Monthly Archive for Ottobre, 2008

15000 buoni motivi per ricredersi.

questa è la prima volta che scrivo qui, e ho tremendamente paura di sbagliare qualcosa. mi scuso in partenza.

sono qui per usare poche parole e molte immagini. almeno, questo è l'intento. quanto poi io sia in grado di fare una o l'altra cosa beh, lo giudicheranno gli altri.

vivo a cagliari da circa 27 anni.

cagliari è un bel posto: il clima è mite, la città non è tanto piccola da essere un paesello, ma nemmeno tanto grande da essere invivibile, c'è vita notturna, c'è il mare, c'è poca criminalità, insomma.

però cagliari è una città che dorme, e quando non può dormire tendenzialmente se ne frega.

il fatto di stare su un'isola fa si che tutto arrivi in ritardo, o non arrivi proprio: l'inverno, le grandi catene commerciali, la fibra ottica, i concerti e gli spettacoli, le proteste.

a cagliari non si protesta quasi mai, o lo si fa con poca convinzione.

ma stamattina, in strada, c'erano 15000 persone (almeno questo dicono i giornali e la televisione. per me, che ero lì, ce n'erano pure di più). le vie del centro erano completamente intasate di persone arrivate da tutta la provincia per la manifestazione. non avevo mai visto una cosa del genere, così tanta gente in piazza a cagliari, così tanto entusiasmo e così tanta voce, non ci ha fermato nemmeno la pioggia.

questi sono alcuni scatti rubati dai miei occhi di quella folla colorata e decisa che ha marciato per le strade della mia città, rendendole improvvisamente ai miei occhi un posto migliore.



L’eterno presente

Noi la crisi non la paghiamo.
La mania di protagonismo delle nuove generazioni, sobillate da professori fannulloni e complottardi, è insopportabile ancor più della loro millanteria, come già mirabilmente spiegatoci dalla G2, Gelmini-Gasparri, che finalmente ci ha aperto gli occhi: non sono studenti ma una minoranza di facinorosi fomentati dalla sinistra estrema. Facinorosi, millantatori e, soprattutto, malati di protagonismo. Noi la crisi non la paghiamo: ma chi vi credete di essere? Per quello c'è già la sanità, ci sono i metalmeccanici e i precari, ma cosa vi siete messi in testa? A ciascuno il suo, è ben altro il conto che spetta a scuola e università. E non fate come al solito quelli che a me non mi ha avvertito nessuno, perché questa volta lo avete saputo con largo anticipo: dovete pagare l’allestimento della prossima puntata della cementificazione su larga scala che si scrive Expo Milano 2015 e si legge speculazione.

Neanche la briga di leggere ciò che i nostri premurosi governanti hanno messo nero su bianco nella 133. Del resto è da irresponsabili rifiutarsi di contribuire alla crescita del nostro povero Nord, insopportabilmente arretrato rispetto al resto del Paese. Dov’è finita la proverbiale solidarietà del popolo italiano? Nelle classi separate per immigrati? Nelle molotov lanciate contro i rom? Nossignore, esiste e resiste, scripta manent: ora è addirittura codificato, basta una lettura comparata dell’art. 14 punto 1 con l’art. 66 punto 13. Te capì?

Credere nelle promesse, nell’onestà e nella buona fede di Berlusconi è comico, ma ritenere ragionevolmente che un governo targato Lega Nord e Forza Italia pensi anche a ciò che avviene al di sotto della Linea Gotica è mostruoso. Linea Gotica, appunto. Con buona pace degli Alleati Nazionali comprati con quattro "vietato", due "proibito", la parola "galera" buttata qua e là a casaccio e i soldatini nelle strade per poter chiudere gli occhi e sognare un po' di Cile degli anni belli. Perché sognare non costa nulla, poscia Tremonti non ha da eccepire.


Se in Cina contraffanno i prodotti italiani, dalle parti di Arcore si appiccica maldestramente l’etichetta made in Italy alle scatole cinesi. E così mentre le parole "riforma", "turn over", "grembiule" e "maestro unico" nascondono tagli selvaggi e licenziamenti, quest’ultimi servono a mimetizzare il vero obiettivo del governo a guida P2 (a titolo informativo: tessera 1816, fascicolo 0625, data di affiliazione 28/01/1978 il boss; fascicolo n. 945, tessera 2232, data di affiliazione 12/12/1980 il suo capogruppo alla Camera): radere al suolo come fosse un villaggio palestinese l’istruzione pubblica. La trasformazione degli Atenei in Fondazioni, l’abrogazione del valore legale del titolo di studio. Il tutto ammantato dalla parola magica "meritocrazia": curioso che provenga da chi ha fatto ministro una soubrette (senza andare oltre: nonostante tutto ci rifiutiamo di credere a quanto trapelato dalle pornointercettazioni), o il proprio commercialista, da chi ha messo a capo della Commissione giustizia un suo vecchio legale, mentre altri sono diventati parlamentari e/o senatori e uno è stato perfino proposto a capo della Commissione di vigilanza Rai. Caligola con il suo cavallo era un dilettante allo sbaraglio in confronto... Meritocrazia.

