Monthly Archive for Luglio, 2012

Che fine fece il vino

Alla fine della mostra che avevamo allestito in giugno era avanzato del vino. Non tanto, un fondo di damigiana di legno che forse conteneva dieci o quindici litri. Mi avevano detto, riportalo all'azienda vinicola, il fondo lo puoi buttare ma bisogna restituire la damigiana che ci hanno prestato e anche il tubo per fare da sifone e versarlo nei bicchieri. Va bene, dico, lo riporto. Appena ho tempo lo riporto, penso, appena ho tempo.

Verso la fine di giugno son venuti a montare il condizionatore, l'impianto è già predisposto è un gioco da ragazzi, dicono, ci mettiamo poche ore. Alla fine per fare fresco fa fresco, è tutto pieno di lucine carine e funziona bene, ma dopo qualche ora fa le macchie d'acqua sul muro nelle vicinanze dell'aggeggio che sputa aria, che si chiama split, che in inglese significa tra l'altro fessura.

Chiamo il tecnico per dare un'occhiata a cosa non va e dice non è colpa mia qui è tutto regolare per quanto mi compete.

Chiamo l'amministratore di condominio per chiedere lumi e capire cosa non va e dice non è colpa mia qui è tutto regolare per quanto mi compete.

Chiamo il costruttore della casa per dare un'occhiata a cosa non va e dice ti mando il tizio che ha fatto l'impianto a controllare ma qui è tutto regolare per quanto mi compete.

Nel mentre faceva caldo davvero e dovevo vedere le partite degli Europei a casa con gli amici, allora il primo tecnico, quello che aveva messo su tutto l'ambaradàn mi dice: guarda te lo lascio aperto lo split, così puoi usarlo lo stesso e il tubo che piscia l'acqua lo fai cadere fuori e raccogli il tutto in un bottiglione in attesa di ripararlo. Ce l'hai un tubo? Ci guardo, dico, dovrei averne uno per annaffiare. Allora vado a casa dei miei a cercare il tubo giallo per annaffiare il giardino (che non abbiamo) e vedo il tubo del vino per fare il sifone che mi sorride sopra la damigiana che ancora non ho riportato perché non ho avuto tempo. Prendi me, prendi me, dice. Certo, dico, così faccio pure a meno di tagliare il tubo giallo della misura giusta per adattarlo alla distanza che intercorre tra lo split e il bottiglione in terra.

Così passa un mese e ancora non posso proprio riportare la damigiana di vino perché devo riconsegnare anche il tubo insieme, ma serve al condizionatore per l'acqua distillata che raccoglie nell'aria pesante della bassa padana in luglio. Meno male che ho il tubo, altrimenti morirei di caldo.

Poi viene il tecnico del costruttore, mi sistema il danno, mi spacca il muro, trova l'inghippo e in mezzoretta risolve tutto lasciandomi però una fessura nel muro che nessuno si è ancora premurato di richiudere, me compreso.

Che bello, penso, posso riportare il vino! Stacco il tubo, ricompongo il sifone, prendo la damigiana con il suo fondo di vino rosso ormai abbondantemente acetato dal caldo cane del mio garage e la piazzo sul sedile dietro della macchina. Vado in ufficio per una riunione urgente, poi quando il cliente esce lo vado a riportare, penso, oggi finalmente l'avranno indietro, ormai non ci sperano nemmeno più. Chissà che sorpresa, chissà che feste.

La riunione va per le lunghe, non posso riportarlo quel pomeriggio, il vino resta sul sedile e lo porto in giro fino in stazione dove rimane parcheggiato tutto il giorno seguente mentre sono fuori città. L'aroma di aceto nell'abitacolo è ormai inebriante quando riprendo la macchina per tornare a casa la sera, tutto trafelato per correre a casa ad aggiornare il nuovo sistema operativo del Mac (!) e canticchio La Leggera che ascolto illegalmente dalle cuffiette alla guida della potente Fiat Bruno. Ed è alla leggera che affronto una rotondona piuttosto rotonda a velocità non consona e quando rientro in carreggiata la damigiana fa toc, si piega su un lato, urta la portiera del sedile posteriore che fa tac, il tappetto di gommina appena appoggiato sul collo della damigiana salta via con uno stap e  il vino che c'è dentro fa glu glu glu lungo i sedili che fanno slurp, e sulla tappezzeria laterale che fa ohibò e il posto dei piedi che fa glu glu glu anche lui e si beve un sacco di vino rosso di quello che macchia molto e viene via poco.

