Ma si sa, i sogni son desideri, Ciccio Desideri non ha avuto la carriera che avrebbe meritato perché magnava troppi bucatini e forse a Karl Shepherd non piacciono i bucatini, quindi mi sono consolato vedendomi almeno il concerto. Nell'ambito di una serata chiamata “Pensiero stupendo” ed organizzata in collaborazione con i tipi di Rockit al Covo suonavano infatti Le luci della centrale elettrica, i Ministri e gli Amor Fou e, anche se tutti probabilmente erano accorsi lì per sentire Mr. Shepherd mettere dischi, è stata ugualmente una serata meritevole di essere vissuta appieno.
Ha aperto Le luci della centrale elettrica a.k.a. Vasco Brondi e il concerto avrebbe potuto anche finire lì, vista la manifesta superiorità del giovane Brondi sul resto della truppa. Era un bel po' che non lo sentivo e devo dire che mesi di concerti in giro per l'Italia gli hanno fatto parecchio bene. È parso più sicuro di sé e delle sue enormi potenzialità, estremamente razionale nell'organizzare il suo caos organizzato, una vero globetrotter che grazie a voce, chitarra ed effetti vari risulta molto più evocativo e potente di qualsiasi altra cosa che si sente in giro ultimamente, in particolar modo del suo quasi omonimo modenese (con grande sprezzo del ridicolo etichettato da tutta la stampa nazionale come “l'unico che piace a tutti ed è in grado di riempire gli stadi” o “il rocker italiano per eccellenza”, come se l'Italia fosse la repubblica delle banane). Vasco Rossi in realtà ha superato i cinquanta ed è grottesco e sovrappeso, mentre Vasco Brondi è giovane ed ha ampi margini di miglioramento. Il futuro è dalla sua parte ed il ragazzo si farà anche se ha le braghe larghe, e non è poco.
A seguire hanno suonato i Ministri. Chi si aspettava di vedere sul palco Al Jourgensen e soci è rimasto deluso, visto che i Ministri non sono i Ministry ma sono un gruppo italiano che schiera una line-up di tutto rispetto: Ricky Memphis alla batteria, Marco De Marchi alla chitarra, Riccardo Rossi al basso/voce ed un passante opportunamente camuffato con parrucca e barba all'altra chitarra. Giovani speranze vestite in maniera indescrivibile (più o meno come dei Kasabian che hanno deciso di rinnovare il loro guardaroba facendo acquisti all'Uba Uba), suonano un qualcosa a cavallo tra Negramaro e Pearl Jam, con in sovrappiù testi leggermente sopra la media nazionale. Muccino aveva un sogno: scappare al bar a bere acqua molto fresca. Lui non ce l'ha fatta, io sì. Ed ho pure trovato un'ottima scusa per fuggire da un'esibizione che aveva già ampiamente oltrepassato i livelli di guardia. Ma forse sono solo troppo cattivo. Risentirò in altra occasione.
La kermesse è stata chiusa in bellezza dagli Amor Fou di Alessandro Raina che, complice la mia distanza dal palco, per un attimo avevo addirittura scambiato per Ivan Cattaneo. Un gruppo che suona un qualcosa a cavallo tra Tiromancino e Lali Puna e che, mentre su disco mi era sembrato alquanto noioso, dal vivo riesce a risultare caldo e coinvolgente. Gli anni novanta che piacciono a me non sono di certo quelli dei La Crus ma loro sono molto bravi, non si limitano di certo a svolgere il compitino e, complice la presenza scenica del Raina, tengono molto bene il palco. Potrebbero diventare famosi, devono solo scegliere se far prevalere il lato Tiromancino o quello Lali Puna. In Italia roba del genere piace, basta crederci. In fondo, se ce l'ha fatta Meg dei 99 Posse, perché non dovrebbero farcela loro in quest'Italietta degli anni zero?
Ma a dire il vero che ce la facciano o no poco importa. Il punto fondamentale è un altro: cosa rimarrà di questi anni zero? Penso (quasi) nulla. Sono non-anni, in cui si cerca di riproporre una minestra riscaldata fatta di tutto quello che ha funzionato nei decenni precedenti, semplificato ad uso e consumo delle nuove generazioni che non l'hanno vissuto in prima persona. Vuoi il punk? Ci sono i Finley. Vuoi il rock? Ci sono i Negramaro. Vuoi Enrico Brizzi? C'è Federico Moccia. Vuoi Maurizio Costanzo? C'è la De Filippi. Vuoi Daniele Bossari? C'è Daniele Bossari (che tra l'altro con il suo Scalo 76, un programma che ha fatto del ritmo la sua cifra stilistica, è miracolosamente arrivato alla quarta puntata). In poche parole, c'è un surrogato di tutto, ma non è la stessa cosa. Tra quindici anni gli adolescenti di oggi non ricorderanno l'odierna dance da classifica come noi oggi ricordiamo la eurodance, una delle espressioni artistiche più alte di tutti i tempi, baluardo insuperabile a difesa dell'identità di un'intera generazione. Non c'è verso, si torna sempre lì.
Però ieri Enrico Silvestrin e oggi Carlo Pastore, ed il cerchio si chiude. E qualche dubbio mi rimane.
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