Ma torniamo ai punti nodali: trasformazione degli Atenei in Fondazioni, abrogazione del valore legale del titolo di studio. Il primo significa la fine dell’Università pubblica tout court. Troppo pericolosa l’esistenza di luoghi dove il libero pensiero possa circolare impunemente, meglio assoggettarlo agli interessi di un qualche potentato economico. Non so, magari possiamo suggerire una casa farmaceutica che controlla la facoltà di Medicina, un costruttore tipo il cav. Salvatore Ligresti dietro la facoltà di Architettura o, perché no, un Tronchetti Provera che gestisce quella di Scienze della comunicazione. Va da sé – o così dovrebbe essere – che la trasmissione del sapere in qualsivoglia campo DEBBA essere libero da condizionamenti esterni o da interessi di sorta. Ed è altrettanto chiaro che un’azienda non è mossa da fini filantropici bensì agisce (legittimamente) secondo una logica del profitto. E’ dunque ragionevole ritenere che le future Fondazioni universitarie finanzieranno la libera ricerca? O piuttosto si dedicheranno ad approfondire aspetti funzionali ai propri interessi economici? Se non politici, chiaro... Imbrigliare la conoscenza, riscrivere la storia (il passato), reggimentare la ricerca (il futuro), per bloccare i cittadini in un eterno presente che esclude ogni tentativo di cambiamento della società.

Cementarci in compartimenti stagni dove il pensiero non è libero di fluire, la conoscenza impossibilitata a muoversi in verticale e a espandersi in orizzontale. La creazione di automi (tecnicamente preparati, certo) tanto produttivi quanto inoffensivi. E con le pezze al culo. Andate a laurar! Altro che meritocrazia.

Abrogare il valore legale del titolo di studio, invece, serve a creare Università gerarchizzate. La legge italiana conferisce "valore legale" ai titoli di studio che si adeguano agli standard nazionali normativamente previsti. Il titolo di studio è infatti un vero e proprio certificato pubblico, rilasciato "in nome della Legge" dall'autorità accademica nell’esercizio di una potestà pubblica. Ora, immaginare che in nome della "concorrenza tra Atenei" e della meritocrazia possa sparire per decreto la parificazione legale tra le differenti Università è a dir poco bestiale. Se uno ha la sventura di vivere in una città la cui Università è considerata di seconda fascia è già condannato in partenza, indipendentemente dall’impegno profuso nel proprio percorso di studio. A meno che, ovvio, non abbia i mezzi economici, gli sghei, per andare a studiare altrove. E' dietrologia pensare che nel Nord opulento saranno più numerosi i politecnici "preferenziali" rispetto al resto del Paese? ll problema dei concorsi pubblici non è la parificazione di tutte le Università nei punteggi, anche perché il candidato oltre al titolo di studio deve superare una serie di test che ne misurano l’effettiva preparazione. Il vero problema è la mancanza di controllo in un Paese a trazione clientelare (ripeto: vale persino per parlamentari e ministri), in cui anche nel privato chi sbaglia non paga. Mai. La bancarotta, ricordiamo a mo’ di esempio, è stata depenalizzata. Per cui per un dirigente pubblico non fa nessuna differenza assumere il migliore dei concorrenti o l'incapace figlio del cugino (o del politico di riferimento). Che spesso e volentieri non si è laureato a Yale.

In Italia docenti e programmi didattici raggiungo eccellenze spesso inesistenti all’estero. Il guaio, quello vero, sono le strutture fatiscenti, i laboratori mancanti, le attrezzature obsolete, l’assenza di controllo nei pubblici concorsi, il baronato. Ovvero i mezzi che permettano a bravi insegnanti di mettere in pratica ottimi programmi. Tagliare i fondi, licenziare e privatizzare non è esattamente la medicina migliore per queste malattie. Ma viene da chiudere con un paradosso: meno male che nella loro bulimia di potere hanno infilato le mani nei nostri portafogli, altrimenti la loro brutta e sporca controriforma - forse - sarebbe passata in sordina.

