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Campovolo, tra palco e realtà

Le macchine sono in coda già dal mattino presto, all'uscita autostradale di Reggio Emilia. La città per un giorno è paralizzata e la sua popolazione più che raddoppiata. E' il Giorno dei Giorni. E' il momento del One Man Show di Luciano Ligabue: 4 palchi, tantissimi maxischermi, audio surround che avvolge il pubblico, la band attuale e quella di un tempo in un'unica data italiana per quello che si preannuncia il più grande concerto di sempre. E' lo sfarzo (qualcuno osa dire "megalomane") con cui celebrarsi e celebrare l'affetto costante del suo pubblico che lo adora sotto ogni aspetto.

Dalla stazione al Campovolo è un fiume di colori e ragazzi di ogni età e provenienza in marcia sotto al sole schivando bagarini, piadinari e improbabili bancarelle di merchandising. Il flusso di gente è continuo nel pomeriggio e arrivati nell'area del concerto trovare un posto in terra dove sedersi è difficile se non impossibile. Chi si fa largo calpestando senza problemi chi prende il sole, chi rinuncia e si sistema in fondo ai lati, chi riempie le intercapedini tra un gruppetto e l'altro. La vista attorno è impressionante, ovunque persone, volti sorridenti, magliette, bandiere e gadget del Liga. Qualcuno chiede a che ora arriva il Papa, ma ha evidentemente sbagliato evento. Oggi si venera un altro dio.


Nel pomeriggio è un susseguirsi di gruppi, dal Nucleo, a L'aura agli ottimi Folkabbestia, Bennato ed Elisa. Il pubblico è tiepido ed attende impaziente le nove mentre il sole cala lentamente dietro il caseggiato reggiano e il Campovolo è ormai pieno di gente come nemmeno Rimini a ferragosto.

Comincia il concerto e il pubblico resta a bocca aperta: non tanto per Il giorno dei giorni che risuona incerto ad aprire la kermesse quanto per l'audio circostante. Non si sente quasi nulla. Le casse vomitano bassi e il livello della musica è insufficiente. La voce del Liga è addirittura coperta dal coro del pubblico.
Un paio di pezzi e la gente comincia a spazientirsi, i pezzi sono inascoltabili, loffi nell'arrangiamento e non si riescono a seguire nonosante dovesse essere un impianto surround che avrebbe permesso a tutti una corretta fruizione dell'evento. I tecnici pasticciano con i volumi durante l'esecuzione di alcune canzoni: sembra di essere al concerto di un gruppo locale, nel circolo Arci del paesino di provincia. Tra un brano e l'altro il pubblico grida "volume!" ma non sembra cambiare nulla. La prima ora passa via veloce tra hit di successo degli ultimi anni che tutti conoscono e ricantano in faccia ad un Ligabue incerto in alcuni tratti: decisamente emozionato ma sempre e comunque trascinante nella dimensione dal vivo.
Quand'è il momento di cambiare palco Ligabue corre rapido verso destra dove nonostante il fiatone esegue un paio di pezzi puramente acustici e propone un brano inedito che sarà incluso nel nuovo disco: Sono qui per l'amore. Il concerto tocca il suo punto più basso in questo momento: nel silenzio generale di un pubblico che tende l'orecchio per sentire note ad esso sconosciute sono imbarazzanti i fischi che arrivano dal fondo. Il pubblico più lontano non sente assolutamente niente ma ha pagato fior fior di quattrini come tutti: si inneggia a Vasco, qualche gruppetto accenna Albachiara mentre Ligabue tira dritto come se ne niente fosse.
Poi il coro del Monte Cesna introduce Libera nos a malo: si accende il palco Vintage, alle spalle del pubblico ed è un'esplosione di suono insperata. Ligabue suona con i Clandestino, band che lo ha accompagnato fino alla metà degli anni '90. L'impressione è che non c'è storia: per mezz'ora il pubblico è rapito da un'esecuzione impeccabile (ottima la versione di Ho messo via con la tromba) e dai pezzi storici che i fan di sempre conoscono ed amano. Si cambia di nuovo, Ligabue torna davanti, nel palco Teatro e ad attenderlo c'è Mauro Pagani. E' il momento di chi ama la musica: gli arrangiamenti di alcuni pezzi sono toccanti. Suonano Il giorno di dolore che uno ha, Una vita da mediano e il pubblico è rapito, affascinato, sembrando dimenticare i disagi di poco prima nonostante anche ora il suono sia poco chiaro.
Quando Luciano fa capolino nuovamente sul palco principale per la parte conclusiva si incrociano le dita sperando che quelle malefiche casse immense facciano il loro dovere: non sarà così ma ormai poco importa. E' il momento dei classici che tutti attendono. Il pubblico resta a bocca aperta con i fuochi d'artificio che partono all'improvviso dietro il palco e poi da brani di successo come Certe notti, Questa è la mia vita, Balliamo sul mondo, fino a scendere rapidi verso l'unico finale che tutti attendono e non può mancare: Urlando contro il cielo. Tutti i palchi sono accesi, entrambe le band suonano e il pubblico fa il coro nel guazzabuglio generale: come per la maggioranza dei brani la grandezza dell'area e il ritardo dell'impianto sonoro creano scompensi tra ciò che canta la gente e il cantato che si sente dal palco, creando confusione a tratti irritante. Ma alla fine è festa collettiva ugualmente: i fan più accaniti passano sopra anche a questi problemi e si lasciano incantare dall'ultimissimo regalo di una serata torrenziale. Dopo oltre due ore e quaranta di musica ininterrotta Ligabue imbraccia una chitarra e a luci spente intona Leggero, praticamente assente dalle scalette dei suoi live da parecchio tempo. Poi l'abbraccio ideale a tutta la folla immensa e un "grazie di cuore" di commiato per chi è intervenuto in questo evento unico ed irripetibile. La gente sfolla in silenzio e torna ad intasare una Reggio che per una sera è il centro del mondo. Le facce non sono entusiaste ma globalmente soddisfatte: si dice che molti siano sfollati a metà concerto lamentando di non sentire nulla, ma anche chi è rimasto fino alla fine sorride solo a metà.

Diranno che è stato bellissimo, che il Liga è il Liga, che è stato un evento straordinario e chi si lamenta non ha capito niente. I telegiornali si sono riempiti la bocca di belle parole, i quotidiani dedicano paginoni interi nel tessere le lodi di un evento che invece è da considerarsi parzialmente fallito. E' persa la scommessa dell'organizzazione: il suono non è stato all'altezza e talvolta era da definirsi addirittura imbarazzante, l'area troppo vasta per accontentare tutti quando in alcuni punti non si vedeva nemmeno uno dei quattro palchi, coperti da tendoni e torrette varie. Troppo caos anche nella viabilità se è vero che ci sono volute oltre tre ore per uscire dalla città e per raggiungere casa nelle città limitrofe dell'Emilia alcuni hanno impiegato l'intera nottata.
Impeccabile Ligabue e le scelte artistiche invece: buona la scaletta e l'idea di toccare tutte le dimensioni del live, dall'acustico agli arrangiamenti teatrali ai vecchi suoni dei primi anni '90. Tutto bello e magistralmente unico nel suo genere ma non è quello che il pubblico ha visto e vissuto. Il 25 novembre forse l'uscita del Dvd renderà onore a questo maxi concerto, quando finalmente tutti avranno modo di vedere meglio quello che è successo sui palchi e cosa è stato per davvero il Campovolo. Grazie di tutto Liga, l'idea c'era e ce l'hai messa tutta, ma per favore: mai più.

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