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Blob: da Ejzenstejn a Ghezzi
Le radici storiche dell'ultimo programma libero italiano.

di Fulvio Gatti

Tobias Jones, nel saggio “Il cuore oscuro dell'Italia” apparso recentemente sul Financial Times, individua in “Blob” di Enrico Ghezzi un programma geniale, uno degli ultimi liberi, in questa Italia in cui la televisione è solo più una grande vetrina di supermercato, organizzata con sublime gusto kitsch che dei creativi veri non riuscirebbero ad inventarsi nemmeno facendolo apposta. Censurato Luttazzi per aver invitato nel suo programma una persona con le prove sulle origini “sporche” del denaro del premier ( ma questa è ormai storia vecchia ), fuori causa Santoro, colpevole solo di obiettività, come fa una trasmissione come Blob, con la sua carica satirica onnipresente, ad essere sfuggita ai medievali censori? Semplice, i cosiddetti “censori” ( che non accetterebbero mai questo appellativo, perchè censura=brutto e loro invece si sono appena fatti il lifting... ) non la capiscono. Il messaggio non è spiattellato in faccia come si fa ormai con gli spot, bensì creato tra le pieghe di un sapiente “montaggio delle attrazioni”. A beneficio dei non addetti ai  lavori, vado ora a spiegare le origini storiche ( così intanto ripasso per l'esame di storia del cinema...). Siamo nella Russia fresca di rivoluzione comunista, ed il nuovo mezzo espressivo chiamato cinematografo viene forse per la prima volta considerato nel pieno delle sue potenzialità, tanto da creare una “scuola” direttamente appoggiata dal regime bolscevico. In questo ambiente, il precursore fu Lev Kulesov, che lasciò il suo nome scolpito nella storia del cinema associato al cosiddetto “Effetto Kulesov”: montando in sequenza un primo piano di un noto attore di teatro con un'espressione neutra sul viso e, di volta in volta, un piatto di minestra, una bara e una bambina che gioca, scoprì che si potevano creare sensazioni diverse. Gli allievi di Kulesov, interrogati al proposito, dissero che nel primo caso l'espressione dell'attore era “affamata”, nel secondo “addolorata” e nel terzo “paterna”: ma l'inquadratura dell'uomo era sempre la stessa! Si trattava di una delle prime “magie” del cinema: il concetto non è né nella prima, né nella seconda inquadratura, bensì nasce dall'accostamento ( tecnicamente si parla di “copulazione”, e non ridete ) delle due. Sergej Ejzenstejn teorizzò ed applicò le possibilità date dal nuovo medium, sviluppando un vero e proprio linguaggio cinematografico diverso dalla semplice immagine o parola scritta. Il già citato “montaggio delle attrazioni” è il mattone fondamentale della teoria ejzensejniana: l'accostamento di due immagini attrae lo spettatore, creando violentemente nella sua mente una sensazione, un'idea, un concetto. La cripticità di alcuni accostamenti presenti nei suoi film creò la definizione di “montaggio intellettuale”, opposta al semplice montaggio logico oppure cronologico di origine statunitense. La filmografia di Ejzensejn è relativamente limitata, perchè spesso la concezione riflessiva anziché narrativa del cinema lo portò a scontrarsi prima con i colleghi della stessa scuola bolscevica, infine, con la presa del potere di Stalin e l'imposizione del “realismo”, ad essere relegato in secondo piano.

Oltre alla Corazzata Potemkin di fantozziana memoria, forse l'apice della regia ejzensejniana è Ottobre (1928). Assegnatogli dal regime come opera storica celebrativa del decennale della rivoluzione, il film risulta essere una riflessione antinarrativa sugli avvenimenti, che fa perdere di vista le vicende storiche a chi non le avesse già ben chiare in testa. Ad esempio, celeberrima tra gli intenditori è la sequenza in cui a Kerenskji, reggente del governo temporaneo subentrato alla cacciata dello zar, viene giustapposta l'immagine di un pavone meccanico, a rappresentare la vanità  del personaggio. Da qui ad un programma televisivo che accosta tra loro frammenti di televisione tra i più disparati a creare effetti comici o satirici, il passo è breve. Enrico Ghezzi, non per niente, è un ejzensejniano d.o.c., che ha saputo sapientemente sfruttare un linguaggio vecchio di quasi ottant'anni per criticare la società contemporanea, in barba ai medievali censori. Una buffa immagine può, forse, chiarire il concetto: una puntata di Blob “smontata” per trovare il messaggio “eversivo”, “comunista” o tutte le altre parole che il vocabolario ha dato per sostituire il concetto che nelle loro teste è il guzzantiano “brutto!”. I censori, basiti, vedranno che tra un'inquadratura e l'altra non c'è niente, e rimarranno con un pugno di mosche.



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