Mentre muore l’Università (e la scuola) italiana / 4

(Parte 1 - Parte 2 - Parte 3)

La voce della RUAQuando entro nella sede della RUA in Piazza Verdi trovo già alcune ragazze: si stanno aggiornando sulla mobilitazione riguardo ai problemi degli studentati e delle sovvenzioni regionali per le borse di studio. O almeno così mi pare di aver capito, in questi momenti sento tutta la mia ruggine di ex-studente e soprattutto di essere stato uno studente IN sede. Di gente ferrarese alla riunione infatti ne vedrò molto poca, un'altra silenziosa risposta alla domanda iniziale che mi ha fatto tornare "studente" anche solo per un giorno: perchè a Ferrara non si protesta?

Mentre attendo l'arrivo di Alessandro, il coordinatore della RUA, scambio qualche parola con Giulia. Le racconto di cosa ho appena (non) visto alla Facoltà di Ingegneria, e non si mostra affatto stupita, anzi. Le motivazioni che mi hanno dato gli aspiranti ingegneri secondo lei sono "giustificazioni", perchè gli esami difficili esistono anche in altre facoltà: "E' questione di non volersi informare, e della mancanza di soggetti che sappiano creare una coscienza predisposta all'informazione".
Nella mia mente tento di riassumere questa incomunicabilità tra soggetti che non vogliono ascoltare una lingua comunque a loro sconosciuta. Giulia mi parla con voce appassionata ma ferma, convivido la sua propensione a essere propositivi e incisivi, senza che le due cose possano apparire in contrasto. Eppure, in questo peregrinare nell'ambiente universitario ferrarese, mi rimane la convizione di assistere a un'antoniana partita a tennis senza la pallina. E buona parte del pubblico continua a guardare da un'altra parte, solo perchè non ha voglia di mettersi gli occhiali per vederla meglio.

Aldilà delle polemiche RUA - S.O., sono più curioso di sapere come un sindacato studentesco che agisce veramente come tale, con voce e fermezza, si raffronti rispetto ad un consistente muro quasi "omertoso" di studenti. Alessandro sorride amaramente del mio resoconto di Ingegneria. Gli chiedo:

Mentre persino Pavia scende in piazza, a Ferrara una bara in rettorato e basta. Qual è il problema di Ferrara?
Guarda, non è soltanto questione di una facoltà più silenziosa di un'altra. E' un problema di Ferrara intera, e possono esserci tante motivazioni come "nessuna". Ferrara storicamente non ha avuto un '68 e nemmeno un '77. Non c'è mai stata una sedimentazione di movimenti per i diritti, ha sempre avuto una vocazione al silenzio e all'indifferenza che ha impedito al movimento di svilupparsi in maniera significativa. Manca dunque una coscienza collettiva, che faccia nascere uno studente pronto a indignarsi concretamente.
Poi si possono ricercare i motivi in vari aspetti... la conformazione della popolazione studentesca, l'assenza di comitati studenteschi forti che facciano da traino. Credo che sia proprio "Ferrara", il problema, prima di tutto, e a seguire varie concause.

Ferrara è una città particolarmente "sfortunata", allora?
Sì, perchè c'è questa concomitanza annichilente: da una parte non ci sono movimenti studenteschi magnetici, dall'altra non vedo una controparte in grado di recepire gli impulsi. Gli stimoli a farsi sentire sono visti in maniera negativa, perchè qui buona parte degli studenti pensa soprattutto alla dimensione personale e a studiare.
C'è da dire poi che in altre città lo studente vive l'esperienza del movimento sin dalle superiori, mentre qui a Ferrara nelle scuole vedo solo qualche collettivo, poco rumore e pochissima sostanza. Gli studenti ferraresi sono disinteressati: la maggioranza del movimento infatti è composta da fuori-sede. Ma anche tra di loro, diversi si muovono solo se vengono toccati nelle proprie tasche, purtroppo.

In questo quadro sconfortante, l'unica speranza è tentare di intercettare il disagio che comunque sta crescendo. Non sarebbe il caso di unire gli intenti dei vari movimenti studenteschi?
E' vero, manca un grande soggetto che riesca a radunare la protesta e incanalarla. Ma noi dall'altra parte abbiamo trovato un soggetto ambiguo, lo Student Office. Quando a luglio è uscita la legge sui tagli, non li ho visti affatto indignati, anzi. Ora, loro contestano il nostro atteggiamento di protesta, quando invece noi vogliamo soltanto accendere l'attenzione della città sui problemi dell'università. Problemi che coinvolgono tutti. Anche lo Student Office vuole che l'università rimanga pubblica, ma con i tagli che ci sarà diventerà impossibile. Eppure non protesta. Andiamo all'inagurazione dell'anno accademico per chiedere un pronunciamento del Senato Accademico, e ci insultano.

