"Anche quando avranno scoperto i colpevoli o provato la mia innocenza, non potranno cancellare i segni di ciò che hanno fatto. Spero solo che avvenga molto presto e sono sicuro che molta gente, in avvenire, sarà a doversi scusare ed abbassare gli occhi". - Pietro Valpreda, lettera dal carcere -
In piazza Fontana, nel giardino della questura, di fronte alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, è posta una targa: "Pinelli, ucciso innocente nei locali della questura". Poco tempo fa, il sindaco di Milano Albertini, ha sostituito il tutto con un ricordo più morbido. Pinelli, difatti, risulta oggi Morto Innocente, non più Ucciso. Una differenza sostanziale. Soprattutto se riguarda una tragedia che ha modificato il modo di pensare Italiano.
L'atto è stato avanzato nottetempo, proprio alla maniera dei ladri, come volere derubare la città dal ricordo storico, dell'indignazione forse un pò dormiente, ma ancora presente. Gli Anarchici hanno risposto istantaneamente: di fianco al vergognoso epiteto Albertiniano hanno posto la bruciante verità, come è giusto che sia. Per comprendere meglio la "defenestrazione" del "Pino", bisogna compiere qualche passo indietro. Allontanarsi da Milano, giungendo a Roma. Osservare uno strano soggetto, di radici fasciste: Mario Merlino che ha militato in gruppi di estrema destra: Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo e Giovane Italia. Durante le estati frequenta un campo clandestino di addestramento organizzato dai neonazisti tedeschi di "Nazione Europea". E' amico di Pino Rauti e Stefano Delle Chiaie. Cosa c'entra con gli anarchici, dunque? C'entra. Perchè all'epoca era in atto un movimento fondamentale, studiato per compiere gesta future. Un movimento volto all'attribuire le colpe di atti terroristici o comunque violenti ai gruppi di sinistra, con il corrispondente ritorno ad un regime autoritario di destra (la solita strategia della Tensione). Merlino era solito infiltrarsi negli ambienti della sinistra per scatenare sommosse impopolari. Al momento dell'attentato militava nel circolo anarchico 22 Marzo, da lui stesso creato. Al 22 marzo, scrive in "Strage di Stato" (una controinchiesta redatta proprio in quegli anni), si presenta al circolo con un nuovo personaggio: Pio d'Auria, (ex) fascista. La cosa impressionante è che ha una certa somiglianza con Pietro Valpreda e si sospetta che sia questo l'uomo visto da Cornelio Rolandi, il tassista testimone (era infatti partito da Roma il 4 di dicembre con meta ufficiale la Germania). Ma quella di Valpreda è una storia lunga e travagliata, da approfondire in un secondo tempo. In questo spazio vorrei solo rendere giustizia a Pinelli e a tutti gli anarchici rimasti incastrati in questo meccanismo statale.
Merlino quindi, probabilmente guidato dall'alto, crea il circolo, lo riempie di infiltrati di destra e, presumibilmente, offre appositamente questo sosia di Valpreda. L'uomo, la sera dell'11 dicembre (siamo nel 1969), viene visto in Viale Manzoni, a Roma. Dove sta andando? Ufficialmente in Via Tuscolana, numero 572, dove abita Leda Minetti Ma vengono varate altre due ipotesi: 1) in via Tor Caldora dove abita Pio d'Auria; 2) in Via Tommaso da Celano, dove abita Stefano Delle Chiaie.
Il particolare di quella sera è importante, soprattutto in seguito ai macabri fatti del 12 dicembre. Gli altri "affiliati" infatti sono stati indagati con molta serietà (Valpreda, Gargamelli, Borghese, Mander e Bagnoli), chiedendo delucidazioni proprio al signor Merlino. Non è stata invece eseguita l'operazione contraria. Dai verbali risulta la mancanza di dati fondamentali e basilari (non gli è stato chiesto nè "cosa abbia fatto nei giorni precedenti gli attentati, nè dei suoi rapporti con i vari fascisti che frequentava"). Inoltre, non vi sono alcune accuse contro Merlino, nè indizi, che possano renderlo colpevole. Eppure, è stato incriminato, ma senza i duri interrogatori a cui è sottoposto Valpreda. Riporto fedelmente da "Strage di Stato": "La sua posizione appare molto simile a quella di un teste a carico che si voglia "proteggere"".
