12 apr 10:14 Rai: Cappon, "Limitare compensi frena campo d'azione"
ROMA - "Limitare i compensi agli artisti non moralizza, significa soltanto limitare il campo d'azione della Rai". Lo ha detto il direttore generale di Viale Mazzini, Claudio Cappon. Con una metafora calcistica Cappon ha spiegato: "A parte il caso pietoso di quanto accaduto alla Roma, e lo dico da tifoso romanista, non puoi vincere il campionato di serie A con lo stipendio da statali. Non e' pensabile che una squadra possa essere la prima retribuendoli con 100 mila euro all'anno". (Agr) -
Ovviamente è proprio qui che Cappon rivela la sua concezione di servizio pubblico, tanto per cominciare con l’appello al sano realismo che considera centomila euro l’anno come noccioline. Ma sorvoliamo. Concezione vecchia, dicevo: come quella dei suoi predecessori. Per Cappon la RAI deve essere competitiva (con Mediaset e altri). Per poterlo essere, deve attrarre pubblicità. Per attrarre pubblicità deve livellare verso il basso, cioè fare programmazione di massa. E naturalmente le galline dalle uova d’oro, quelle che ti mettono a sedere di fronte alla TV miliardi di italiani, costano parecchio. Quindi, a parte la solita pietosa, noiosa, scontata e offensiva metafora calcistica, Cappon si sdraia letteralmente su un paradigma che come minimo abbiamo già visto, e che nella migliore delle ipotesi ha contribuito a rendere il servizio pubblico la stessa fogna culturale della programmazione Mediaset. Qualche ipotesi invece che sparare sempre e solo a zero? Vediamole:
- Riduzione del Servizio Pubblico a una rete. Gli altri? Tutti a casa o sul mercato.
- Abolizione della pubblicità. Il trash va lasciato a chi lo vende di mestiere. E’ bene che la pubblicità si adegui anche a spazi senza tette, culi, calciatori e bestemmie.
- Programmazione nuova: programmi di lingua inglese, informazione, reportage, territorio (ma non in senso piccolo-leghista-pretesco-valligiano), geopolitica, documentaristica, arte e cultura, intrattenimento, sperimentazione e media.
- Campagna contro le evasioni: il canone serve al finanziamento di un servizio pubblico, e come tale va pagato e chi non lo paga va perseguito.
Triste (ma normale) notare invece che Cappon, come tutti gli altri (metafora calcistica compresa) non hanno la minima idea di quello che dovrebbe, da oggi, essere considerato un servizio pubblico. Meglio puntare sui tifosi di Totti e di Baudo e perdere l’ennesimo treno per le riforme. E torniamo ai costi di Cappon allora, e rendiamoci conto per esempio che il Digitale Terrestre, al di là delle polemiche sulla sua modalità di introduzione (vedi Decoder e l’escamotage ideato da Berlusconi per annacquare il principio di predominanza delle reti Mediaset) ospita al suo interno programmi estremamente interessanti, e spesso di qualità. Questo è facilmente spiegabile perchè nel DT Cappon non spreca soldi pubblici per il nazional-popolare, ma li impiega per dare lavoro a giovani professionisti (spesso donne) che in questa riserva indiana tanto disprezzata, trovano l’opportunità di fare molto bene il loro mestiere, protetti dall’ingerenza dei soliti soloni, dei politici, degli sponsor e di quel soffitto di cristallo che sembra impossibile da spezzare. Mi pare di vederlo Cappon o chi per lui, alle prese con quattro nuove reti sul DT: e adesso chi ci metto a lavorare? E come li pago visto che devo comprare i gerani della riviera dei fiori? Ma come succede sempre in Italia, basta creare una zona franca, fuori dalla portata degli imbecilli, per renderla colma di persone in gamba e piene di forza di volontà. Fino all’arrivo dell’auditel naturalmente, che ci griderà: c’è vita là fuori, al di là delle partite di Totti, delle commedie di Eduardo (quando va bene), dei reality show e di Bruno Vespa.