Quello che è successo dopo non si può raccontare da queste parti ma è secondo in quanto a situazioni imbarazzanti ed incredibile solo a quella volta, non troppo remota, in cui ho vomitato la cena all'improvviso mentre andavo in campagna con l'auto dei miei, senza pezzi di carta o altro a portata di mano per poter ripulire.

Vi interesserà altresì sapere che l'auto del sottoscritto (la Fiat Bruno!) puzza ora più di una cantina della Valdichiana ed è quindi sconsigliabile salirci a bordo nei prossimi mesi.
Che la damigiana, riportata in garage in fretta per cercare di pulire la macchina, non è al momento ancora stata restituita e chissà quando lo sarà.
Che una copia stampata di questo post, una damigiana quasi vuota e un sifone sporco saranno presto abbandonati davanti alla porta d'ingresso dell'azienda vinicola. Nottetempo.

Le stelle sopra Ferrara

In Piazza Castello, a Ferrara, siamo tutti nati e poi morti e poi rinati e poi concepiti e poi dimenticati e di nuovo, da capo, tutta una serie di cose che hanno molto a che fare con la pancia e i ciottoli che perforano i piedi e quel sole che si apre sempre come una arancia matura contro i mattoni del Castello colando dentro al Fossato, poco prima dell'inizio dei concerti. Piazza Castello, a Ferrara, d'estate, da svariati anni rappresenta il centro d'accoglienza per i nostri sogni clandestini o semplicemente le velleità di stare bene, e basta, almeno per due ore, d'estate. Piazza Castello, di Ferrara, rappresenta il cuore, di giorno non c'è mai nulla però, si riempie forse per il Palio e sicuramente per Ferrara Sotto Le Stelle, che è quella cosa che porta la musica bella in questa città dove non cresce più erba sui campi di calcio e le squadre falliscono, e francamente si fa davvero fatica a ricordare che cosa ci sia rimasto in mano, a noi ferraresi.

Piazza Castello, e Ferrara, hanno tremato, un po' di tempo fa, lo sapete, lo sappiamo, e per quest'anno i concerti estivi si terranno al Motovelodromo, dove di solito ci gioca la squadra locale di football americano, le Aquile, e ci sono le curve sopraelevate della pista di ciclismo dal calcestruzzo ormai sgualcito. Piazza Castello, quest'anno, non si chiamerà 'estate', e rimarrà vuota, e noi saremo a saltare baciarci dimenticarci là dove volano le Aquile, nelle domeniche invernali, in una transumanza al contrario. Così, noi di Ciccsoft, che prima di tutto siamo ferraresi, ci siamo chiesti se era il caso di lasciare Piazza Castello vuota, anche nell'estate del 2012, soprattutto nell'estate del 2012, e ci siamo detti che no, non si poteva proprio, lasciarla lì a tremare da sola.

Così, quest'anno, Piazza Castello sarà vuota, eppure piena, per un istante, o per sempre, dipende. Abbiamo deciso di immaginarci otto concerti diversi, scegliendo otto gruppi/cantanti diversi, ancora in attività. Sono venuti fuori otto cose che sembrano racconti, recensioni, storie di qualcosa che poteva essere, e che non è stato, o sarà, o non sarà mai, ma è la risposta alle piazze vuote, è la nostra riconoscenza verso chi ci ha sempre riempito i cuori o la testa, e stavolta toccava a Piazza Castello saltare un po' sulle nostre stelle.

