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E' tutto un equilibrio sopra la follia
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Partiamo dai chicchi di grandine. Dalle macerie in cui ci ritroviamo a fissarci reciprocamente, quasi in cagnesco, francamente increduli di fronte alla Disfatta Generale. Non ha perso solo il PD, non è stata solo rasa al suolo la Sinistra in Italia, direi che a sanguinare sono le gengive di una visione proporzionale della politica italiana e dunque della società. Il fungo atomico si alimenta dei "vecchi schemi", delle "vecchie ideologie", delle "vecchie speranze" e disegna nel cielo una nuvola di fumo nero e verde, che arriva a coprire l'azzurro del solito Vincitore. Ci ritroviamo senza gli Estremi e senza i vecchi simboli di un secolo fa, la falce, il martello, la fiamma. Dobbiamo però fare tutti i conti con gli Estremisti, quelli convinti/costretti a votare in modo "utile", che si astengono, che si lasciano intercettare il peggio di loro stessi. Ci americanizziamo in modo quasi inquietante, ma direi inevitabile, abbiamo i due Grandi Partiti e pure la nostra dote di astesionismo che si astiene su tutto, dal votare ma anche dal fare una cazzo di rivoluzione come si deve e come ce ne sarebbe dannatamente bisogno.
La giornata è storica, tanto che la risalita al trono da parte di Silvio rientra nella nostra altanelmante normalità, si fa consuetudine e sbiadisce un poco la torbida immagine di Berlusconi, che ormai non esiste più. Esiste il Berlusconismo, dobbiamo fare i conti non con un, seppure dominante, singolo individuo, ma con una disciplina, un modo di considerare un paese, di plasmarlo sfruttando la passività oserei dire erotica che contraddistingue gli italiani. Passeranno in fretta questi 5 anni, è vero, non cambierà "niente" per le nostre singole vite eppure il virus silenzioso continuerà a scorrere nelle nostre vene. Non so cosa resterà di questo Partito Democratico, che è rimasto, come sempre gli accade, a metà strada, senza avere il coraggio e la volontà di andare fino in fondo. Tutto è partito da Veltroni eppure tutto è finito nelle mani dell'avversario, con cordiale telefonata di complimenti a corredo finale. Anche questo, non fa una piega.
Abbiamo fatto un altro piccolo passo in avanti verso l'Inciviltà, in senso lato, e i risultati elettorali più che frammentare a me sembrano riunire (anche qui in senso lato...) fazioni opposte. Per una volta astenuti e votanti, sostenitori di Veltroni e rivoluzionari che si mangiano la scheda nei seggi, si trovano di fronte a una comune scelta di tre possibili alternative. L'indifferenza, il continuare a fagocitare assiduamente e passivamente le proprie esistenze fatte di individualismo sfrenato e disilluso. Oppure la depressione cronica e senza scampo, che prevede l'esilio, per chi se lo potrà permettere, o la macchia. Altrimenti il rimboccarsi le maniche strappate e ormai consumate non per il 2013, ma per domani, per subito. E' sempre il solito discorso della montagna e di Maometto, di rappresentanti e di gente da rappresentare. 15 anni a lamentarci di Silvio, di un centrosinistra diviso e fallaceo, di una politica in cui non ci si riconosce, del fatto che in fondo "sono tutti uguali", e intanto non ci siamo resi conto che siamo noi ad essere cambiati. Siamo più stronzi e razzisti, abbiamo più fame e più paura, siamo più egoisti e più stanchi. Siamo vittime e carnefici. Hanno vinto semplicemente perchè hanno messo un megafono davanti alle bocche dei nostri stomachi inaciditi.
Senti che bel rumore.
Al termine di questa noiosa e stagnante campagna elettorale dove ho visto disperdere al vento il senso civico senza criterio alcuno mi ritrovo col mio voto in mano e qualche considerazione tra le dita.
