In ricordo di Fioretta

Florinda aveva un nome d'altri tempi, che campeggiava sull'insegna ormai scolorita da troppa neve e sole sotto la dicitura rosso pallido "ALIMENTARI MACELLERIA". La corporatura minuta e l'affetto di un paesino di un centinaio scarso di anime avevano tramutato ormai da decenni il suo nome nel più semplice Fioretta. La sua bottega, l'unica rimasta in paese negli ultimi quindici anni circa si chiamava per l’appunto così, senza nomi altisonanti da ipermercato che sarebbero parsi fuori luogo.
Quando si andava da Fioretta era il più delle volte per comprare il pane, giorno dopo giorno, ma si finiva con il comprare anche qualcos’altro di cui non si aveva bisogno viste le dimensioni contenute dell’ambiente, dove ogni prodotto era a portata di mano e visibile a colpo d’occhio. La merce disposta sugli scaffali era posizionata a volte in maniera così creativa che il direttore marketing di una catena di supermercati avrebbe potuto trarne spunto per il suo lavoro. A fianco alle collant da donna un dentifricio scaduto, quindi una bottiglia di brandy impolverata, un quadernino con le righe di terza elementare, una paletta per le mosche e un cero per il camposanto. Non serve dire che alcuni prodotti non venivano venduti per lungo tempo, e rimanevano sugli scaffali a fissare immobili il viavai di vecchiette talmente a lungo da ricordare persone che ora danno fosforo all’aria nel quartiere più popoloso del paese, poco sotto una distesa di verdi cipressi. La vetrina, priva di qualsiasi insegna o cartello era un collage di scatole azzurrate scolorite dal sole con marchi e loghi degli anni ’80, quando andava bene.
Eppure da Fioretta ci trovavi il paese intero. In coda per mezza pagnotta o due etti di mortadella, per i biscotti o l’effervescente digestivo, era una seconda piazza in particolar modo per le signore più anziane, abituate a comprare poco per volta, con calma e serenità, portando a piedi le sporte della spesa fino a casa, lontane dai rumori e dalla frenesia dei centri commerciali che quissù, a quasi mille metri d’altezza in mezzo al Parco Nazionale d’Abruzzo, non sono mai arrivati. Quando entravi scostando la tenda di treccine colorate per tenere lontane le mosche venivi colto subito dalla domanda: “Che ti serve?”, quasi volesse stabilire subito un contatto umano con chi aveva varcato la soglia (o forse per una sanissima curiosità verso l’avventore di turno); comprare in silenzio e facendosi gli affari propri non era cosa possibile da Fioretta. E poi appunto, c’era la gente. In coda per il proprio turno alla cassa si sono fatte le migliori chiacchiere, organizzate cene, gite, scampagnate, ferragosti, tornei di calcio, e via dicendo. Il tutto raccogliendo l’occorrente che era disponibile in paese, senza dover scendere a valle in cerca di negozi più grandi e accontentandosi quindi dei prezzi che c’erano scritti sulla confezione - comunque sempre bassi rispetto la città - senza pretese di 3x2 o offerte speciali.
Fioretta i prezzi dei suoi prodotti li ha sempre fatti un po’ alla buona, scrivendoli a penna ed etichettando una ad una ogni singola scatola con infinita pazienza e puntiglioso zelo. Euro o lira che fosse, i prezzi erano rigorosamente non arrotondati: perfino le 50 lire sono rimaste in voga fino ai primi anni del duemila: ogni prezzo finiva sempre in cinquanta, trentadue, quarantacinque. Tremila-sette-e-ccinquànta, cinquemila-sette-e-ottànta, diecimila-nove-e-nnovanta, scandiva con voce secca inforcando gli occhiali sulla punta del naso. Quanti scontrini avrà battuto Fioretta? A quante persone avrà augurato buona giornata? Sempre aperta, anche con le bufere di neve che bisognava spalare per riuscire ad entrare. Una roccia.
Fioretta è morta ieri. E' rimasta al suo posto fino a che ha potuto, con tenacia e grinta nonostante l’età molto avanzata. L’ho vista una delle ultime volte, forse proprio l’ultima, accanto ad una stufetta elettrica qualche mese fa a fianco al bancone, dentro quel negozio umile a metà della via per Rantino. Si lamentava per la morte di molti compaesani, del borgo che va svuotandosi e della solitudine tremenda che cala quando viene buio, inizia a fare freddo e la sola compagnia è spesso solo quella di un camino e una tv accesi. Negli ultimi anni non sempre mi riconosceva quando tornavo per brevi vacanze: non abitando in paese mi sembrava più che accettabile presentarmi nuovamente ogni volta come se ci conoscessimo per la prima volta. Bastava in verità dirle il nome perchè si ricordasse. Mi ha sorriso felice quell’ultima volta che l’ho vista, mi vedeva già uomo e si congratulava con me per cose molto semplici e al contempo bellissime: la fidanzata, il lavoro, l’essere giovani. Poche cose o forse le più importanti agli occhi di chi ne ha viste passare tante davanti a se’ e guarda speranzosa le nuove generazioni venire.
Ciao Fioretta, grazie di tutto, per gli ovetti Kinder di quando eravamo piccoli, i Galbi alla frutta, le confezioni da sei birre Peroni e forse, soprattutto, per tutti quegli arrosticini di pecora che tanto hanno allietato i nostri migliori momenti. Grazie, davvero, e buon viaggio.

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cribbio
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