Come pensate di procedere, ora?
Nonostante la legge proceda spedita, noi non ci fermiamo. Mercoledì alle 13 (oggi), nell'aula magna di Giurisprudenza ci sarà una lezione di Diritto per spiegare i mali delle leggi che stanno per essere approvate, ed è un'iniziativa che supportiamo fortemente perchè occorre fare chiarezza. C'è confusione, troppa, e bisogna spiegare agli studenti a che cosa si sta andando incontro. Prima ancora che protestare, è più urgente mettere qualche punto fermo. E poi non bisogna disperderci in mille comitati, bisogna radunare forze e iniziative per creare una protesta organizzata, coesa e sensata. Anche perchè si è visto come esternamente sono tutti pronti a tentare di sminuirci e dividerci. A Ferrara è difficile, direi quasi impraticabile, lo so: su 15.000 studenti, solo qualche centinaio è pronto a far sentire la sua voce. I dottorandi che aderiscono sono pochi, i docenti, tranne eccezioni, non si espongono. C'è un intreccio di interessi personali e di categoria, e di visioni politiche, che ostacola e ingolfa tutto quanto. Però andiamo avanti, sempre.

Le parole di Alessandro sono rassicuranti e allo stesso tempo stimolanti. Rassicuranti perchè il retrogusto politico/retorico delle sue argomentazioni si avverte ma non lascia tracce; stimolanti perchè non usa paraocchi o arieti, ma semplicemente la costanza, principale antidoto, prima ancora che l'irruenza, contro la Ferraresità.

Questo speciale ambivalente, dove si sono intrecciate due storie, quella universitaria e quella della mia città, era iniziato con una domanda cardine: dove è finita la Protesta a Ferrara? Ci sarebbero ancora altre facoltà da esplorare, mille altri studenti con cui confrontarsi, litigare, sorridere. Eppure qualche risposta, seppure parzialissima, l'ho trovata. Ho incontrato le certezze evidenti: l'indifferenza come male incurabile. Ho riscoperto acque calde tiepidissime: gli interessi personali e i pregiudizi politici sono capaci di condizionare le vite degli studenti come direi praticamente ogni cosa. Ho constatato che c'è uno spazio enorme e non sfruttato in cui far muovere l'animale dell'Indignazione: ci sono diverse persone che a modo loro ci credono, e tentano di addomesticarlo, e insegnarli a camminare.

Conosco la mia città, lo spopolamento progressivo, le scomode fughe verso le altre città e l'estero, e le ancora più scomode permanenze sia di chi se la dorme sia di chi sta all'erta. Non nutro nessuna speranza in un risveglio di massa, così come sappiamo perfettamente che le leggi passeranno, i tagli ci saranno e molto andrà relativamente a puttane. Rimane però quello spazio vuoto, quell'animale timido e feroce da imparare a conoscere, anche diventando rompicoglioni e retorici. Le chiacchiere, come i fondi, stanno a zero.

(fine?)

Mentre muore l’Università (e la scuola) italiana / 3

(Parte 1 - Parte 2)

Ingegneria a FerraraSeduti al bar ci stanno non quattro ma tre amici, studenti di Civile tra il primo e il secondo anno. Il Caso ha fatto loro incontrare Giovanni, un esponente di Student Office, la lista che ha vinto alle recenti elezioni studentesche (ad affluenza polare), sul quale vengono riversate pacatamente e serenamente domande molto semplici: i comitati degli studenti, che stanno facendo?
Inizia un'illuminante chiaccherata nella quale viene fuori l'atteggiamento dello Student Office di fronte alla protesta e alle leggi universicide. Innanzittutto, il loro silenzio non significa un'adesione all'idea della riforma: "I tagli colpiscono tutti e dunque anche noi siamo contrari".

Perchè allora rimanere sotto coperta ad aspettare che cambi il vento? Le braccia di Giovanni si spalancano in un moto di lucida rassegnazione. "Si può protestare finchè si vuole", sostiene, "ma questa legge verrà in ogni caso approvata dalla maggioranza in Parlamento". In fondo è inutile agire contro l'inevitabile.
Perplessità diffusa.
Una lista studentesca è contraria all'azione del Governo, eppure non muove un dito. E il dibattito, l'informazione, la circolazione del malumore come viene gestito? Le risposte soffiano nel vento autunnale. Si parla di volantini fatti girare ma che veramente pochi hanno visto. Si fa notare come l'incontro dei rappresentanti dello Student Office con il Rettore nei giorni scorsi (non trovo link a riguardo) sia avvenuto in semi-clandestinità e non abbia prodotto nessun documento ufficiale. I tre amici seduti al bar scuotono la testa, perchè loro vorrebbero far sentire il proprio dissenso e non sanno a chi rivolgersi: se nemmeno la lista che siede in consiglio non organizza nulla, devono affidarsi al Do It Yourself di Pastoriana memoria?