Si è parlato molto di "voto utile", concetto che trovo offensivo del mio diritto al voto, o al non voto (sull'astensionismo parole che condivido appieno su Wittgenstein). Io capisco che la cosa è condivisa dai due poteri forti in gioco in queste elezioni, quindi tollerata, tuttavia la trovo democraticamente scorretta e apprezzo che Napolitano l'abbia sottolineato. In una democrazia che si possa dire tale ogni singolo voto è utile. Non è giusto passare il concetto per cui non bisogna votare i piccoli partiti per andare a gettare il proprio voto in calderoni che magari non ci rappresentano a pieno. L'interesse del cittadino dovrebbe essere quello di sentirsi rappresentato politicamente, non di "aiutare" i due grossi partiti. Parimenti antidemocratico trovo inneggiare al "voto contro", lesivo della dignità dei votante e della politica stessa, sinonimo del vuoto che si portano dentro i due principali schieramenti al momento. Il tutto sempre al danno delle forze minori, la morte del libero pensiero.
Mi chiedo dove se ne sia andata la dignità politica della sconfitta.
Non ho sentito molto parlare invece di laicita dello Stato. In un post sul mio blog spiegavo che con ogni probabilità non avrei dato il mio voto nè al PD nè al PDL per mancanza di laicità.
Lo abbiamo respirato negli ultimi mesi di questo governo, si sta mestamente andando verso una situazione in cui diviene necessario e doveroso sottolineare e ribadire la laicità dello Stato italiano e impedire ingerenze confessionali di qualsiasi natura. Bene, in un momento simile i due principali leader di partito hanno vergognosamente taciuto su questo tema centrale per l'equilibrio del paese, trovandosi d'accordo quindi su un tacito assenso a un certo tipo di ingerenze.
Personalmente in questa prospettiva non ci aspetta nulla di buono da ambo le parti.
Grande assente infine l'elettorato. L'elettorato che oramai serve solo a mettere una croce per contribuire a comporre un parlamento che altri hanno già scelto. L'elettorato sempre più distante da una politica che ha smarrito se stessa per perdersi nei suoi sproloqui che perdon man mano l'aderenza con la realtà parlando di una società che non conosce più e che dipinge a suo uso e consumo.
E ne è emblema una sparata finale che coi problemi di inquinamento e di riscaladamento globale che ci sono invece di parlare di chiusura dei centri storici alle auto, abbattimento dei costi per il trasporto pubblico cittadino, rinforzo dello stesso, incentivi all'uso del trasporto ferroviario e chi più ne ha più ne metta va ad incentivare il possesso di mezzi inquinanti.
Finisco le mie riflessioni pre elettorali augurando ad ognuno un buon voto o non voto con una sola consapevolezza.
La politica è ben altro.
Tra due giorni gli italiani saranno chiamati alle urne a scegliere quale Governo dare a questo paese. Se è vero che i sondaggi valgono a poco, gli exit poll e le proiezioni sbagliano sovente, e nessuna previsione è ormai possibile fare vista la parziale "novità" nell'offerta di partiti, schieramenti e candidati, questo vuol essere solo un tentativo di fotografare un momento storico da un preciso punto di vista. Di raccogliere le speranze e i desideri di un popolo, quello della rete e dei blog, nell'aprile dell'anno 2008.
Cosa ne pensa quella fetta dell'elettorato che usa il mezzo internet, valuta i programmi con attenzione, discute, si interroga, e critica?
Sono tre le domande cui vorremmo rispondeste, nei commenti di questo post, anche in forma anonima inserendo nome ed indirizzo mail di fantasia. Ovviamente il sondaggio è aperto a chiunque, potete segnalarlo per mail, sui vostri blog, o girarlo a vostra volta a conoscenti ed amici internauti.
A voi la parola, con la speranza di leggere argomentazioni costruttive in sostegno di un'idea, pareri e analisi su questo o quel modo di vedere le cose, e forse, capirne un poco di più.
