Quando Berlusconi tornerà a vincere le elezioni, almeno potrò dire che per un attimo ci avevo pensato. Perché a votare Partito Democratico, per un momento durato almeno tre settimane, ci ho pensato davvero. E ne ero anche abbastanza convinto, tanto da aver avuto alcune accese discussioni. Ma alla fine, avevano ragione loro. I compagni, quelli cresciuti a pane e partito. Quelli che non si arrendono mai nonostante i capelli bianchi, quelli che fanno volantinaggio alle manifestazioni che una volta portavano in piazza 10 mila persone e oggi sì e no 3 mila (vedi i 30 anni dalla morte di Walter Rossi sabato scorso a piazzale degli Eroi, a Roma).
E' una questione di idee, coscienza o chissà cosa. Ma votare quelli lì non è pensabile. Sorvolando sulle ridicole diatribe su nome e collocazione nel Parlamento europeo del periodo che ha preceduto l'estate, l'unico sussulto si è avuto con il discorso di Uòlter dal Lingotto di Torino. E nonostante la mia speranza resti quella che sia lui a guidare la nuova formazione, caro Uòlter, io non posso proprio. Non posso votarti. Perché non posso votare il nipote di Gianni Letta così come non posso votare i cattocomunisti alla Bindy, che tuttavia non è nemmeno male se penso al resto delle quote rose che si stanno facendo strada, dalla Melandri a Lilli Gruber, passando - sic - per Veronica. Ma dico, Uòlter, ma come solo ti viene in mente una cosa del genere? Vabbè che in questi anni a darle il patentino di donna liberal e impegnata ci avevano pensato prima Micro Mega e poi Repubblica, espressione mediatica dell'intellighenzia di sinistra fatta di aperitivi all'aperto sulle terrazze di Trastevere, foulard colorati, registi brizzolati, catering di cibo arabo: mi convincerete nel momento in cui avrete il coraggio di affermare che un felafel è meglio di una pizzetta o di un tramezzino. Ma questa sulla donna del Berlusca è peggio - o forse no - di Fassino che lecca il culo a Marchionne.
Suvvia, guardiamoci in faccia compagni e parliamoci chiaro: sta tutto nella semplicità della vita. Beppe Grillo, i blog, le magliette, le primarie, i girotondi, la partecipazione democratica. TUTTE CAZZATE. Tutta gente senza ideali, tutta gente che arriva dai salottini della sinistra, professionisti che per avere la coscienza a posto iscrive i figli al Mamiani. "Questi mangiano bignè e cacano rivoluzione", come dice un mio amico camerata. E c'ha ragione. C'ha ragione perché loro sono la conventicola, sono uguali agli altri, sono la casta, mantengono privilegi a cui non vogliono rinunciare, adottano bambini a distanza per raccontarselo durante le cene a tema. "Io ieri ne ho preso uno in Birmania", già le sento quelle vecchie befane che fanno a gara a chi è più solidale mentre affondano i denti di ceramica nel cous cous. Ma un giro a Napoli, a Roma o a Palermo se lo sono mai fatto? Probabilmente no perché il fine settimana lo passano a Capalbio. Basta con questa ipocrisia: a loro delle istituzioni, della Costituzione, del pacifismo NON GLIE NE FREGA UN CAZZO. Come non glie ne è mai fregato prima.
Con questa gente - descritta in maniera superficiale e confusa lo ammetto - sento di non avere nulla da condividere. Così come sento di avere poco da condividere con l'operato del Governo in carica. Mi sono convinto di una cosa: non sarà certo un periodo storico di dieci-quindici anni a determinare i cambiamenti sociali dell'Italia. Di conseguenza, visto che non siamo in tempo di guerra, il concetto di elezioni (soprattutto con questo tipo di sistema antidemocratico) perde di significato. E io ho deciso che non li voto - nemmeno alle primarie - perché non mi rappresentano né rappresentano quello in cui ho sempre creduto e a cui non vedo motivo per rinunciare. Proprio oggi si apre una settimana importante: nelle fabbriche cominciano le consultazioni tra gli operai sul collegato del Welfare. Mi sento molto vicino in questo momento ai lavoratori della Fiom, ora al centro del mirino dei nostri eroi, e anche se il No raggiungerà il 25% auspico che il Governo Prodi cada e faccia un bel tonfo. Nella Finanziaria che stanno portando avanti manca ancora una volta un segnale di discontinuità con il passato. Se Montezemolo applaude e Mirafiori fischia, da qualche parte si cela l'inculata. E io non voglio essere complice.
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