Otto stelle diverse, ci è finito dentro Grignani ma ci sono i Perturbazione, c'è Max Pezzali che chi l'avrebbe mai detto, a Ferrara Sotto le Stelle, e invece, c'è Colapesce e ci sono gli Amor Fou, e poi i Gaslight Anthem, gli Stars e i mammasantissima Blur insieme ai Grandaddy. Perché non ci sono schemi, regole, mafie, pose da rispettare, quando si usa la fantasia, quasi pateticamente, per riempire un posto che è il cuore della città e quindi di noi, insomma. Questi otto concerti sono stati messi sopra delle tavole grazie alle parole di Accento Svedese, Agata, Davide, Evelina, Enver, Fran, Eugenio e il sottoscritto. Più i disegni di _Disordine. Poi abbiamo stampato tutto su carta, che i sogni ci piace toccarli, ogni tanto. E poi li abbiamo legati con lo spago colorato, per provare a tenere insieme tutte queste cose diverse.

E poi, stasera, dopo il concerto di Bon Iver, e i prossimi a venire di Soap&Skin, Afterhours e Damien Rice, esporremo i poster di questo festival che non esiste in Piazza Castello, per riempirla appunto un attimo, oppure mai, boh, decidiamo noi.

Scarica i pdf delle tavole

---

Grazie a quelli che hanno scritto, disegnato, sostenuto, criticato, posteggiato ecc. questa cosa qui. Qualcuno sa il perché.

Chi vuole una copia delle tavole, lo scriva nei commenti e poi ve la spediamo.

Nei prossimi giorni, sempre a sorpresa, metteremo i racconti anche sul sito. Intanto, ognuno si provi a immaginare il suo concerto che non esiste.

La generazione delle finali perse

Nel 1994 seguo i miei primi Mondiali da Bormio, almeno per quanto riguarda la gloriosa fase finale fatta di sistematici due a uno. Dico i miei primi Mondiali perché nel 1986 avevo solo tre anni e a Italia '90 tifavo Olanda e Germania, così per simpatia, tra mio padre incredulo: "Devi tifare Italia!" e mia mamma più cauta: "Lascia che tifi per chi vuole".

A Bormio c'era questa struttura enorme, una specie di palazzetto dello sport che si chiama Pentagono, dove avevano allestito un maxischermo per vedere Baggio più in grande, Zola più alto, Sacchi con la testa più lucida. Ma per la finale dobbiamo trasferirci a Folgarida, un piccolo centro montano dove avremmo trascorso qualche giorno raggiungendo mia nonna in vacanza. La finale va in onda su una piccola tv da campeggio tra parenti abbastanza disinteressati e una ragazza della mia città che casualmente è in villeggiatura da quelle parti, invitata all'ultimo a vedere una partita di cui forse non gliene importa nulla. Finisce con il tiro di Baggio sopra la traversa, le lacrime di Baresi, la torcida brasiliana e la voce di Pizzul che avrei eletto a mio personale nonno per tutto il decennio. Spenta la tv prima ancora di vedere la Selecao alzare la coppa, andiamo tutti a letto, che gli anziani già sbadigliano vista l'ora tarda. Incredulo, disperato, cerco di non piangere sotto le coperte ripetendo tra me e me

abbiamo perso il mondiale di calcio. abbiamo perso il mondiale di calcio. abbiamo perso il mondiale di calcio.

Solo quattro anni dopo il mio tifo controcorrente a Italia '90, a 11 anni il Mondiale di Calcio diventa la cosa più importante della mia semplice vita, qualcosa di cui disperarsi o gioire fino allo stremo.

Nel 1998 il giorno in cui usciamo da Francia '98 giochiamo contro i padroni di casa, superfavoriti benché assenti all'ultimo mondiale. Siamo in macchina diretti verso l'Ungheria, in uno dei molti viaggi in auto per l'Europa degli anni Novanta con la mia famiglia. All'ora della partita non siamo ancora arrivati così scopro l'utilità delle onde corte e capto scampoli di radio uno nemmeno fosse radio londra. Il tizio che ci attende per mostrarci l'appartamento ha una pistola con sè e ci impressiona un po' quando la posa sul tavolo spiegando che è solo per sicurezza:

- Voi non ne avete una? Fareste bene ad averla qui!