Le maniglie non vanno lucidate, ma divelte. Poi posso convenire che c'è modo e modo, e sì, è possibile divelgere anche con pacatezza, serenamente (e qui già tradisco che modo ho scelto). Ma più che le convergenze, credo che ci sia bisogno di Divergenze Costruttive. Di proporre modelli chiari, distinti, ognuno con la sua personalità. C'è bisogno di scegliere, e non di lasciarsi scegliere, e di convincere. La conciliazione tra animali politici mi puzza tanto di manovra subdola, di ennesimo colpo di stato che mette in un angolo buoni e cattivi, gli illusi e i cinici, consegna altro terreno di manovra (oserei dire in modo quasi definitivo) alla politica. La Delega finale, che va oltre la delusione verso i partiti e partitini, che supera il bipolarismo a destra senza la freccia e ci consegna nelle braccia del Monopartitismo, per una lenta decadenza illuminata. Il vero dramma italico consiste proprio in questo disperato bisogno di scelta, quando non esiste nessuno di valido cui affidarsi. La vera sfida non è rappresentata dalla dicotomia risolvibilissima tra SB e WV, tra "principali esponenti degli schieramenti avversi", quanto tra chi vota e chi non vota. Entrambi destinati ad essere incompiuti: quelli che scelgono tra mille simili e speculari alternative, quindi di fatto non scegliendo nulla, e coloro che voltano le spalle e dall'altra parte ritrovano lo stesso vuoto cui dicono di no, solo con un sapore più facile da mandare giù. Cittadini armati di matite spuntate contro persone che smettono di essere ingannate. Senso civico contro coscienza pulita. Non vince nessuno, e mi fa quasi più incazzare della ormai certa vittoria di SB.
Un'idealista come me dovrebbe essere convinto sulla validità del non voto, ma il realista che c'è in me pensa che non posso sentirmi complice di chi farà vincere, un'altra volta ancora, SB. L'idealista che c'è in me capisce e apprezza gli illuminati che sono stanchi di vivere da persiani e scelgono di morire da spartani, esasperati dalla lampante evidenza che niente merita la loro crocetta. Che non c'è niente da salvare, da scegliere, da affidare speranze. Ovvio che è così, ed è solo la cecità, o l'ipocrisia, che ci può portare dentro una cabina elettorale italiana. Ma il realista che c'è in me si chiede che cosa ci guadagno io a restare a casa: niente. Si chiede che cosa ci guadagna l'Italia dal mio voto negato: niente. Si chiede che alternativa propongo: niente. L'idealista e il realista convengono che aggiungerei soltanto niente al nulla imperante e diffuso. Il niente dei discorsi buonisti di Veltroni, il niente del populismo meschino di Berlusconi, il niente di una sinistra imbarazzante, di un fascismo ridicolo, di un cattolicesimo straziante. Non voglio essere loro "complice". Piuttosto, preferisco essere complice di me stesso, e del mio "niente costruttivo". Visto che l'unica rivoluzione di cui sarei capace, partirebbe dal mio letto (cit.), domenica mi sveglierò, andrò a votare, voterò per il meno peggio, sì, ancora una volta, senza turarmi il naso ma comunque con enormi sensi di colpa, tornerò a casa a disagio sporco di grafite e di flebili illusioni, con la sensazione di essere stato meno egoista possibile. Di non aver capito fondamentalmente nulla, ma di avere voglia di continuare a provarci. Di sentirmi un tantino schizofrenico.
Sarà che mi piacciono le cause perse.
Non è tanto Berlusconi che sceglie di spendere i suoi ultimi slogan prima del voto con cose fuorvianti tipo il test di sanità mentale per i pm o le dimissioni di Napolitano in cambio di una camera al Pd e chissà quali altre nei prossimi giorni.
La cosa triste siete voi che lo voterete ugualmente, tra quattro giorni, perchè avete sempre votato a destra e non voterete mai "per i comunisti" o per qualcuno che alla lontana proviene da quelle parti. Ecco questo mi dispiace e mi rattrista: che agli italiani delle parolacce e delle boutade del Cavaliere non gliene può fregare di meno. Non votano la serietà, non votano i programmi, ma votano sull'onda dell'entusiasmo che la politica sa suscitare. E Silvio più dice stronzate più la gente si esalta ed è felice.
E la gente che se ne frega di avere un premier "colorito" e "pittoresco" - diciamo così - in Italia, è maggioranza, punto e basta.
Negli ultimi anni, ovvero in coincidenza con l'abbandono dell'ultimo direttore veramente "sportivo", il Candido Cannavò, la Gazzetta è stata affidata a direttori che con lo sport c'entravano zero. Da Di Rosa a Calabrese, il culmine lo si è raggiunto con l'attuale direttore Verdelli, proveniente (addirittura) da Vanity Fair. Chiaro l'intento: trasformare la Gazzetta da giornale per leggere i voti del fantacalcio il lunedì mattina o coprire il petto dei ciclisti lungo le discese del Giro d'Italia, a giornale "popolare" per eccellenza, per vendere più copie possibili. I puristi hanno storto il naso di fronte agli inutili articoli sulle fidanzate dei calciatori o sulle due pagine piene di brevi da fondino blu di Repubblica.it, che forse aprivano gli orizzonti al lettore ma indubbiamente sottraevano spazio agli altri sport, ad altre analisi, a storie sportivamente più interessanti. Ma un giornale non fa beneficenza, deve vendere, e dunque Verdelli ha osato laddove i precedessori si erano fermati: ha preso la Gazzetta e l'ha rivoltata come un calzino, cambiandone clamorosamente il formato.