Mi avvicino anchio alla tavola spigolosa, per incalzare le perplessità non diffuse: diffusissime. Conveniamo che occorra una duplice manovra: da parte degli interlocutori degli studenti ufficiali che devono interagire con rettori e i Grandi Capi, incalzandoli, e da parte della Base degli studenti, la maggioranza perplessa rimasta sinora silenziosa che deve sì urlare, ma pure avere una risonanza per i decibel prodotti. Una tenaglia ragionata, ordinata e pacifica, ma che faccia sentire la propria presa.

L'esponente di Student Office annuisce, promettendo che "se ne parlerà senz'altro e troveremo prossimamente il modo più adatto per agire". Peccato che i lavori parlamentari incalzano. "Anche i Professori sono tutti dalla nostra parte", rilancia Giovanni. Ma coinvogerli no, allora? Le sue risposte non riescono a giustificare ai miei occhi la loro immobilità, che si ripercuote sull'intera Facoltà. "Prima non sapevamo in che direzione muoverci perchè c'era grande confusione attorno ai provvedimenti del governo in materia. Ora invece, pensiamo sì di agire, ma riteniamo anche che la strada maestra sia il Dialogo". Ne prendo atto.

C'è qualcos'altro in ballo, ovviamente.


Sento un forte odore di Politica, in tutta la faccenda, interessi di parte che congelano l'attività di questa lista e dunque di tutti gli studenti che vorrebbero, discuterebbero, bloccherebbero, ma che sono sprovvisti di mezzi e guide.
Vado più direttamente al nocciolo della questione e gli chiedo: Dato che siete stati eletti dagli studenti, dovreste in qualche modo "rappresentare" pure gli umori dei vostri elettori. Se dunque notate anche voi un malcontento diffuso, perchè non seguire le sensazioni degli elettori? Un attimo di silenzio prima della risposta interlocutoria: "Finora noi abbiamo sempre seguito una certa linea guida nelle nostre attività, e questa linea ci ha sempre portato a dei riscontri in termini di gradimento degli elettori". Che vuol dire tutto e niente. Chi vuol capire, capisca.

Nella conversazione con Student Office saltano fuori anche gli strascichi di una polemica tutta cittadina (e quindi molto ferrarese) con l'altra grande lista, la RUA (Rete Universitaria Attiva), un sindacato dichiaramente sul versante opposto rispetto a S.O.. Prima ancora che di sinistra, la RUA agisce specificatamente come sindacato, intendo proprio come modi e spirito. Scende in piazza, in sostanza, e il giorno dell'inaugurazione dell'Anno Accademico la sua protesta ha portato diverse decine di ragazzi in Aula Magna durante il discorso del Rettore, accompagnati pure riusciti da una simbolica bara. Da questo episodio è nata una diatriba con S.O., che ha apostrofato quelli di RUA come "pecoroni". E' seguita una risposta di fuoco da parte di, cito la RUA stessa, "studenti che hanno a cuore il proprio futuro".

Scene già viste, su altre scale. Il momento del dissenso riaccende la perenne disputa tra schieramenti diversi, e molto è ingolfato dal noi contro loro, i buoni e i cattivi. Il punto non è stabilire chi siano gli uni e gli altri (che è molto diverso dal dire che non esistano responsabilità ed errori, esistono eccome e sono evidenti), la questione è che nel mentre a Ferrara non si riesce a organizzare uno straccio di fronte comune della Protesta. Ci si frammenta. Chiedo, ma più che una domanda è una utopistica supplica, a Student Office di mettere da parte le antipatie politiche e tentare di partecipare a un movimento ragionato di dissenso. Chi è più adatto al "dialogo", vada a dialogare, chi invece vuole alzare i toni, li alzi, basta che il silenzio assordante delle aule ferraresi non venga coperto dai rumori di parodie dell'Alt(r)a Politica Italiana. Annuiscono un po' tutti.

Saluto la facoltà di Ingegneria per muovermi verso la sede della RUA. Qualcuno che nella non-protesta ferrarese sta protestando c'è; domani, nell'ultimo post, vi racconto le loro impressioni.

(continua)

La Valle.

