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Untitled 1996

Il 29 novembre 1997 fu inaugurata nella Chiesa di Santa Maria Annunciata a Milano la prima opera d'arte contemporanea installata permanentemente in un edificio religioso.
Finanziata dalla Fondazione Prada e voluta dalla comunità parrocchiale, Untitled 1996 di Dan Flavin si inserisce in un contesto particolare, sia dal punto di vista artistico che sociale.
La chiesa, denominata Chiesa Rossa dal nome del quartiere dove si trova, risale al 1932, costruita da Giovanni Muzio, glorioso architetto del razionalismo milanese, che volle l'edificio religioso spoglio e rigoroso, senza affreschi o altri tipi di abbellimenti architettonici.
Il quartiere Chiesa Rossa si trova alla periferia sud di Milano, in una zona  che è stata meta di immigrazione, spesso clandestina, dove le forze dell'ordine sono intervenute raramente per arginare la deliquenza locale.
La domanda che molti si pongono è: cosa ci fa l'ultima opera di Dan Flavin, il grande maestro del minimalismo americano, in una chiesa "sperduta" della periferia milanese?
Le risposte possono essere molteplici:
- abbellisce e perfeziona una struttura architettonica già di notevole pregio;
- cerca di rendere la zona meta turistica di massa, richiamando turisti stranieri e studiosi da tutto il mondo;
- rappresenta l'atto di una fondazione che tenta di veicolare un marchio e che si fa carico dei bisogni sociali di una città di cui si sente parte.
Io credo che prima di tutto Untitled 1996 TESTIMONI.
L'opera testimonia un riavvicinamento fra la Chiesa e l'arte contemporanea, una amicizia del passato ritrovata nel presente.
Testimonia il coraggio di una comunità religiosa e laica che crede ancora che l'arte possa avvicinare a Dio e che, senza l'appoggio delle istituzioni, si è impegnati in un progetto ambizioso e pericoloso.
Testimonia la grandezza di un artista, che ormai malato, progetta un'installazione da lontano, senza muoversi dalla sua casa di New York, servendosi solo di video e fotografie.

Quilting = arte?

quilter.gifSo che siamo in clima mondiale e che un post su una riflessione artistica non sarà molto considerato, ma sento lo stesso il bisogno di esprimere i miei dubbi e di ricevere pareri in proposito.
Studiando sociologia dell'arte, ho appena letto un paragrafo sul quilting, l'arte delle trapunte. Questa attività è molto diffusa in America, nelle piccole comunità e si tramanda di generazione in generazione, viene svolta prevalentemente da donne, giovani e vecchie. Non ha nessuna velleità artistica, le trapunte servono per scaldarsi, ma uno dei più importanti sociologi dell'arte, le eleva a opere d'arte. Certamente differiscono dai quadri di Rembrandt o di Picasso, ma secondo lo studioso presentano molte affinità con alcuni pittori contemporanei.
Sinceramente non riesco a convincermi che una trapunta possa essere un'opera d'arte. Io amo l'arte contemporanea, mi affascinano gli artisti che usano oggetti quotidiano per le loro opere,  ma dietro a una coperta non noto niente, l'unica domanda che può suscitare è: sarà calda? L'unica sensazione che può trasmettere è quella di calore. Basta per considerla un'opera d'arte?
Eppure appenderla al muro non è come appendere un quadro? Dopotutto nel Rinascimento non appendevano arazzi alle pareti? L'arte degli arazzi è famosa in tutto il mondo, nel castello Sforzesco di Milano un'intera sala è dedicata a questo tipo di opere. Cosa cambia tra un arazzo e una trapunta?
Forse il disegno: associamo il primo a scene di caccia o a episodi della Bibbia, mentre nelle trapunte americane ci sono solo disegni geometrici. Ma anche artisti contemporanei usano disegni geometrici, per esempio Mondrian.

Ci sono tanti motivi per giudicare il quilting arte. Ma...
il dubbio rimane, questo è arte?

