Si chiamano Scampia, Zen, San Salvario.
Sono solo alcuni fra i cosiddetti “quartieri a rischio”. Isole infelici dove vigono altre regole, diversi equilibri, meccanismi sotterranei di potere e di violenza che sopravvivono alla giustizia ordinaria. Luoghi in cui si spaccia a qualsiasi ora, in cui ci si prostituisce per poco agli incroci delle strade, e troppe sono le lingue parlate e le miserie vissute per potersi comprendere l’un l’altro.
La promessa (obbligata) di ogni amministrazione comunale prevede che si ripeta sempre la stessa litania: riqualificare. Ma si fa poco (o comunque non abbastanza) per mantenerla davvero.
San Salvario rientra a pieno titolo nella categoria. Qualunque torinese sa che non è saggio addentrarvisi a una certa ora, specie di notte, e che forse, nella pratica, non è saggio addentrarvisi mai.
Perché nel reticolo di strade che costeggiano la stazione di Porta Nuova può succedere di tutto. E puntualmente succede.
Oggi molti fra coloro che abitano nel quartiere, e spesso ci vivono da una vita, immigrati anch’essi in altri tempi e stagioni, sono stanchi. Stanchi di non poter camminare tranquilli, di non sentirsi mai sicuri, di fare “il giro largo” per non imbattersi in quelli che, a San Salvario, ormai la fanno da padrone.
Il caso di Francesco Picciotto è emblematico. 71 anni, ex-artigiano, quasi un’esistenza intera trascorsa tra quelle vie, ha deciso di sbloccare la situazione affiggendo sui muri oltre 250 manifesti: offre mille euro a chiunque sia in grado di fornirgli una descrizione dell’uomo che ha aggredito sua moglie, 71 anni anche lei, mentre andava a prendere il pane.
Il bottino, peraltro, è stato magro: 7 euro, i documenti e una vecchia borsa di cui certo non si può fare granché. Ma il punto non sono i soldi. Il punto è la paura, il disagio diffuso di chi affronta ogni giorno sulla propria pelle il degrado di un quartiere intero.
Inutili i passanti, che non sono riusciti a fermarlo in tempo. Inutile anche la telecamera in via Principe Tommaso, dove lo scippatore è fuggito: dicono che non funzioni.
E dal momento che è difficile scoprire chi sia stato, quella mattina, un po’ perché la polizia si dà per vinta in partenza, un po’ perché nessuno sembra sapere o voler parlare, Francesco Picciotto ha scelto di farsi giustizia da sé.
Quei mille euro, li sta racimolando insieme ad altra gente del quartiere. Negozianti, soprattutto.
Mille euro, come le taglie del vecchio Far West. Il sintomo tangibile che qualcosa deve cambiare.
Picciotto dice soltanto: «Non ne possiamo più», e ti mostra le cicatrici che ha sul braccio: i segni di una coltellata ricevuta quando, per protesta, si era incatenato alla saracinesca di un negozio.
Si può spiegare l’atmosfera di San Salvario solo con un folto elenco di aneddoti e altre amenità assortite.
Raccontando di quella volta in cui un turista inglese è stato picchiato e derubato.
Di quell’altra volta in cui un uomo, accorso in difesa della ragazza che stavano molestando, è stato aggredito a sua volta con calci, pugni e sputi in faccia.
Oppure, potrei parlarvi di ciò che ho visto coi miei occhi nell’ultimo anno: spacciatori che si feriscono tra loro a coltellate, gente che urina sui bidoni della spazzatura oppure sullo sportello per la benzina delle auto in sosta.
O piuttosto, di quando un uomo, a cui avevo fatto segno di attraversare la strada, ha pensato bene di abbassarsi la cerniera dei jeans per farmi ammirare il contenuto delle sue mutande.
È facile demonizzare o tirare fuori epiteti d’impronta calderoliana, tanto cari a un certo tipo di destra in cui non mi riconoscerò mai. Ma persino alcune menti della sinistra (orientamento in cui senz’altro mi vedo di più) dovrebbero evitare di indulgere in considerazioni all’acqua di rose. E non sono d’accordo con chi intravede nell’apertura di un nuovo locale “alla moda” il segnale di un vero riscatto.
Laddove esiste un problema di criminalità ad altissimi livelli, di qualunque etnia o provenienza geografica si tratti, è inutile tapparsi le orecchie in nome della tolleranza fra popoli.
Sono le azioni, e non la pelle, a distinguere un uomo dall’altro.
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