Quindi, grazie alle pseudo-confessioni di Merlino, abbiamo un colpevole romano per l'attentato di Milano: Valpreda (partito per quella città qualche giorno prima, sotto ordine della questura, per chiarire una questione riguardante dei volantini) e il Circolo 22 Marzo. Anarchici.
Naturalmente c'era bisogno anche di un colpevole Milanese, per rendere la macchinazione più credibile. I "Burattini" milanesi sono due: Antonio Amati (magistrato, capo dell'ufficio istruzione) e Luigi Calabresi (commissario). Sono loro che, dopo poche ore dall'esplosione dell'ordigno, indicano la mano assassina: il circolo anarchico capitanato da Pinelli. E' un'accusa strana: Giuseppe Pinelli è una persona pacifica, nega ogni forma di violenza. Così l'intero circolo. Non sono dei temuti assassini, eppure Pinelli viene sequestrato insieme ai suoi compari. Perchè? La controinchiesta fornisce i punti del piano: 1) Nel gruppo prescelto si erano tenuti dei discorsi, si era parlato di armi, di guerriglia, di come opporsi a tentativi di colpo di Stato; 2) Nel gruppo si sono infiltrati dei provocatori/informatori che hanno soffiato sul fuoco, hanno estremizzato al massimo il discorso, hanno proposto la necessità di passare dalla teoria alla pratica; 3) Nel frattempo sono stati commessi degli attentati la cui forma è stata resa simile a quella che avrebbe lasciato tale gruppo se mai li avesse commessi, e per questo l'opinione pubblica è già predisposta ad accettarlo come quello dinamitardo per eccellenza.
Non solo, attribuire agli anarchici tali malefatte, vorrebbe dire colpire in Alto. Vorrebbe dire incastrare Feltrinelli, l'editore di sinistra scomodo e rivoluzionario. Colui che fornì l'alibi a Eliane Corradini, accusati per gli attentati del 25 aprile (alla Fiera). Quindi, il circolo si sarebbe chiuso: dagli Anarchici a Corradini. Da Corradini a Feltrinelli. Caso chiuso.
E' facile pensare che non si tratti di fantapolitica, soprattutto dopo 30 anni dall'accaduto. Soprattutto dopo aver assodato che gli Anarchici erano e sono completamente innocenti.
Pinelli viene prelevato e interrogato. Ed i metodi non sono ortodossi: l'obiettivo è stancare "il Pino" per indurlo a confessare qualcosa. Lo attaccano. Gli dicono che sanno del suo viaggio a Roma, risalente all'otto e il nove. Che il suo alibi era stato contraddetto. Lo minacciano. Gli dicono che verrà licenziato (è un ferroviere) a causa dei suoi movimenti politici. Cercano anche di convincerlo che potrebbe essere in qualche modo implicato, anche per vie secondarie. Ma Pinelli è tranquillo, a quanto si legge. Fino a quando non gli dicono che Valpreda ha confessato. A questo punto, lo scoramento. Il ferroviere si alza. Mormora: "E' morta l'anarchia". E si butta, di corsa, giù dalla finestra. Vien portato all'ospedale Fatebene Fratelli, dove muore, poco dopo.
Una brutta storia. Specialmente perchè avvengono diverse stranezze. Partendo dalla sala operatoria. Un settimanale di allora, "Vie Nuove", scrisse: "La polizia era presente anche all'interno della sala di rianimazione dove i due medici cercavano invano di tenere in vita Giuseppe Pinelli. Un poliziotto in borghese, camicia e cravatta, baffetti neri e un distintivo all'occhiello della giacca, non si allontanò neppure per un attimo dal lettino dove Pinelli stava morendo. Che cosa pensava o temeva che Pinelli potesse dire prima di morire?".
In secondo luogo, il corpo dell'uomo presenta diverse anomalie. Ad un esame superficiale non mostrava nessuna lesione esterna nè "perdeva sangue dalle orecchie e dal naso, come avrebbe dovuto essere Pinelli avesse battuto violentemente al suolo con la testa" (sempre tratto da "Vie Nuove"). "Per logica si arriva quindi ad una seconda domanda: non è possibile che quella lesione al collo (unico segno esterno visibile n.d.a.) fosse stata provocata prima della caduta? Come e da cosa, non ci vuole molta fantasia per immaginarlo: sono ormai molti anni che nelle nostre scuole di polizia si insegna quella antica arte giapponese di colpire col taglio della mano, nota come Karatè".