Oggi nelle edicole troviamo sempre la Rosea, ma in un'edizione smaccatamente tabloid: dalle dimensioni stile giornali scandalistici inglesi, ai titoloni sparati per qualsiasi notizia, alle pagine interamente a colori ricche di foto (e pubblicità). L'effetto, quando mi sono ritrovato tra le mani il primo numero Post Rivoluzione, è stato quello di vedere la propria madre in minigonna e reggicalze, più o meno. Mi è venuto da chiedermi se era veramente "necessario" questo cambio radicale, se fossi io ad essere un'inguaribile affezionato allo scomodo formato lenzuolo o se effettivamente si stava sputtanando definitivamente un'istituzione. Da leggere è sicuramente più facile, così mini e così infilabile ovunque, e la grafica risulta gradevole alla vista, ma l'aspetto che più mi lascia perplesso è l'ammissione stessa del Blasfemo Verdelli. Nell'editoriale d'esordio della nuova veste, registrava il passaggio di ruolo della Gazzetta, che da "mezzofondista" si apprestava a diventare "velocista". Posso confermare, dopo una settimana di letture, che l'obiettivo è mantenuto: in un formato più piccolo gli articoli sono diventati semplicemente più corti, quelli più inutili sono stati eliminati, lo spazio per gli altri sport condensato, gli articoli solitamente più lunghi ora vengono sostituiti da sintetici riassunti. Come dire: l'approfondimento e la dovizia di analisi non ce lo possiamo più permettere. La Gazzetta sembra essere diventata niente di più che un autorevole Controcampo (autorevole grazie a quello che è rimasto immutato, ovvero la Storia e i Giornalisti), e nonostante frasi da imbonitori e lodevoli intenzioni di rinnovamento, tenta di stare dietro a internet gareggiando sullo stesso campo: la velocità, l'immediatezza. Velocisti, e pure illusi.
Mi sono messo in testa, che le virgole veramente, sono importantissime. Cioè uno, non è che può metterle dove gli pare le virgole altrimenti, succede che chi legge quando, legge, fa una fatica secondo me quadrupla rispetto, a uno che legge qualcosa con le virgole, messe al punto giusto.
Una cosa, che ho notato per esempio, è che quando le virgole, sono messe a cazzo, di cane, la prima cosa che viene fuori leggendo il testo con le virgole, piazzate, a cazzo di cane è una musicalità come, dire, sbagliata, stonata, ecco mi pare proprio che sia, stonata, la parola giusta, non so se a voi fa lo stesso effetto, anche perché, diciamocelo, chiaramente non è che capiti tutti i giorni di leggere roba con le virgole a cazzo di cane per fortuna ormai la gente mediamente sa dove mettere le virgole e quindi le cose che si leggono dai giornali ai libri insomma le virgole ce le hanno eccome anche perché cristo di un dio chi mai si metterebbe lì a scrivere una cosa senza le virgole? Una cosa senza virgole diventa illeggibile dall'inizio alla fine che ne so mi viene in mente un amore senza baci ecco un testo senza le virgole questo è un amore senza i baci.
Quindi mi sa, che è vero, quello che ogni, tanto, dicevano a scuola i professori e cioè che le virgole, sono quelle cose che danno il tempo al testo che fanno capire, ai lettori dove è giusto rallentare e dove, no. I giornalisti gli scrittori chi scrive dovrebbe, avere maggiore tatto nell'adoperare virgole e affini perché, è proprio da ciò che passa la comprensione o meno, di un'opera.