Provocazione

Fontana di Marcel Duchamp risale al 1917 ed è stata definita l'opera d'arte del Novecento
Fontana non ha bisogno di eccessive spiegazioni e non le fornirò di mia volontà, vi dirò solo che l'opera fu rifiutata e venne ritirata dall'esposizione.
Nonostante ciò cambiò ogni cosa.
Prima di dirti cosa ne penso io, voglio prima dare spazio alle tue opinioni. Si, mi rivolgo proprio a te, caro affezionato lettore dei post sull'arte, e anche a te lettore di passaggio.
Per una volta prima di assilarti con le mie lunghe argomentazioni, che confermano l'importanza e la bellezza di quest'opera, vorrei leggere i tuoi commenti, i tuoi pensieri.
Dopo tutto è solo un "impianto igienico"!

Due baci famosi

Francesco Hayez è l'autore di uno dei più celebri baci della storia dell'arte. Il quadro risale al 1859, in piena epoca romantica, è infatti il sentimento che predomina nel dipinto. L'artista è un milanese di adozione, si forma a Venezia e dopo un soggiorno a Roma, si trasferisce nel capoluogo lombardo, dove rimarrà fino alla morte nel 1882.
Il bacio è ritenuto il simbolo del Romanticismo italiano, in esso si può notare la grande carica espressiva e il realismo delle vesti e dell'ambiente. Una curiosità da evidenziare è la presenza di un terzo personaggio, di cui compare solo l'ombra a sinistra e che spia i due amanti, forse geloso del loro amore.
Il quadro si trova alla Pinacoteca di Brera, uno dei migliori musei d'Italia, gli spazi espositivi sono ampi e agevoli, le luci non interferiscono mai con la visione delle opere e ospita molti capolavori dell'arte italiana e straniera, fra i quali Caravaggio, Picasso, Braque, Modigliani e altri ancora.
Come non mettere a confronto il famoso Bacio di Hayez con l'altrettanto famoso Bacio di Gustav Klimt, pittore di poco successivo al precedente, ma così diverso nell'espressione?
Klimt è un artista austriaco, venne in Italia per studiare i mosaici a Ravenna, la sua pittura è luminosa, raffinata, elegante, con una forte componente decorativa.
Il bacio è uno dei suoi lavori più famosi, risale al 1908, nel periodo delle avanguardie e oggi si trova a Vienna alla Osterreichische Galerie. Le due figure si abbandonano al bacio in un'atmosfera avvolgente e affascinante.
Entrambi i quadri presentano la stessa posizione dei protagonisti: l'uomo è proteso in avanti in un atteggiamento di protezione e tenerezza nei confronti dell'amata, che si abbandona totalmente a lui. Il tema e il tipo di composizione è lo stesso, eppure i due dipinti sono profondamente diversi: il primo, con i suoi abiti medievali riinvia ai grandi amori narrati nella letteratura come Romeo e Giulietta o Paolo e Francesca, l'azione ha un suo contesto da cui non può essere scissa, è un bacio di addio o di riavvicinamento e cosa ancora più importante si tratta di un'emozione spiata; il secondo è un bacio libero da ogni condizionamento, rievoca il sentimento puro dell'amore senza contestualizzarlo, non è un bacio in particolare, è quello che ogni giorno ci ricorda l'amore.
Nonostante l'apparenza, sono due soggetti molto diversi e a mio avviso non bisogna preferirne per forza uno, si possono amare entrambi.