Al di là di questo, i fatti più strani sono altri. Innanzitutto l'ora del suicidio. I cronisti che erano presenti in questura scrivono che è avvenuto a mezzanotte e tre minuti. Nei giorni successivi viene definito in modo più generale, con un "circa mezzanotte". Dopo di che decidono il tempo ufficiale: ore undici e cinquantasette minuti. La telefonata all'ospedale avviene a mezzanotte e cinquantotto secondi. Se ascoltassimo la primissima versione, sembrerebbe quindi che prima i poliziotti abbiano chiamato l'ambulanza e poi che Pinelli si sia suicidato. Premonizione? Se si vuole credere invece al secondo orario attribuito al suicidio, allora nessun mistero. Peccato però che i giornalisti fossero parecchi. E che il cadavere sia stato trovato proprio da uno di loro: Aldo Palumbo.
Ma Aldo Palumbo lavora per l'Unità. Questo è un dubbio che voglio infilare, perchè capire qualcosa dell'affare di Pinelli non è tanto semplice. A destra e a sinistra si dicono delle cose, negli atti processuali ne troveremo scritte delle altre. Ma andando con ordine, elencherò tutti i punti di vista. Palumbo, dicevo, lavorava per l'Unità e questo era un bollettino di partito. Quindi era di parte. Però non solo Palumbo indica quell'ora come momento del Suicidio.
L'ipotesi del suicidio, per altro, non sta in piedi. Questa è l'unica cosa certa, dopo tanti anni. Perchè? Semplicemente perchè un uomo che prende la rincorsa e si butta da una finestra non ha quelle reazioni. Da "Strage di Stato": Pinelli cadde letteralmente scivolando lungo il muro, tanto che rimbalza su ambedue gli stretti cornicioni sottostanti la finestra dell'ufficio politico: non si è dato quindi nessun slancio. Cade senza un grido e i medici stabilirono che le sue mani non presentano segni di escoriazioni, non ha avuto cioè nessuna reazione a livello di istinto, incontrollabile, nemmeno quella di portare le mani a proteggersi durante la "scivolata". La polizia fornisce nell'arco di un mese tre versioni contrastanti sulla meccanica del suicidio. La prima: “quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo ma senza riuscirci”. La seconda: “quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e ci siamo parzialmente riusciti, nel senso che ne abbiamo frenato lo slancio: come dire, ecco perchè è scivolato lungo il muro”. Ma questa versione è stata resa a posteriori, dopo cioè che i giornali avevano fatto rilevare la stranezza della caduta. Infine l'ultima, la più credibile, fornita in "esclusiva" il 17 gennaio al Corriere della Sera: “quando Pinelli ha spalancato la finestra, abbiamo tentato di fermarlo e uno dei sottoufficiali presenti, il brigadiere Vito Panessa, con un balzo ha cercato di afferrarlo e salvarlo; in mano gli è rimasto soltanto una scarpa del suicida. I giornalisti che sono accorsi nel cortile subito dopo l'allarme lanciato da Aldo Palumbo ricordano benissimo che l'anarchico aveva ambedue le scarpe ai piedi".
C'erano dei testimoni. Non hanno potuto vedere, erano in attesa di essere interrogati. Pasquale Valitutti ha lasciato questa testimonianza, che sarebbe dovuta risultare importante per il processo: "Verso le 11,30 ho sentito dei rumori sospetti, come di una rissa e ho pensato che Pinelli fosse ancora lì e che lo stessero picchiando. Poco dopo ho sentito come delle sedie smosse ed ho visto gente che correva nel corridoio verso l'uscita, gridando "si è gettato". Alle mie domande hanno risposto che si era gettato il Pinelli: mi hanno anche detto che hanno cercato di trattenerlo ma che non vi sono riusciti. Calabresi mi ha detto che stavano parlando scherzosamente del Pietro Valpreda, facendomi chiaramente capire che era nella stanza nel momento in ciu Pinelli cascò Inoltre mi hanno detto che Pinelli era un delinquente, aveva le mani in pasta dappertutto e sapeva molte cose degli attentati del 25 aprile. Queste cose mi sono state dette da Panessa e Calabresi mentre altri poliziotti mi tenevano fermo su una sedia pochi minuti dopo il fatto di Pinelli. Specifico inoltre che dalla posizione in cui mi trovavo potevo vedere con chiarezza il pezzo di corridoio che Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere per recarsi nello studio del dottor Allegra e che nei minuti precedenti il fatto Calabresi non è assolutamente passato per quel pezzo di Corridoio".
