"Cosa ci mettiamo in prima pagina?"
"Oggi non è successo un cazzo"
"Qualcosa dobbiamo trovare... furti? Rapine?"
"Niente, è agosto, cosa vuoi che succeda"
"Molestie? Stalking?"
"La gente è al mare, non sta a molestarsi"
"Zingari? Rumeni? Primo piano sui rumeni, eh?"
"Piantala"
"Il turismo allora... Fotona grande di ragazza seminuda al mare... 'Tutti al mare'"
"Mi rifiuto. Possibile che non ti venga in mente niente?"
"Che dice la nota della questura?"
Quel giorno la nota della questura segnalava un ragazzo trovato in possesso di una 'modica' quantità di hashish. Ne trovano praticamente tutti i giorni, gente con un po' di erba in tasca per farsi i propri spinelli. Robe da un modulo, qualche riga in fondo alla pagina della Nera.
Quel giorno però, non succedeva nulla. Eppure i giornali devono uscire lo stesso, anche se il mondo è stitico, o è impegnato a fare altro che produrre notizie per i quotidiani. Serviva un'apertura per la prima pagina di domenica.
Non è affatto vero che fare il giornalista sia il mestiere più divertente del mondo. Che ci si alza tardi alla mattina, che si vanno a vedere le partite gratis, che si è pagati per non lavorare. Fare il giornalista è molto, molto diverso da come viene dipinto, dall'ideale con cui vengono mandati a morire centinaia di giovani nelle facoltà di scienze della comunicazione.
Fare il giornalista significa, tra le altre svariate cose, interpretare il mondo anche quando il mondo dorme. Come intervistare uno che dorme, e prendere nota dei suoi gorgoglii mentre russa. Il giornale non è la realtà, è la riproduzione della realtà messa in piedi da gente come me, te, noi.
Quel giorno non era successo nulla, ma la domenica il giornale deve uscire lo stesso. Presero dalla nota della questura, questo ragazzo trovato con addosso un po' di hashish. E lo sbatterono in prima pagina, con annessa fotona da urlo. All'interno, il servizio che spiegava con dovizia chi fosse questo ragazzo, le sue abitudini. Uno studente, sì. Ma uno studente drogato marcio. La verginità di un ragazzo stuprata dalle civette della domenica mattina.
Il giorno dopo, quel ragazzo ha collegato un tubo di gomma con lo scappamento della sua macchina. Ha avviato il motore, ed è rimasto lì, ad aspettare di morire. Ed è finito, per la seconda volta in pochi giorni, sulle prime pagine dei giornali.
La domanda è: si è ucciso per la vergogna dello sputtanamento? Ci starebbe bene proprio un primo piano, sulla faccenda.
Intanto, un giornalista e un documentarista di Forlì, hanno ricostruito l'assurda vicenda in un documentario, Il giorno in cui la notte scese due volte.
Qui, la ricostruzione della storia di Alberto.