E' che, uno, poi tende ad abituarsi alle cose: è tutta una questione, di abitudine la vita. Perciò io me le aspetto le virgole, a un certo punto di un testo oppure, non me le aspetto che ne so, dopo i soggetti eccetera le sapete tutti queste cose com'è che funzionano però, quello che voglio dire è che, io abituato lettore ma anche abituato e basta perché uno secondo me non serve che sia un lettore abituato per capire di virgole pure quando parliamo ce le mettiamo le virgole anche se sembra di no e insomma io, abituato lettore o non lettore come vi pare, SO mi immagino, quel che sta per succedere leggendo vuoi, per istinto o vattelapesca, e allora pure, in presenza di un testo difficile aulico pure in quel caso lì io che, ormai ci ho fatta l'abitudine, saprò dove aspettarmi le virgole quindi se improvvisamente leggendo una cosa qualsiasi a maggior ragione se lunga o difficile o piena di incidentali o ipotetiche io mi dovessi trovare, le virgole tutte spostate da una parte ecco, che in quel caso io farei una fatica bestiale a leggere perché abituato come sono a trovarmi, le virgole al posto giusto sarei in difficoltà e io sto parlando proprio, di una difficoltà fisica, atroce, è questo lo scherzo che ti fa l'abitudine in tutte le cose mica solo, nella lettura e nelle virgole.
Leggere, una cosa, con le virgole tutte messe a casaccio è come trovarsi a scrivere, un sms, con il telefonino di un altro pure, se fosse lo stesso modello di telefonino ditemi voi se comunque non trovereste difficoltà a redarre il testo ecco, com'è che la penso io sulle virgole, al punto che uno dopo un po' ne sente la mancanza, delle virgole, ci fate caso? La punteggiatura, mamma mia, dovrebbe essere alla base, di qualsiasi cosa scritta o addirittura pronunciata: le virgole, queste benedette virgole, io ne sento proprio la mancanza, ripeto, fisica, quando non me le mettono o le mettono a caso.
Non vi sembra che tiri tutta un'altra aria quando, puf, di punto in bianco uno si trova a riavere a che fare con le virgole messe al punto giusto? Certo che sì: la verità è che l'abitudine dovrebbe essere proibita e ve lo dice uno che si considera un grande abitudinario, seppure buon amante delle novità. C'è gente che rientra in casa e se per caso qualcuno, in sua assenza, ha spostato una pianta, quello magari perde l'appetito: conosco una tizia che è dovuta ricorrere allo psicologo per trovare la forza di cambiare montatura agli occhiali da vista.
Figuriamoci, con le virgole, a casaccio. Le virgole, sono importanti.
Basta un niente: ci vuole un attimo che, il senso, di una frase che si voleva dire viene detto tutto, in un altro modo.
Un'altra cosa che non sopporto sono le ripetizioni: ma non le ripetizioni dei termini, perché le ripetizioni dei termini, il ridondare, a me piace molto, anche. Un sacco di scrittori ne fanno sapientemente uso (Paolo Nori, per esempio) e la prosa che ne vien fuori è parecchio parecchio piacevole. Quelle che proprio non riesco a mandare giù sono le ripetizioni dei modi di dire, degli intercalare, che ne so, come se i romanzi che si vendono oggi, che ne so, non fossero già abbastanza lunghi e costosi, oppure, che ne so, pesanti, perché il peso conta oggigiorno: uno deve pure pensare che uno la macchina mica ce l'ha per forza, non è mica detto, uno può pure darsi che la macchina abbia scelto di non acquistarla perché preferisce prendere i mezzi, se uno ha la fortuna di vivere in una città dove i mezzi pubblici funzionano, in quel caso uno non è mica condannato a prendere la macchina, uno mica è detto che se la possa permettere la macchina, potrebbe non averci i soldi, ad esempio, mica è un'onta, e insomma, quello che volevo dire, a parte le virgole, è che un'altra cosa che mi infastidisce alquanto sono le ripetizioni dei modi di dire, degli intercalare, anche dei pronomi e delle congiunzioni e compagnia bella, a meno che non ti chiami J.D. Salinger, e ci mancherebbe.
Per non parlare della ridondanza delle similitudini! Come se uno non fosse già abbastanza stufo di fare le stesse cose tutto il giorno come un robot di Asimov, no, adesso dobbiamo pure metterci lì a leggere un libro in poltrona e trovarci di continuo similitudini a raffica come in una serigrafia di Andy Warhol. Si può sapere a che servono troppe similitudini? Io penso che se un'immagine letteraria è scritta come si deve, in linea teorica, il lettore ci dovrebbe già pensare da solo, non c'è bisogno di imboccarlo continuamente di similitudini come un neonato di pappa.