Calabresi dunque, stando alle testimonianze, non era uscito dalla stanza. Con tutta probabilità è stato lui a tirare quel colpo di Karate sul collo del Pinelli. O, se non è stato lui fisicamente, è stato uno dei suoi uomini, sotto la sua supervisione. Visto il danno, chiamano l'ambulanza e poi lo gettano dalla finestra, a peso morto, cercando di simulare un suicidio. Anni dopo (molti anni dopo) verrà eseguita anche una simulazione di suicidio con un fantoccio e la dinamica risulterà chiara: non è suicidio.
In "Strage di Stato" sono convinti: omicidio e Calabresi colpevole. Ma non è la sola versione, naturalmente. Michele Brambilla, giornalista, scrive nel suo "L'Eskimo in redazione" un'altra versione dei fatti. In questa storia, Calabresi e Pinelli sono quasi amici. Si stimano, tanto da scambiarsi dei libri (Calabresi regala "Mille milioni di uomini" di Enrico Emanuelli, mentre Pinelli ricambia con "L'Antologia di Spoon River"). Asserisce che “risulta difficile pensare che la polizia, avendo deciso di uccidere un uomo (e perchè, poi?), l'avesse buttato giù da una finestra della questura, e cioè da casa propria, esponendosi così ai pubblici sospetti". A parer mio, la morte non era premeditata. Ma, essendo capitata, dovevano in qualche modo agire. Chiamare l'ambulanza con Pinelli morto nella stanza, avrebbe voluto dire aprire le porte agli scandali. Ma simulare un suicidio era rischioso ma meno plateale, se vogliamo. In più, univa l'utile al dilettevole: il suicidio sarebbe stato un'autoaccusa di colpevolezza per i fatti terroristici.
Ma la cosa più sconvolgente che scrive Brambilla è questa: "un fatto era certo. Quando Pinelli precipitò dalla finestra, Calabresi non c'era. Nella stanza, insieme con Pinelli, c'erano il tenente dei carabinieri Savino Lograno, i brigadieri Giuseppe Caracuta, Vito Panessa, Pietro Mucilli e Carlo Mainardi. Sulla porta dell'ufficio, nel corridoio, c'era il brigadiere dei carabinieri Attilio Sarti. Nella stanza a fianco, il brigadiere dei carabinieri Giuseppe Calì e l'appuntato Giuseppe De Giglio. In un salone di fronte, l'anarchico Pasquale Valitutti". Ma Valitutti dice il contrario. Su quali basi il giornalista scrive questo? Perchè spinge la tesi della figura del Martire Calabresi, del perseguitato ingiustamente? E poi, una fatto è certo (o almeno è questa l'idea che mi sono fatta). L'interrogatorio di Pinelli non era amichevole, non era leggero e semplice. Non era una semplice "formalità" o un confronto tra due persone che si stimano. Perchè, oltre che violenti, sono stati irregolari. Pinelli era stato trattenuto per tre giorni e per tre notti in questura senza che il suo fermo venisse notificato al palazzo di Giustizia. Inoltre, lo stesso Ferroviere, dopo essere stato sottoposto a violenze psicologiche (lo mettevano sotto pressione, non lo facevano dormire) dice la frase, a un suo amico anarchico, "Ce l'hanno con me". Perchè dire questa frase?