Ripreso dallo shock chiedo con straordinaria cautela se posso accendere la tv per seguire almeno i supplementari della partita, così nel caos generale, mentre l'uomo con la pistola firma il contratto di affitto e prende accordi con i miei genitori, mi dispero ancora una volta davanti alla tv per la traversa di Di Biagio. Sdong dice la traversa, mentre il calciatore cade a terra di schiena e Maldini Senior scuote la testa. Ancora una volta siamo fuori, non c'è nessuno intorno con cui urlare, non c'è niente da fare se non visitare Budapest, dove trovare un giornale italiano il giorno seguente sarebbe già stata un'impresa.

Nel 2000 quando i francesi ci uccellano al 93' togliendoci l'Europeo ormai vinto mi son già messo le scarpe per uscire a festeggiare. Fabio (quello che su queste pagine si fa chiamare Attimo), che è più cauto di me segue ancora attentamente la partita sapendo che in zona Cesarini può accadere di tutto. Infatti. Si resta in casa, si ripone la bandiera per seguire gli strazianti supplementari e il golden gol di quella faccia da furbetto di Trezeguet. Increduli, sgomenti, rimaniamo quasi un'ora a guardare tutte le interviste Rai del dopopartita nel silenzio più totale, sconvolti per un finale che definire beffardo è riduttivo, qualcosa che ridefinisce la sfortuna di Usa '94 e la maledizione dei rigori, specialmente dopo una serata esaltante ed incredibile come quella contro l'Olanda dove Toldo aveva parato ogni tipo di rigore.

Nel 2004 non doveva assolutamente finire 2 a 2 tra Svezia e Danimarca o il tanto agognato biscotto, di cui l'Italia ha sempre paura come pochi altri, sarebbe stato servito mandandoci a casa anzitempo dall'Europeo. Finisce guardacaso 2 a 2, veniamo eliminati e ci rimaniamo ancora una volta di merda, come siamo abituati a rimanerci noi dell'Ottantatrè, che non abbiamo fatto in tempo a vedere Tardelli e Altobelli esultare, e non abbiamo ancora vissuto Berlino due anni dopo. Andiamo a prendere un gelato consolatorio tra amici, uno di quelli grandi pieni di gusti e creme, con le cialde e il topping di cioccolato. Ci fanno accomodare e mentre aspettiamo realizziamo che il cubetto di legno per segnare il numero del nostro tavolo è il 22. Con un pennarello tracciamo una lineetta in mezzo: 2-2. Oltre il danno la beffa.

Tralasciando Byron Moreno e l'ironia che ne è seguita, lo stordimento delle Vuvuzelas due anni fa, il vuoto dell'Europeo 2008 e altre storie ancora, si arriva a ieri, carichi di speranze come solo una vittoria contro la Germania sa dare, tutto come Berlino 2006, ce la possiamo fare, ci mettiamo il cuore, eccetera eccetera. Al 45' iniziamo a guardare twitter, a mandare messaggi pieni di insulti agli amici, ad aprire altre birre, a constatare che la pizza di stasera è davvero buona. Diversivi per andare avanti, per consolarci di un finale drammatico dopo un'insperata cavalcata fino a quel punto. Talmente abituati a perdere sul più bello che quasi non sentiamo il dolore. Dopo traverse, arbitri venduti, biscotti, panini, rigori, furti e infortuni non poteva mancare al palmares anche il tracollo, il cappotto, la sonora batosta di un 4 a 0 epico. Quando si perde così fa meno male di un 2 a 1 sofferto e creduto fino alla fine. Ci si abitua con largo anticipo di minuti all'idea che si è perso, che a breve l'arbitro fischierà la fine e vedremo gioire ancora una volta l'avversario, senza che in fondo ci dia troppo fastidio. Perché restiamo una grande squadra, che ad ogni grande competizione sa di potersela giocare fino in fondo di nuovo. Vedremo altre finali, perderemo altre competizioni, qualcuna prima o poi la vinceremo ancora. La palla è tonda no? Non siamo l'Uganda, o la Svizzera. Come dice quel famoso canto:

siam campioni del mondo, pooo popopopo pooo pooo

I 4 colpi

E’ già tutto irrimediabilmente compromesso quando la palla viene blandamente respinta dalla difesa azzurra, sciolta come tanti cubetti di ghiaccio disseminati sul prato e dimenticati al sole, e inizia a planare verso il centrocampo. Siamo già nel secondo tempo, e siamo già affondati sotto le pugnalate della Spagna. Il pallone rinviato in qualche modo da Barzagli sembra un dirigibile forato, lascia dietro di sè una lunga scia di amarezza, e come una foglia morta, la palla cade flaccida nella zona di Andrea Pirlo, circondato da avversari molto più in forma di lui. Pirlo osserva il pallone con gli occhi spenti, una sfera che ancora non si adagia sul campo impedendogli di fare forse l’unica cosa che potrebbe salvare le sorti della nostra Nazionale: toccarlo con i piedi. Invece il pallone rimane sollevato da terra, sospinto da immanenti campo magnetici spagnoli che trascendono la gravità e i limiti umani, e così non può ascoltare le promesse che i piedi di Pirlo sarebbero pronti a fargli: “cadi pallone, e io ti porterò ancora una volta in spazi aperti, cadi pallone, lasciati prendere tra le mie gambe stanche e ancora una volta, forse l’ultima, io saprò ancora dirti le parole che vuoi sentirti dire”. Invece il pallone cadrà lontano, disegnando una parabola inutile su cui andranno ad appendersi gli occhi di Pirlo e le nostre speranze, bagnate come vestiti centrifugati, ed è in quel preciso momento che si manifesta tutta l’impotenza dell’Italia contro la Spagna. Perderemo 4 a 0, quattro(cento) colpi ai nostri sogni covati durante giugno che non hanno saputo resistere all’estate. Primule sfiorite.

Se siamo arrivati a singhiozzare dopo una finale di un Europeo, lo dobbiamo essenzialmente al curato di provincia che ha rivoluzionato il nostro modo di giocare a pallone. Prandelli ci ha portato a giocarci la coppa con la Spagna, a dispetto di limiti strutturali nella rosa e nel movimento, e forse sarebbe giusto giudicare anche la finale attraverso i suoi insegnamenti. Ma le quattro ferite che portano i nostri ideali fanno liberare le gabbie dentro cui abbiamo tenuto nascosto gli avvoltoi, che già iniziano a volteggiare sugli schermi televisivi, sui giornali del giorno dopo e sulle teste di molti italiani che giocano a fare i tifosi.
Partita dopo partita, in questo Europeo abbiamo scardinato porte di antichi pregiudizi e retaggi insormontabili. Nessun nemico al nostro fianco, nessun salvatore della patria uscito dal cilindro, nessuna trincea scavata nell’erba. Molte parabole, sul nostro cammino, quella dell’Insegnamento, della Presa di Coscienza, dell’Ottimismo e dell’Attesa, valori quasi contadini innestati nel cuore di bulletti e mangiatori di merendine che si sono ricordati come si sta in campo. Restava l’ultima porta, da aprire, la porta del Trionfo, unico e definitivo giudice che dirime tra buoni e cattivi. Ad attenderci, al suo interno, seducenti femmine che intrecciavano passaggi come fossero acconciature, che lavoravano la palla come merletti, bagnando la punta dell’ago con il nostro sudore. Siamo arrivati di fronte ai Campioni di Tutto armati soltanto dello stupore per esserci, prima di tutto. Ma già sfiniti, sfibrati, sparpagliati sul tavolo in milioni di pezzettini: il prezzo da pagare, per superare se stessi. E’ finita nell’unico modo in cui poteva finire, come quando si sogna abbastanza da muoversi nel letto, e si cade sul pavimento sbattendo la testa. Lacrime.