I luoghi, tutti i luoghi, hanno un potere intrinseco. C’erano varie cose che m’ero dimenticato, della Valle. Cose che adesso, essendoci tornato dopo un’assenza di dieci anni, mi sono ricordato. Leggere in silenzio, sotto il piumone, alle undici di sera, mentre qualcosa nel legno della casa stride e fa rumore: ecco, questa è una. Il freddo che ti fa saltellare sulle punte dei piedi, le orecchie ghiacciate e il mento che, se arricciato, impiega più tempo del normale a tornare alla posizione di partenza. Lo speck appena tagliato dal contadino: fette giustappunto prelevate dal culo del suo maiale - il SUO maiale, non il maiale di un altro - ancora umide di grasso, che come te le appoggi sulla lingua ti spillano fuori la saliva come certe persone carismatiche sanno fare con la verità. Dieci anni. Non ero mai stato, finora, in un luogo affezionato da cui ero mancato per così tanto tempo: non mi era mai capitato un ritorno del genere e devo dire che è stato affascinante. Non particolarmente gradevole, se devo essere sincero. Riabbracciare persone che non ti vedevano da quando eri un bambino, inevitabilmente fa sì che il loro sguardo appuntito ti cavi via un certo nocciolo della questione dall’anima, vale a dire: sì caro mio, anche tu stai morendo pezzo a pezzo. Deglutire non basta: la moralità della vita può raggiungerci nei posti più impervi, al freddo, a duemila e passa metri sul livello del mare. I vecchi guardano i giovani e trovano conforto nel capire che quella condanna fatta di catarro di notte, artrosi e aritmia, non è una punzione destinata a loro soltanto.

Cose che non sono cambiate da allora: il colore dell’erba, lo zainetto rosa dei miei genitori, il coltello per affettare il pane di papà, le erre arrugginite degli uomini e delle donne, la luce del sole continuamente frastagliata dall’ombra gettata dalle sagome dei monti. La mia indecisione al momento di compilare un assegno: gli zeri dopo la cifra scritta a lettere, vanno anche loro scritti a lettere? Cose che sono cambiate da allora: stavolta ho guidato io, all’andata e al ritorno, tortura che mi sono personalmente imposto, proprio in virtù di quella pazzesca pacca sulle spalle che la vita ti dà quando ritorni in un posto caro che non vedevi da un millennio, guarda caso il millennio che più di ogni altro millennio futuro e passato ha contribuito a creare l’uomo che sei. Voglio dire che guidare io stesso, con mio padre seduto di fianco e mia madre dietro, ecco, m’è sembrato quasi un modo per dire alla Valle: ehi senti un po’, lo so cosa stai cercando di farmi, sono pronto, guardami, non vedi che ho le mani tutte e due ben strette sul volante? Non ci incontriamo da dieci anni e so benissimo quanto te quello che sono diventato nel frattempo, perciò non. Mi. Fregherai. Altre cose che sono cambiate: le rughe sulla fronte e sotto il collo di G., che però, nel frattempo, non ha perso neanche un po’ di tutta quella bontà che c’ha negli occhi: ogni volta che lo guardo camminare pesante - in fondo è un omaccione - mi chiedo com’è che ci riescano, certe persone, a rimanere sempre così distaccate da tutto quanto il resto, come pesci, meravigliosi pesci, che nuotano sotto la coltre spessa del ghiaccio, così vicini che li potresti toccare, ma d’altra parte del tutto impossibili da sfiorare. Ancora: le leggere meches sui capelli di M., che tradiscono qualche fermata di troppo alla parola “tinta”, lì dal parrucchiere o dov’è che vanno le donne quando smettono si sorridersi allo specchio. Il fatto che V. sia diventata una donna, io che l’ho vista nascere e crescere, il fatto che abbia bevuto un whiskey sauer con lei, il fatto che abbia guidato, e benissimo, la mia macchina, anche se questo, shhhhh, non si può dire.

La Valle, naturalmente, è rimasta la medesima: certo il progresso, alla fine, ha raggiunto pure lei, che quando ci ha accolti per la prima volta non aveva neanche una cabina telefonica da offrirci e noi dovevamo andarcene in giro con le mani infilate nelle tasche delle giacche a vento, su e giù per le salite, pur di trovare un cavolo di telefono a scheda funzionante. Tornavamo a casa coi polmoni bruciati dal freddo e aspettavamo anche mezz’ora prima di sfilarci i guanti dalle mani. Tutto per una telefonata: adesso tutta quella gente da chiamare è morta o ci ha fatto qualcosa per cui non ne vale più la pena e, in generale, è molto ma molto difficile che ci rimanga qualcuno per cui ci possa venire voglia di fare tanta strada al freddo, è una questione evolutiva, come i cellulari, o i centri fitness dove prima c’erano solo vecchie botteghe, ognuno si ritrova con le cicatrici che si merita e perciò, ecco, progresso o disincanto, io e la Valle, ho capito questo, dieci anni dopo siamo quantomeno pari.

Mentre muore l’Università (e la scuola) italiana / 2

(Parte 1)

Facoltà di Ingegneria a FerraraNel laboratorio all'ultimo piano di Ingegneria a Ferrara incontro Silvia. Lei è qui da quattro anni, conosce abbastanza le facce in giro e passa molto tempo in facoltà. Saprà sicuramente se gli studenti abbiano avuto perlomeno un sussulto in questi giorni altrove tumultuosi.