Il libro più esauriente sulla questione Pinelli, rimane però quello della giornalista (sempre dell'Unità) Cederna: "Pinelli - Una finestra sulla strage". Viene percorso l'intero cammino giudiziario, sottolineando i paradossi che l'inchiesta incontra, mano a mano. Intere dichiarazioni che non vengono ascoltate, gli anarchici che non vengono nemmeno chiamati in causa. Un processo di assoluzione, sembra. Brambilla dice che Calabresi è stato sincero sin dall'inizio, perchè ha detto che aveva cercato di estorcere delle notizie utilizzando l'espediente della confessione di Valpreda. Ma allora perchè, se non c'era nessuna prova contro Pinelli, Valpreda e Anarchici (come verrà infatti detto dopo, quando l'intera macchinazione sembra implodere), il questore, in presenza di Calabresi che Annuisce, dice: "Era fortemente indiziato di concorso in strage... era un anarchico individualista... il suo alibi era crollato... non posso dire altro... si è visto perduto... è stato un gesto disperato... una specie di autoaccusa insomma..." Perchè far credere ai giornalisti che davvero la pista anarchica era più che valida, se tanto innocenti? E' un fatto che esistevano due magistrature e due corpi di polizia che lavoravano in modo parallelo. Se Amati e Calabresi avevano fornito nomi prima di avere un qualsiasi indizio, Ugo Paolilli (il procuratore della Repubblica di Milano che era in turno al momento dell'esplosione) aveva cercato di aprire una pista molto più avvalorata, quella fascista. Ma era stato ostacolato, scavalcato, senza ritegno. Calabresi stava perciò compiendo qualche lavoro sporco in nome di chi? Chiaramente, sono solo supposizioni. Ma la tesi di Brambilla mi sembra solo revisionista. La stessa Cederna riporta il fatto dello scambio dei libri/regali, ma come una cosa lontana: Pinelli aveva ricevuto diverse minacce, nell'ultimo periodo. In più, il tanto sincero Calabresi, un mese dopo la morte dice la seguente frase: "Non avevamo niente contro di lui, era un bravo ragazzo, l'avremmo rilasciato il giorno dopo." Non è un pò contrastante ai gesti di consenso che aveva compiuto il mese prima, alle parole del questore? In più, se non è stato buttato dalla polizia, da chi è stato buttato? Vogliamo davvero credere al suicidio?
Il suicidio, scrive anche la Cederna, era plausibile per due motivi: 1) l'alibi consegnato era falso; 2) Valpreda aveva confessato ed era stato quindi arrestato. Ma nella realtà Pinelli aveva un alibi di ferro (ed aveva sorriso, quando glielo avevano contesto) e la questione Valpreda non poteva toccarlo nemmeno più di tanto: avevano avuto diversi scontri, poco tempo prima e lo considerava uno "sbruffone". Quindi, l'ipotesi suicidio (oltre che per le dinamiche spiegate all'inizio) era eliminato (a meno che non si voglia credere al Malore attivo… Ossia una sorta di svenimento in cui Pinelli si alza dalla sedia, arriva alla finestra, perde l'equilibrio - da svenuto- e cade. Assurdo. E comunque rimarrebbe quel colpo insolito).
assoluzione degli imputati perchè il fatto non sussiste.
Per chi volesse ampliare la conoscenza, consiglio:
La strage di Stato - controinchiestadi Eduardo M. Di Giovanni e Marco Ligini
L'eskimo in Redazione - Michele Brambilla
Foto di Gruppo da Piazza Fontana - di Mario Consani
Pinelli - una finestra sulla Strage - di Camilla Cederna
in cui potete trovare l'intera sentenza del giudice D'Ambrosio;
Infine, consigliata la visione dello spettacolo teatrale di Dario Fo: Morte accidentale di un anarchico.
Concludo con una frase detta da un uomo ancora in auge. Riassume in modo eloquente l'intenzione di tenere all'oscuro la gente della verità e la voglia di ricercare espedienti da colpevolizzare. E detta oggi, dopo che Valpreda è morto, dopo che "tutte le sentenze, anche quelle assolutorie, puntano il dito sulla pista nera, c'è un personaggio che orna ad alludere a possibili responsabilità del vecchio ballerino anarchico. E' il politico che da mezzo secolo si trova al centro dei più oscuri misteri della Repubblica e che, secondo l'ex procuratore Gerardo D'Ambrosio, conosce anche il segreto di Piazza Fontana". Quest'uomo ha un nome: Giulio Andreotti.
"Dovrebbero essere i magistrati a scoprire la verità. E poi un dettaglio mi ha sempre colpito. Il tassista che riconobbe Valpreda aveva annotato che indossava un cappotto diverso. Si scoprì poi che Valpreda era passato da casa di un parente e aveva cambiato cappotto. Un dettaglio, ma di quelli che in poche righe possono contenere la chiave di un giallo".