Che Bucchi sia un maestro non devo dirvelo certo io. Certo questa è da standing ovation.
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E' tutto un equilibrio sopra la follia
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Che Bucchi sia un maestro non devo dirvelo certo io. Certo questa è da standing ovation.
C'è una consuetudine ormai comune a qualunque artista si esibisca su un palco e ben nota al pubblico, almeno a quello che è stato ad un concerto negli ultimi dieci anni: ad un certo punto dello spettacolo il pubblico viene salutato alla svelta, con un ciao, un grazie, un lancio di un plettro e si finge la fine del concerto. L'artista di turno si ritira dietro le quinte, si asciuga la faccia, si beve qualcosa e nel giro solitamente di 5 minuti massimo (ho visto anche attese di 15) rientra per qualche altra canzone con cui chiudere degnamente la serata, solitamente i pezzi migliori, o un lentone struggente, o la chicca in anteprima. Sono i cosiddetti encore, come va di moda chiamarli ora, un tempo si chiamavano bis, ed avvenivano per acclamazione. Ora è tutto meno poetico: il pubblico sa che il concerto non è affatto finito, è tutta una messinscena, e non si sbraccia nemmeno più con il vecchio "fuo-ri-fuo-ri" per richiamare sul palco l'artista. Si attende semplicemente che la manfrina abbia il suo corso. In ogni caso si è perso un po' il senso del bis, del volerne ancora, della ripetizione di qualcosa che è piaciuto e si vuole riascoltare.
Ebbene sabato sera in PIazza Castello a Ferrara suonava Paolo Conte, che di anni ne ha ben settantatrè e appartiene ad un'altra generazione, ad altre abitudini, ad un altro pubblico. Al termine di un concerto con tutti i maggiori successi tra cui l'immortale "Via con me", è uscito dal palco e il pubblico per lo più adulto l'ha richiamato dentro con applausi e incitamenti. Ed è andato in onda un insolito e anacronistico BIS. Un vero bis: ha eseguito nuovamente Via con me, più veloce, con un diverso arrangiamento, per la gioia di tutti. Se oggi un artista rientrasse rifacendo un pezzo già eseguito ho paura sarebbero fischi e proteste. Infatti ora si chiamano encore e non bis, ma non sono forse le cose più belle (e non altre) quelle che vogliamo ancora e ancora e ancora?
Allora la situazione è questa: c'è un Presidente del Consiglio che ci frega puntualmente e fa sempre lo stesso tipo di giochetto. Persino un bambino dopo un paio di volte non si fa fregare più e impara il trucco, invece noi no. Mai. Lui dice una frase, i giornalisti lo registrano, lo filmano, i giornali ne scrivono e i telegiornali ne parlano. Poi il giorno dopo smentisce di averla detta, i giornalisti non fiatano, lo registrano, lo filmano, i giornali riportano la smentita, i telegiornali parlano della smentita.
Se fossimo in un paese normale, con dei giornali e tv normali, la smentita non sarebbe una notizia. Semplicemente ci sono delle prove registrate che quella cosa è stata effettivamente detta punto e basta; non bisogna riportare una smentita se abbiamo delle prove che è un bugia. Non possiamo farci fregare così facilmente ogni volta. Possibile che nessun giornalista alla conferenza stampa in cui avviene la solita smentita non tiri fuori un registratore e prema play, facendo sentire al Presidente le sue stesse parole seduta stante chiedendogli poi spiegazione delle continue balle che ci racconta? Non è difficile no? Vorrei vedere che faccia farebbe o su quali specchi si arrampicherebbe.
La ferale notizia della scomparsa del Re del Pop mi giunge per sms in una sera di pioggia proprio mentre, a margine di una serata in sala prove un po' più cazzona del solito, si celebravano gli anni Ottanta con dello scialbo ma divertente karaoke improvvisato. Diventare adulti è prima di tutto la rinuncia o la consapevolezza che qualcosa cui eri abituato e apparteneva alla tua gioventù non c'è e non ci sarà più.
