Sarebbe consolatorio e molto più accettabile poter tracciare una linea per terra e stabilire un Prima e un Dopo. Sarebbe infinitamente più comprensibile, sopportabile, mettersi per terra e delimitare un confine tra quello che eravamo e quello che ora siamo. La verità è che a tracciare linee per terra non siamo stati noi, ma le fratture di un tempo che nessuno, nemmeno i più onesti e indipendenti e artigiani conoscitori del territorio potevano prevedere. E che il disegno di queste fratture non è per niente netto, definitivo, tranciante: la frattura è nervosa come molti noi quella domenica mattina, scende in strada, no risale, chiama al telefono, accende la tv. Non si capisce da dove sbuchi, fin dove arrivi, che piega prenderà. Quel disegno non riesce nemmeno lui a tramutarsi in punto fermo, per quanto tragico, per quanto sinistramente notturno, per quanto ci scarichi addosso, a noi pasciuti abitanti della Bassa, l’inadeguatezza della sorpresa, e il coraggio e la dignità del Riprendersi. Quel diagramma, ed è questa la mia personalissima verità che dopo un anno credo di essere riuscito a rammendare, non sa essere giudice, condanna, rivalsa: non c’è, un prima e un dopo, tutto è fluido e interrotto come soltanto il dondolio della tua auto in una piazzola di sosta alle 4 del mattino. Nulla scrissi, un anno fa, per una serie finita di motivi. Un anno dopo, mentre tutti linkano lodevoli e meritevoli video commemorativi, infarciti però di musiche inoppurtanamente pop (come se un terremoto fosse la vittoria dei Mondiali, maledetta sindrome da YouTube), decido ancora di non raccontare. Fu qualcosa di così invisibile, per chi ebbe la fortuna di trovarsi appena qualche km fuori dall’epicentro, e proprio per questo se n’è parlato per giorni, settimane, mesi. Tentavamo tutti di acchiappare la parafrasi giusta che illuminasse quella parte buissima in cui siamo finiti, per qualche secondo, noi pasciuti abitanti della Bassa appena qualche km fuori dall’epicentro: non ci crollò nulla in testa, e quello che abbiamo vissuto è talmente invisibile che raccontarlo lo tramuterebbe in Altro. Cosa rimane, allora? Circa 10 minuti dopo la scossa entrai in un autogrill, ero solo, ancora faceva buio. Mi ritrovai circondato da tifosi bavaresi del Bayern Monaco, qualche ora prima avevano perso la finale di Coppa dei Campioni a casa loro. E confesso, per qualche secondo, la cosa più straniante del terremoto non fu il terremoto ma il ritrovarmi tifosi bavaresi in un autogrill. Nessuno di loro pensava alla scossa, e anche le cassiere del bar proseguivano inermi a servire caffè. Quando un terremoto viene a trovarti e tu sei da solo, non ti sembra un terremoto, ma un modo di ricordarti dove eri finito. Io ero in un autogrill, da solo, abbastanza lontano da casa. Più che un punto, furono due punti: e tre, e quattro, e tutti quelli che ci cadono addosso dai cornicioni tutte le volte che proviamo a tornare a casa, nell’unico modo che conosciamo: tremando.