Uffizi: un’immensa collezione di opere d’arte

Non ero mai stata agli Uffizi! Essere una studentessa d'arte che all'età di 22 anni non aveva ancora visitato la galleria più famosa d'Italia incominciava a risultare abbastanza vergognoso. Così ho preso il  treno e ho trascorso un'intera giornata nella capitale italiana della cultura, dedicando più di tre ore a un'intensa contemplazione delle opere, che hanno reso celebre il  nostro Rinascimento.
Il museo non è così grande come si può immaginare, le opere sono disposte in ordine cronologico: dopo le antichità romane, ci si ritrova al medioevo italiano e si prosegue fino al barocco, seguito da qualche esempio di paesaggio del 1700.
Nella galleria, su cui si affacciano le sale espositive, si possono ammirare i ritratti dei personaggi storici più importanti, intervallati da sculture, finalmente si può associare un volto a tutti quei nomi letti sui libri di storia.
Nelle sale circostanti si possono ammirare i dipinti dei più importanti pittori italiani, da Piero della Francesca a Leonardo da Vinci, da Giotto al Beato Angelico.
La sala del Botticelli è il trionfo dell'arte. Le opere di questo artista avvolgono lo spettatore in un'atmosfera irreale, incantata; si osserva in silenzio, estasiati la primavera che danza nel boschetto, la Venere che nasce dalle acque e si rimane attoniti, quasi paralizzati di fronte alla dolcezza della Madonna del Melograno.
 

Nelle sale della Galleria si possono ammirare anche alcuni capolavori di arte fiamminga, non bisogna neppure dimenticare la presenza del ferrarese Dosso Dossi.

Al piano nobile, i dipinti di Caravaggio e dei suoi seguaci (nonostante la pessima illuminazione) concludono la mostra, lasciando nel visitatore una tranquillità e una soddisfazione non comuni a tutti i musei.
Un museo ben strutturato con una sola pecca: la LUCE. Spesso le lampade sono dirette sui dipinti a olio provocando un fastidioso riflesso.
I casi più eclatanti: la Nascita di Venere del Botticelli soffre del riflesso sul vetro di finestrelle che collegano la stanza alla galleria, ciò disturba molto la visione, ma probabilmente risente anche della posizione del sole nelle diverse ore del giorno, essendo la luce naturale a passare dalle finestre della galleria fino alla sala del Botticelli; il Bacco di Caravaggio si trova in una stanza non illuminata artificialmente, è molto buia e ciò compromette la visione dei particolari del quadro.
A parte questo, gli Uffizi meritano di essere visitati, in quanto costituiscono un perfetto quadro della pittura italiana dal medioevo al '700, comprendendo anche splendidi esempi di pittura straniera.

Il blocco della scrittrice

Ho passato settimane in cerca di un argomento interessante per il mio post, ho pensato a un testo sull'idea di bello oppure sulle tecniche museali, ma niente suscitava nella mia mente un barlume di ispirazione.
Ho il blocco della scrittrice!
Dopo soli quattro post ho già esaurito gli argomenti? Sono una comunicatrice inefficace, un'aspirante giornalista o critica d'arte senza una straccio di possibilità!
Il computer mi guarda, aspettando... attende le mie indicazioni, le dita sono pronte a digitare sulla tastiera  testi interessanti e accattivanti, i libri sugli scaffali sono pronti per essere consultati in vista di eventuali dubbi; ogni cosa è al suo posto, ma qualcosa non va...
Ogni volta  che inizio a scrivere qualche pensiero, mi blocco dopo poche righe. Il testo non mi piace, mi sembra banale e non sono sicura delle argomentazioni che adduco.
E intanto in computer mi guarda e la pagina word, dove di solito digito la prima stesura dei miei post, rimane completamente bianca o al massimo si riempie di una frase inconclusa.
Allora inizio a pensare, a riflettere, cerco un'immagine che mi possa ispirare, ma la mente rimane inesorabilmente vuota.

E' in questi momenti che comprendo come si deve sentire un artista o uno scrittore, mentre guarda  il lavoro che deve finire senza ispirazione, senza avere la forza di concluderlo. Io per fortuna non provo neanche la metà della loro disperazione, gli scrittori e gli artisti hanno bisogno della loro arte per vivere, per me tutto questo è solo un piacevole hobby.
Tuttavia neanche di fronte alla spensieratezza di un passatempo riesco a scrivere a comando, a questo punto non posso che chiedermi come potrei mai fare la giornalista.
Non sono mai stata una macchina, anche a scuola avevo difficoltà a comporre i temi, mi mancava sempre l'ispirazione e mi rendevo conto di quanto il lavoro definitivo fosse nettamente inferiore alle mie capacità.
Tralasciando i miei problemi di scrittura a comando, ho deciso di interrompere il mio silenzio e giustificare in qualche modo l'assenza dei miei post con queste poche righe. Spero che coloro che si erano interessati  alle mie meditazioni mi possano perdonare.
Intanto per non farvi dimenticare il mio amore per l'arte ho inserito come immagine La contrarietà del pensatore di Giorgio De Chirico, sommo pittore metafisico, per il quale Ferrara fu molto importante.
Tornerò presto...chissà forse proprio con un post sulla metafisica.
Penserò e cercherò di mettere in movimento questa mente pigra e svogliata.