C'è un'ultima cosa che mi viene in mente che proprio non sopporto leggere quando leggo, ed è quel meccanismo per cui un autore che non sa che chiusa dare al proprio pezzo si mette lì a scrivere che non sa che chiusa dare al pezzo, come se questo esercizio banale di post-modernismo possa servire a salvare la cifra stilistica del tutto. Addirittura ci sono quelli che, nel dubbio, per giustificarsi, confondono ancora di più le carte e decidono di sollevarsi dall'impegno dando appuntamento ai propri lettori a una fantomatica prossima puntata, (che non ci sarà mai!) come a dire: sentite un po', cari lettori, fino ad ora mi sono fatto un culo tanto per intrattenervi, adesso non mi rompete i coglioni che volete pure una chiusa soddisfacente. Facciamo che ne riparliamo e buonanotte al secchio.
(credo di aver dimenticato di dire che un elemento definitivo di non appetibilità di un testo è l'eccessiva lunghezza. Ma di questa discuteremo un'altra volta)
La chiave di volta per comprendere un'opera come Deejay Parade vol. 4 sta tutta nei quindici secondi iniziali del disco. Parte il jingle del Deejay Time e quasi immediatamente la voce fuori campo, con una solennità che ha dell'inverosimile, pronuncia la fatidica frase “Configurazione Albertino attivata”. Parole in libertà che messe insieme non significano nulla di compiuto eppure nello stesso tempo vogliono dire tantissimo, parole che sono diretta espressione di un'epoca in cui non si aveva ancora ben chiaro che cosa sarebbe arrivata a fare la tecnologia perché i computer erano visti ancora come entità saldamente controllate dagli uomini e non il contrario. Ascoltandola ora si prova tenerezza, eppure allora una frase del genere faceva sempre un certo effetto. Beata ingenuità.
Ed è proprio questa ingenuità di fondo che rende Deejay Parade vol. 4 un capolavoro immortale. Una compilation a cura di Albertino e mixata da Fargetta uscita nell'anno di grazia 1994, diciotto brani, diciotto inni. Nulla da dire. Ci si trova di tutto: da megahit entrate nell'immaginario collettivo (Change di Molella, Think About The Way di Ice Mc, la fantasmagorica The 7th Allucination dei Datura) a perle nascoste troppo presto dimenticate (All Around the World di Silvia Coleman, Call My Name di Aladino, addirittura Sex Drive di Glam feat. Pete Burns – ripeto Sex Drive di Glam feat. Pete Burns), da tamarrate quasi eccessive (Pupunanny di Afrika Bambaataa) ad improbabili odi alla rivoluzione (W la Revolution di Z100). Da lacrime agli occhi.
Non ci sono cazzi, Deejay Parade vol. 4 è assolutamente imprescindibile. Da avere a tutti i costi, anche solo per farsi un'idea di come una volta funzionavano le cose. Per rivivere i bei tempi che furono se uno li ha già vissuti, ma per farlo anche se uno non li ha mai vissuti - basta solo pensare di averli vissuti e lavorare spudoratamente di fantasia. La finzione che diventà realtà, la realtà che supera l'apparenza, l'apparenza che non inganna, il grande inganno dell'uomo che è controllato dalla tecnologia e non (più) il contrario. Si torna sempre lì, all'uomo che non è più ingenuo ma si fa fregare come se lo fosse. Abbiamo tutti bisogno di ingenuità: almeno avremo sempre una scusa per farci fregare.
Giuro, non riesco a non guardare questa foto senza ridere come un matto. Silvio come un Marcel Marceau che mima lo svenimento. Se penso ai dolori che verranno tra pochi giorni rido meno ma al momento mi consolo così.
D'altro canto, meno divertente ma pur sempre spettacolare per l'espressione e il contesto, su Corriere.it tra le foto della contestazione a Giuliano Ferrara guardate un po' chi c'è con le braccia alzate e la giacchetta radical chic? Chi indovina vince un invito a cena con lui. Aiutino: è un autore più o meno latitante di Ciccsoft 🙂