sofri, un democratico Turco, premiato dall’occidente per il suo coraggio civile, si scaglia contro la scelta laica di uno stato che gli da ragione? C’è qualcosa sotto, continua il nostro, forse c’è un’ombra di opportunismo.
Quello su cui Sofri dovrebbe probabilmente riflettere è che gli uomini e le donne (Pamuk compreso, dunque) non sono (e non sono mai stati, nemmeno negli anni settanta!) frutto solamente di una singola identità, magari ideologica. Pamuk, come tutti noi, possiede diverse identità e con queste occorre fare i conti, tutti i giorni, non solo quando si prende il Nobel. Pamuk è Turco, è un democratico, probabilmente è un musulmano, poi è uno scrittore, inoltre è europeo, forse ama gli scacchi e magari è iscritto al circolo del tennis. L’illusione, anche di Sofri, che ciascuno di noi sia frutto di una singola ed esclusiva identità (Comunista! Islamico! Iracheno! Cristiano! Negro!) è un pensiero pericoloso, dal quale occorre uscire velocemente, perchè è attraverso questo pensiero esclusivo che si arriva alla semplificazione dell’altro, e quindi allo sfruttamento, alla guerra, allo sterminio. Nessun comportamento schizofrenico dunque, in Pamuk, e mi duole per Sofri che in questo caso non riconosce come la complessità dell’uomo diventi, all’interno di una società libera e moderna, un qualcosa che sfugge alle semplificazioni identitarie, cui noi tutti, e sicuramente anche Sofri, siamo purtroppo abituati.
State bene, Cyrano
0 Responses to “Sofri, Pamuk e il problema delle identità”