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Quando lo spettatore è importante

Ci sono lavori di artisti che mantengono la loro qualità di opere d’arte anche quando non c’è nessuno che li osserva, ma ci sono anche opere d’arte che hanno senso solo se uno spettatore le fruisce.
Dagli anni ’50, infatti, si sono sviluppate correnti artistiche cha hanno evidenziato l’importanza del fruitore. Ilya Kabakov è fra i primi artisti a mettere lo spettatore al centro dell’opera d’arte, inizia a formarsi una nuova forma d’arte che avvolge completamente il visitatore al suo interno e la cui funzione primaria diviene quella di avere un effetto su di lui. Quale piacere può provare una persona guardando un’opera artistica sapendo che è grazie a lei che questa acquista il suo senso e che appena si allontanerà da essa perderà ogni ragione di esistere?
Lo spettatore acquista un potere incommensurabile, ma allo stesso tempo nel momento di fruizione dell’opera si trova in uno stato di completa sottomissione all’artista. È quest’ultimo che, progettando il suo lavoro, ha calcolato in ogni particolare il movimento del visitatore e lo guida all’interno dell’opera, lo accompagna invisibilmente nella scoperta di emozioni nuove.
Tutto viene pensato per la persona che un giorno lo fruirà, ogni singolo oggetto, ogni colore, ogni odore o rumore viene inserito per il visitatore. Un’opera di Kabakov ha lo scopo di creare sorpresa in chi vi entra, è intitolata Die Toilette, ed appartiene alla categoria della doppia installazione, perché le sue pareti non coincidono con quelle del museo, ma sono state create apposta per racchiudere uno spazio entro cui il visitatore può muoversi. Dall’esterno si presenta come l’entrata di un comunissimo bagno pubblico, ma al suo interno si trova una casa completamente arredata, è un’abitazione abbandonata e lo spettatore si aggira con sospetto fra le stanze e prova un senso di disagio e di attesa in quanto una volta entrato ha l’impressione che il proprietario possa tornare da un momento all’altro.
Come si vede sono opere con cui l’artista gioca con lo spettatore, lo trasporta in un mondo diverso e si diverte a vedere le sue reazioni e i suoi movimenti già calcolati.
Può sembrare un tipo di arte in cui lo spettatore non è più libero, ma è vincolato a ciò che l’artista ha già deciso per lui; io cercherei di porre l’accento più sull’importanza che acquista il visitatore, sul fatto che l’opera non ha senso se nessuno la fruisce.
Acquistiamo così un potere che nessun artista del passato ci ha mai concesso, siamo noi a dare l’esistenza a queste opere d’arte; cosa importa se l’artista ha già deciso il modo in cui lo faremo?

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Finito, non finito o un errore?