Come ha reagito la tua facoltà alla protesta dilagante?
Semplice: non è successo nulla. Le lezioni proseguono regolarmente, non ho visto l'ombra di un volantino. Nei giorni scorsi alcuni rappresentanti di una lista studentesca davano via pane e nutella nell'atrio della facoltà.

La vita procede tranquilla a Pleasantville. Si prendono appunti, si dorme nelle ultime file, ci si fionda al bar nelle pause pranzo. Protesta? Per cosa? Gelmini? Chi? Parole sconosciute per chi si impegna duramente in esami spacca-cervello. E io che ho passato 7 anni lì dentro posso confermare: il cervello lo spaccano sul serio. Gli studenti non sanno, e se sanno, non gli interessa granchè.
Non si vedono in giro volantini o manifesti che preannuncino eventuali manifestazioni. I dottorandi proseguono il proprio lavoro e nemmeno da loro che dovrebbero essere maggiormente colpiti dai tagli, si alza una voce dissidente. Tutto tace.

Tu perchè non protesti?
Perchè sono completamente rassegnata. Non credo in nessuna ipotesi ragionevole di cambiamento, ogni segnale è contrario e rende vano ogni tentativo di protestare. Io punto a laurearmi più in fretta possibile e sloggiare da questa valle di lacrime. Non si possono cambiare le cose. L'ho capito sin da quando ero matricola.

I muri di Ingegneria sono immacolati, a parte i soliti annunci di stanze libere. Non ci sono striscioni appesi alle finestre, non si odono urla scomposte. Ingegneria a Ferrara è l'estrema sintesi di una situazione molto italiana. La protesta non parte se non è alimentata da micce estranee: ci vuole la politica, gli interessi di parte, le spinte personali. Un comico che urla sul palco, un presidente che salga su un predellino. Lo scempio in sè non è mai sufficiente per una indignazione rumorosa, fino a quando lo scempio non entra in casa tua senza bussare. Il problema di Ingegneria è proprio l'assenza di micce esterne, e se ci fossero, verrebero ignorate: siamo dunque al limite emblematico del Caso Italiano.

Il fatto è che in questa facoltà si fa veramente fatica ad andare avanti e superare gli esami, e la protesta qui non trova terreno fertile. Il confine tra aridità e materiale impossibilità ad accogliere il seme del dissenso è molto più sottile di quanto si creda. Quanti di noi vorrebbero scendere in piazza ma la vita quotidiana, con i suoi impedimenti, li sottrae e li tiene legati, a covare ulteriore insoddisfazione che alimenta una protesta sempre più impossibile a causa di quelle stesse catene?
Un circolo vizioso che si autoalimenta e tiene in scacco non soltanto una facoltà o un'università. Tiene in scacco l'intera società.

Ad uno dei pc del laboratorio trovo Nino. Si sta specializzando, è quasi al termine dei suoi lunghi e faticosi studi. Gli chiedo se sia al corrente della situazione di disagio dell'università, e mi risponde che qualcosa al telegiornale ha sentito. Gelmini e Legge 133 non gli suonano estranei, ma francamente non ha voluto approfondire: tra poco uscirà di lì e si imbarcherà per mari altrettanto perigliosi, tra le onde della Precarietà.
Gli impegni impellenti di studio alimentano il vento della rassegnazione. Mi riporta voci di ipotetici scioperi tra i professori, ma tali sono, voci lontane che non lo turbano. Ormai non c'è più molto da fare.

La non-protesta la si respira ovunque tra le aule di Ingegneria. Qui la politica non è mai entrata, e non è dunque mai riuscita a fare da detonatore per moti di rivalsa. A questo si aggiunga la totale apatia e indifferenza di chi è immerso nel vortice individuale delle proprie vite, schiacciate da esami troppo difficili o semplicemente da "altro di meglio da fare". Prima ancora della rassegnazione, viene l'indifferenza verso qualcosa che non li riguarda: perchè appare immodificabile, un elemento dello sfondo e come tale, ineluttabile. L'università che diventa un temporaneo recinto.

Non c'è proprio speranza di sentire schiamazzi tra i pc dei laboratori? Andrea, al primo anno della specialistica in Ingegneria Informatica, mi ribadisce di no:

Quali sono i motivi, secondo te, di questa non-protesta?
Siamo rassegnati. E soprattutto, siamo anche terribilmente ignoranti in materia. Non sappiamo nemmeno cosa stia accadendo. Poi bisogna tenere presente l'oggettivo altissimo livello di difficoltà degli esami da affrontare. Lo studente molto semplicemente fa i suoi conti. Pensa che se protesta, non studia, e se non studia, poi non potrà presentarsi di fronte al prof ed evitare la bocciatura.
Infine, ma forse è il problema principale, c'è una grandissima confusione
.