Tra le tante cose che non ci sono più da un bel po' del magico decennio degli yuppie e delle permanenti aggiungiamo oggi alla lista una delle massime icone della cultura popolare di quel periodo. Forse la più grande, insieme ovviamente a Madonna, capace di far breccia nei cuori dei fan sparsi in ogni parte del globo. Più popolare della Regina d'Inghilterra, più universale del Papa, il suo moonwalking ha ispirato centinaia di ballerini e fatto sognare una generazione intera. Spettacolo puro il suo, che supera il limite imposto dai generi e dal giudizio che ognuno di noi può dare musicalmente: non sono mai stato un fan di Jackson eppure riconosco in lui l'interprete migliore di un'epoca che non c'è più, in cui non c'era internet e il cellulare, ma c'erano più soldi, più benessere o forse molto semplicemente si credeva ancora fosse così. Provate a riascoltarvi Beat it oggi e chiudendo gli occhi rivedrete l'America degli anni ottanta, più sorridente e spensierata di quanto non sia adesso.
Michael Jackson rappresenta però anche il massimo grado di stupidità umana e cialtronaggine dello star system. Se le grandi rockstar si spegnevano giovani riverse in una pozza di vomito in qualche motel negli States, il suo declino è stato tutt'altro che da star, tanto da schifare persino i suoi fedelissimi. Ridotto a ombra di se stesso con continue operazioni su un corpo sempre più martoriato, dal cambio di colore della pelle alla chirurgia estetica sfrenata, travalicando ogni limite umano stabilito in precedenza da Liz Taylor, ha visto perdere sempre più credibilità anche sul piano umano. I casi di sospetta pedofilia, la bancarotta, le psicosi su fantasmi e inquinamento atmosferico, ne hanno fatto un personaggio talmente controverso da non farci dire nient'altro oggi che non sia un riposi in pace che metta la parola fine a tanta dabbenaggine.
Vorrei non averlo conosciuto Jacko, dopo il 1995, avrei preferito saperlo ritirato a vita privata con quel mare di soldi che aveva accumulato. Certo non possiamo pretendere che la vita di una popstar non sia fatta di eccessi, in questo caso completamente opposti agli sfarzi di reginette come Mercury o Sir Elton, ma tra i tanti modi di concedersi una vita sregolata, distruggersi con la chirurgia estetica rimane uno dei modi più stupidi mai visti. Gli altri almeno si sono divertiti per spegnersi giovani, bruciando tutto al sacro altare della musica. Morire a 50 anni per un infarto dopo quindici passati in casa con una mascherina antipolvere è da sfigati, Jacko. Sei out. Come gli anni ottanta del resto.