La Pietà Rondanini, l’ultima opera di Michelangelo Buonarroti, è esposta nella sala conclusiva del percorso museale del Castello Sforzesco di Milano. Il museo, pur non essendo molto grande, è ben organizzato, dispone di fogli illustrativi delle opere che il visitatore può consultare senza restituirli. Sono presenti molti reperti dell’epoca romana e longobarda, arazzi dei tempi degli Sforza e alcune sculture medievali di artisti milanesi e lombardi, ma l’opera d’arte che più rimane impressa nella mente del fruitore è sicuramente quella di Michelangelo. È una scultura alta 195 centimetri, lavorata dall’artista dal 1552 al 1564, fino a quattro giorni prima della morte. È un’opera dalla grande carica emotiva, anche senza conoscerne la genesi e la storia si rimane impressionati dai sentimenti che sprigiona quel pezzo di marmo, che dopo il restauro ha ritrovato il suo candore naturale. Si prova dolore nel guardare i volti dei due personaggi, sono ancora allo stato grezzo, la loro forma è appena abbozzata, ma nonostante ciò sono carichi di una tensione emotiva particolare. Quasi commuove il corpo del Cristo così accasciato su quello della Vergine, come se volesse rientrare nel ventre materno, e fa tenerezza la posizione della Madre che sorregge il Figlio con fatica e dolore.
La scultura evidenzia anche un cambio di stile effettuato dall’artista, in essa non ritroviamo più la venustà formale, il virtuosismo anatomico e la contrapposizione delle membra tipiche delle sue precedenti opere.
Ripensando alle sculture romane di Michelangelo e guardando la Pietà Rondanini possono nascere diverse domande: come possono essere state scolpite dalla stessa mano la Pietà che si può ammirare nella Basilica di San Pietro in Vaticano e questa? era intenzione di Michelangelo terminare la scultura in questo modo? Il braccio staccato dal corpo e le gambe levigate del Redentore, completamente diverse sono frutto di un errore? La volontà di lasciare le teste e il busto della Madonna grezze deriva dalla sua teoria del non finito o dalla morte che gli ha impedito di ultimarle?

Forse è il caso di spiegare un minimo la poetica di Michelangelo: egli andava personalmente a scegliere il marmo a Carrara, era convinto che in ogni blocco fosse già contenuta la scultura e che il vero compito dell’artista fosse solo quello di aiutarla ad emergere. Dalle sue parole si può capire meglio la sua idea: "Non ha l’ottimo artista alcun concetto ch’un marmo solo in sé non circoscriva col suo cuperchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto." L’attività artistica risulta anche un impegno etico, essa assomiglia un po’ alla lotta titanica dell’uomo per liberarsi dal peso della materia, riassumendo la concezione neoplatonica della forma imprigionata nel marmo come l’anima nel corpo. Il non finito deriva appunto da questa sua convinzione: alcune figure non avevano abbastanza spinta per uscire del tutto dal marmo e quindi rimanevano imprigionate in alcune parti, senza che l’artista potesse fare nulla, in queste sculture vi è un evidente contrasto tra il moto vitale della forma e l’immota  pesantezza del marmo.
La Pietà Rondanini è frutto tuttavia di molti ripensamenti e non sembra fare parte di quella serie di opere non finite. Michelangelo è ormai vecchio e nella scultura si possono distinguere due fasi precise: dal 1552 al 1554 di cui rimangono come testimonianza il braccio destro del Cristo e un frammento, ritrovato recentemente, che raffigura la testa e la sommità della spalla destra  e combacia perfettamente con il braccio troncato; e una seconda fase, elaborata dopo il 1555, che vede lo spostamento delle figure indietro e i due personaggi che si toccano.
L’opera è frutto di vari ripensamenti, non si tratta né di un errore dell’artista né di un non finito.  Le varie fasi delle intenzioni di Michelangelo sono testimoniate da vari disegni autografi ora raccolti all’Ashmolean Museum di Oxford. L’ultima versione della scultura rappresenta uno stadio di riflessione religiosa, l’artista aveva raggiunto la fede e ormai ai confini della vita riflette sulla morte e sul sacrificio di Cristo ed elabora l’umano pensiero della fine dell’esistenza come un ritorno alla madre. È per questo che il corpo del Cristo è così ritratto verso l’indietro e quasi viene assorbito dal ventre della Madonna. Una visione circolare della vita che affascina e allo stesso tempo consola, non contraddice la riflessione religiosa, ma la incarna in una metafora spirituale di universale significato.
Al di là di qualsiasi interpretazione la Pietà Rondanini è un’opera di eccellenza, trasmette nel fruitore tutto il suo carico di passione e dolore, si distacca da qualsiasi altra opera di Michelangelo e testimonia un’evoluzione dell’artista impressionante. Il fatto che essa sia stata composta senza committenza ne fa un unicum, in quanto l’idea dell’artista che dipinge o scolpisce per sé, per il suo piacere, è tipica dell’età moderna.  