Prima ancora di stabilire l’utilità di certe sostituzioni (panettone Motta), o di brandire il manifesto del logorio fisico (sebbene a mio modo decisivo, a parità di energie sarebbe finita ben diversamente, perlomeno nelle proporzioni della sconfitta), Spagna-Italia ci ha ricordato come non sempre basta voler essere felici, per esserlo davvero. Eppure fermiamoci a un passo prima, sul ciglio della porta, appunto, fermiamoci allo snodo decisivo di questa Storia in sei atti, mentre studenti erasmus iberici ghermiscono le nostre piazze svuotate immediatamente dalle lacrime puerili di Bonucci e Balotelli.
Ho amato molto questa Nazionale 2012 di Prandelli non perché sia arrivata così vicino dal vincere, o perché ci abbia mostrato un livello di gioco moderno ma ragionevole, affascinante senza scadere nello stucchevole, dal piglio artigianale, di quelle cose fatte a mano che sanno unire grazia nei movimenti e praticità negli approcci. No, ho amato questa Storia se vogliamo molto da oratorio, quasi da fiction di Raiuno, per averci inchiodato ai divani e ai maxischermi con una semplice domanda: vogliamo provare ad essere felici, ogni tanto? Aldilà dei moduli tattici, delle giocate dei singoli e dello spirito di gruppo (concetti se vogliamo anche un po’ aleatori, funzionano quando funzionano, un po’ come gli oroscopi che ci prendono il giorno dopo), resta prima e dopo di tutto questa domanda.

C’è stato un momento, nella storia del Calcio italiano, in cui la Nazionale si è fatta questa domanda, e di riflesso l’ha posta a noi, vogliamo provare ad essere felici, almeno una volta, ogni tanto? Una domanda da tradurre in campo, e non nell’economia, nella politica e nelle nostre vite di tutti i giorni, perché trattasi sempre di partite, o di metafore, eventualmente, ma qui nessuno ha il fegato di spacciarle per consigli di vita. Per una Nazionale avere voglia di essere felici è cercare di vincere rinnegando retaggi, proponendo un centrocampo di piedi buoni e idee argute, quasi divertendosi, a giocare in modo illuminato, provando a inventare qualcosa, invece che distruggere soltanto. E’ solo calcio, deve aver detto Prandelli negli spogliatoi, ed è tutto qui: è solo provare ad essere felici, deve aver chiesto Prandelli ai suoi giocatori, e se dopo un Europeo così, ci è venuto il dubbio anche a noi che guardavamo soltanto, forse essere tifosi della Nazionale ha ancora un qualcosa di dignitoso.

Ed è molto inquietante e molto inevitabile, in un certo senso, vedere come porci certe domande, su di noi, e sulla felicità, abbia frantumato le ginocchia di De Rossi, abbia colorato di rosso gli occhi del nostro pianista, Andrea Pirlo, ci abbia fatto precipitare come primule sfiorite. Sommersi dalla maestria spagnola, da 4 colpi alle nostre velleità che ora, spenti i riflettori, ora che si torna alla normalità disgustosa del calcio italiano, rimarranno davvero molto sole. Lontanissime da qui.

(su Someone Still Loves You, Bruno Pizzul ho fatto le due ogni notte dopo la partita della Nazionale, provando a tracciare un bilancio più emotivo che tecnico. Questa è l'ultima analisi emocore, quella della Finale. Ed è solo calcio, per fortuna)

Buffet

Le migliori foto di LondraNote sparse su alcune cose curiose
trovate a Londra

Le migliori foto di Berlino Do not walk outside this area:
le foto di Berlino

Ciccsoft Resiste!Anche voi lo leggete:
guardate le vostre foto

Lost finale serie stagione 6Il vuoto dentro lontani dall'Isola:
Previously, on Lost

I migliori album degli anni ZeroL'inutile sondaggio:
i migliori album degli anni Zero

Camera Ciccsoft

Si comincia!

Spot

Vieni a ballare in Abruzzo

Fornace musicante

Cocapera: e sei protagonista

Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

Archivio