A Ferrara, domenica e lunedì, si vota di nuovo. Ballottaggi e referendum, sai com'è. Piccoli traumi per i giovani scrutatori. E' vero che non si fa granchè e si viene pure pagati, ma conteggiare i voti, guardare le schede, fare una piccola summa della situazione elettorale di ogni singolo seggio, sono attività che lasciano un piccolo solco nell'Io collettivo (credo) dell'esercito contante. Vedete, per qualsiasi persona che non è completamente indifferente alla situazione politica nazionale, andare a votare rappresenta una gioiosa festa democratica. E per uno scrutatore veder nascere una moderata coda fuori dal seggio fa tubare di stupore; per la coscienza civica, chiaro, che spesso ci raccontano essersi spenta senza tante sofferenze, riposi in pace. Timbrare, registrare, indicare la cabina, consegnare quel plico di schede colorate grandi come otto kleenex, possono essere un picco di orgoglio democratico che manifesta con una strabordante gentilezza verso l'elettore di turno. A volte succede però che tutto questo, col senno di poi, si tramuti in un grottesco e viscerale odio per se stessi. E' vero che è democrazia e che è giusto votare come meglio si crede. E' vero che potere popolare uber alles. Ma tant'è, un rapido moto di astio epidermico per tutte le persone che hai accolto imbabolata come una demente, coglie spesso e volentieri l'impavido conteggiatore. Per un attimo, non c'è più razionalità. Perchè aprire le schede e vedere quello straripare di voti - per me - senza senso, ti fa vedere con occhio diverso l'anziano signore che nonostante gli acciacchi dell'età, si è recato al seggio per esprimere il suo democratico volere (alla faccia dell'elettorato giovane che invece che al seggio si reca al mare per votare miss Malua, sbrodolando spritz con un accento da vaccaro). Pensi, che se è stato anche lui a votare così, ah beh, poteva rimanersene a casa. Non fraintendetemi, non auspico una selezione naturale dei votanti a mio gusto e piacimento, ma sto tentando di fare capire come il sospetto si infiltri, sgradevole e pungente, nella psiche di uno scrutatore ingenuamente speranzoso. Un sospetto che si fa urlante, man mano che procede lo spoglio delle schede. E' come quando sei felice per qualcosa, e sei naturalmente propenso a manifestarlo e condividerlo col prossimo, e poi il giorno dopo, quando capisci che è andata male, ti senti solo e giustamente un coglione. Salutare con un sorriso ogni elettore è, oltre sintomo di una buona educazione, parte dell'ingenuo ottimismo che svanisce ad urne aperte. Ridere e scherzare, idem. I conoscenti che votano al seggio dove sei tu, beh, dopo, inizi a temere che, magari, anche loro..Mentre compili i registri, ci pensi, a tutte le facce che hai visto, come pensi alla fatica che sta facendo la tua mano nel segnare tutte quelle crocette rosse su quella lista lì. E non è una crocetta fatta con astio o una fatta con cura, tirando la diagonale da un angolo all'altro, a farti sentire meglio. Pensi che vorresti averceli sotto mano, 'sti qua, e chieder loro perchè, miseria, PERCHE' devono complicarti la vita. In cosa credono, e di cosa hanno paura, se si sentono parte di un disegno divino per farmi impazzire come uno scarafaggio in una scatola, o se invece per loro sono io fuori dalla umana creanza. Per questo, che parlo delle paure di uno scrutatore. Perchè a pensare che io domenica sarò di nuovo lì mi dà quella sensazione di terror-panico che solo davanti alla porta dell'ambulatorio del medico riesco ancora a provare.
(dialogo tra padre e figlio appena sentito nella hall di un albergo. Il primo chiama l'ascensore, fermo al secondo piano, per andare nella camera al terzo usando il tasto di chiamata <giù>)
F. Papà, perché hai usato quel tasto e non l'altro?
P. Perchè l'ascensore è al secondo piano! Come fa a scendere se premo il tasto <su>?
(Non fa una grinza. Olé)
Facebook è fatto per farsi gli affari degli altri, e fin qui ok. Poi ci sono le convenzioni tipiche dei social network che abbiamo imparato a riconoscere. Se ad esempio un vostro amico risulta in una relazione con un altro amico, voi non pensate che è gay, ma che sta facendo l'imbecille in un momento di noia. Idem se qualcuno si "sposa" con qualcun altro: due amiche, un ragazzo e una ragazza che invece stanno insieme, eccetera. Insomma, nessuno ci fa più caso allo status sentimentale sui social network. (vero?)
Così non ho preso molto sul serio la dicitura "sposata" quando ormai mesi fa ho ricevuto una richiesta di amicizia da una ex di qualche anno fa. Non avendola mai accettata non ho nemmeno potuto curiosare troppo nel suo profilo se non vedere la foto principale e poche righe generiche tra cui appunto lo status "sposata". Ebbene: ieri ha cambiato la sua foto e indossa un abito da sposa, sorridente.
Era tutto vero, e io mi sento di colpo molto molto vecchio.