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Caravaggio e l’Europa

Non solo l’arte contemporanea può essere rivoluzionaria, studiando artisti del passato si possono scoprire personalità esuberanti e totalmente fuori dagli schemi tradizionali. Anche Caravaggio che può apparire come uno dei pittori più conformisti e classici, fu un promotore di nuove idee sia stilistiche che tematiche, e come tutti gli innovatori non ebbe vita facile al suo tempo. Molti committenti rifiutarono la prima stesura dei quadri costringendolo a modificarli e alle volte togliendogli addirittura il  lavoro.
Naturalmente era un pittore molto apprezzato sia dai nobili romani che dagli altri artisti e i quadri rifiutati venivano subito acquistati e esposti nelle gallerie dei più famosi palazzi della capitale.
Le meravigliose innovazioni di Caravaggio, come l’uso dei toni scuri, il gioco di ombre e luci, la rappresentazione umile di temi sacri, sono esposte al Palazzo Reale di Milano, all’interno della mostra Caravaggio e l’Europa, aperta fino al 6 febbraio 2006.
L’esposizione presenta una galleria di quadri di notevole importanza, da Caravaggio a Mattia Preti, passando per i celebri Orazio e Artemisia Gentileschi e per i pittori fiamminghi.
La mostra tuttavia non è di facile comprensione, gli otto quadri di Caravaggio sono esposti nelle prime due sale, oltrepassate le quali si possono ammirare le centoquarantadue opere dei caravaggisti, quegli artisti a lui contemporanei o attivi subito dopo la sua morte che furono influenzati dalla sua maniera di dipingere. Nelle didascalie non sono segnalate le date di esecuzione dei dipinti, è quindi difficile per un visitatore inesperto riuscire a collocare i diversi quadri in riferimento a quelli di Caravaggio.
Un altro difetto della mostra è l’illuminazione, i faretti sono indirizzati direttamente sul dipinto, che essendo pittura a olio riflette la luce, impedendo così al fruitore una corretta visione. Bisogna spostarsi in continuazione per poter trovare una corretta posizione, per riuscire a vedere i dipinti senza nessun riflesso è necessario porsi in posizione laterale e non di fronte, ciò compromette notevolmente la fruizione.
Alcune tele sono esposte in piccole nicchie anguste ricavate nelle stanze del piano nobile del Palazzo Reale, ciò rallenta la visita e impedisce spesso una visita corretta, soprattutto se si è in gruppo.
Nonostante alcune mancanze da parte dell’organizzazione, la mostra merita di essere visitata se non altro per le notevoli tele di Caravaggio, che pur non essendo le più famose, sono comunque affascinanti. Importanti sono anche alcuni dipinti di Orazio Gentileschi e Carlo Saraceni, due tra i suoi più famosi seguaci.
Forse con l’ausilio di un audioguida, con uno studio preventivo su Caravaggio e i caravaggisti o con l’accompagnamento di un esperto della materia, si può apprezzare un pittore che ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della storia dell’arte e si può imparare a conoscere l’arte di un secolo molto lontano da noi, che nella sua classicità presenta già motivi di distacco con la tradizione precedente.  
Per informazioni sulla mostra www.caravaggioeleuropa.com

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L’intenzione
Nell’arte del Novecento c’è una sola parola d’ordine: intenzione. È l’intenzione che determina un’opera d’arte, non è più importante che sia un dipinto o una scultura, che sia creata secondo le regole artistiche, con materiali tradizionali o che riproduca i canoni di bellezza classica. Forse il primo grande scossone lo diede Duchamp quando unì una ruota di bicicletta e uno sgabello o quando rovesciò un un’orinatoio denominandolo fontana. Fu ancora più rivoluzionario nel regalo per le nozze della sorella: in una lettera le scrisse di prendere un libro di matematica e appenderlo fuori dalla finestra, questo era il suo regalo, era un’opera d’arte  ma non era fisica, era solo un’idea, un’intenzione. Duchamp non fu di certo il primo a trasformare l’arte e ad allontanarla dai canoni estetici classici, il concetto di bello era già caduto precedentemente, nel 1800 Isidore Ducasse, Conte di Lautréamont aveva  dato una nuova definizione di bello come “l’incontro fortuito, su un tavolo anatomico, di una macchina da cucire e di un ombrello”. Questa spiegazione è piuttosto emblematica e forse oscura al primo impatto, in realtà è semplicissima: il concetto di bello non esiste più! Non ha più importanza!
Un ambiente in cui l’arte contemporanea si esprime in tutta la sua completezza è sicuramente la Biennale di Venezia.


L’ultima Esposizione internazionale ha chiuso i battenti il 6 novembre, chi ha potuto visitarla si sarà accorto dell’immensità dello spazio dedicato alle opere d’arte di artisti spesso sconosciuti; l’eccezionalità della mostra consiste anche nella completa disponibilità dei lavori, il visitatore può toccarli, spostarli, giocarci, entrare a far parte dell’opera d’arte, sentirsi per pochi minuti immerso in un mondo parallelo, in un mondo diverso, alternativo. Le opere esposte sono tra le più differenti, sono opere di denuncia, di divertimento, di descrizione del proprio paese di origine.
Quanto può essere affascinante giocare con biglie di metallo all’interno di una stanza e rimanere incantati dal rumore che le palline provocano colpendo le barre di legno, che delimitano l’area di “gioco”? Oppure quali intense emozioni possono essere provocate dal vento della Russia? Senti il freddo che piano piano penetra nelle ossa e magari se chiudi gli occhi puoi immaginare la steppa ammantata di neve.
Davanti a molte opere esposte alla Biennale si provano emozioni forti che pervadono tutto il corpo, non è più solo il senso della vista a essere stimolato, ma anche l’olfatto, l’udito, il tatto. Alcuni lavori provocano quasi uno stordimento, uno di questi costringe il visitatore a camminare su un pavimento in cui viene proiettata un’immagine poco comprensibile, la cui particolarità è quella di scorrere velocemente sotto i piedi del fruitore, provocando uno spaesamento piacevole. Chiunque entri nella stanza si trova costretto ad attraversarla se vuole proseguire la sua visita, può farlo il più in fretta possibile oppure sostarci un po’ a riflettere sul suo significato o semplicemente cercare di camminare dritto nonostante lo scorrimento dell’immagine stordisca notevolmente.
Molti sono convinti che tutto questo non sia arte, io non credo. Queste opere devono essere viste considerando tutte le avanguardia del novecento e alla luce dell’affermazione dell’intenzionalità come caratterista fondante dell’opera d’arte.
Dopo tutto chi ha mai pensato di costruire un grandioso lampadario scintillante con gli assorbenti interni? Se anche qualcuno l’ha anche solo immaginato, non l’ha poi realizzato e di sicuro non ha mai avuto il coraggio di presentarlo alla biennale di Venezia, coraggio che invece ha dimostrato l’artista Joana Vasconcelos.
Chi ha mai progettato un tunnel di bustine di tè al cui interno si sprigiona il delizioso profumo della bevanda?
Elencare tutte le opere particolari presenti alla mostra sarebbe un’impresa disumana. La cosa più importante dell’esposizione è l’accessibilità che l’arte contemporanea dimostra, non importa comprenderne il significato, basta essere disposti ad aprirsi verso questo mondo, questa realtà a noi contemporanea che non possiamo ignorare perché ci identifica e ci caratterizza. Noi abbiamo camminato su un pavimento di bottiglie di birra rovesciate, noi siamo saliti su un’opera d’arte-montagna alta 40 metri, noi abbiamo avuto il coraggio di ammirare e lasciarci emozionare da opere d’arte che alcuni reputano non degne di essere chiamate con questo nome.

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Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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