Non avete capito per cosa si protesta o non riuscite a mettervi d'accordo tra di voi?
Qualcuno che vorrebbe protestare ci sta, ovviamente. Tanti sono incazzati. Ma ancora non abbiamo capito bene le dimensioni del problema. Prendi la Legge 133, per esempio. Valla a leggere, e vedrai che è assolutamente ambigua, non specifica alcuni passaggi chiave riguardo ai tagli. Per dire... c'è una scarsissima informazione riguardo alle cause della protesta. Ci vorrebbe qualcuno che spiegasse le cose, e organizzasse soprattutto chi vuole protestare. Qualcuno che guidi questa protesta. Da qualche parte deve partire, per incanalare il resto. Non so... dovrebbe partire dai dottorandi, oppure dai rappresentanti degli studenti.

Qualche crepa nel muro omertoso di Ingegneria si apre. Andrea non avrà le idee chiare sulla riforma, ma pare avere inquadrato bene la situazione. Anche a Ingegneria ci si interroga, ci si guarda attorno e si avanzano perplessità. Per esempio mi cita, tra i vari problemi della nostra università, l'imbarazzante avanzata dei test a crocette, per imitare il famigerato Modello Americano. Peccato che si traduca nel classico italico scimmiottamento, perchè degli Stati Uniti si importano solo le croci, e non le stellette sulla bandiera. Dice: Se infatti si allentano le maglie della fase didattica, dall'altre parte non si attua la seconda parte del modello, un aumento dei soldi destinati alla ricerca: là nei laboratori lo studente inesperto può permettersi di bruciare un circuito 1000 volte finchè non impara, qui no, qui ricerca e prova sul campo non si fanno. O si fanno solo grazie alle aziende, pronte ad allungare le mani su carne fresca".

Andrea mette tanta carne al fuoco, e manda in crisi la mia amara convinzione sugli ambienti di Ingegneria. Una massa critica, silenziosa quanto la controparte a-critica, esiste: mescolati all'indifferenza si agitano occhi vivi e preoccupati. L'accenno alla Confusione che regna tra questa parte di studenti consapevoli solleva quindi altri dubbi in me. Perchè non si sta organizzando nulla, se qualcuno indignato per la situazione esiste, e non è il solo? E' un adeguarsi al sentimento maggiormente diffuso di rassegnazione, o ci sono altri motivi? Soprattutto: dove sono finiti i rappresentanti degli studenti, coloro che il tempo per difenderne i diritti, visto che sono stati eletti apposta, dovrebbero avercelo?

Spostandomi al bar troverò alcune risposte. Seduti a un tavolino infatti, ci sono alcuni perplessi studenti di Civile che manifestano i propri dubbi a un esponente della lista studentesca maggioritaria, Student Office. Mi unisco timidamente alla conversazione e capisco come i guai non vengano soltanto dal basso, dalla base. Anche chi ci rappresenta ha le idee abbastanza confuse, come tenterò di spiegarvi nel prossimo post.

(Continua)

Mentre muore l’Università (e la scuola) italiana

Occupiamoci dell'UniversitàSarà che non sono più studente da troppo poco tempo, o forse sarà che sono disoccupato e non ho molto da fare, sta di fatto che mi è venuta voglia di scendere in piazza anche a me, di protestare e di bloccare imprecisate lezioni. Perchè studente non lo sarò più, ma continuo ad odiare maledettamente la passività italiana. Bisognerebbe protestare per ogni cosa, oggi.

Ho visto studenti attivarsi in tante città italiane: Roma, Milano, Napoli, Cagliari, Pavia. E mi sono chiesto allora che stessero facendo i miei ex-colleghi ferraresi. Se a Pavia si protesta, figuriamoci a Ferrara che ha un numero maggiore di studenti. E così sono tornato nella mia ex-facoltà, senza grandi illusioni ovviamente. E ho fatto qualche domanda in giro. Le risposte, però, ve le racconterò nei prossimi post.

Prima di prendere in mano spray, striscioni e "tanta voglia di incazzarsi", sarebbe giusto provare un attimo a fare chiarezza sul discorso Istruzione e da dove parta tutto quanto. Mi sono reso conto che si fa un gran parlare di grembiuli e classi differenziate, viene ripetuto costantemente il nome "Gelmini", eppure c'è tutto un discorso finanziario che riguarda l'Università italiana che da molti (me compreso) non era stato colto. Una mannaia sui finanziamenti che di nome non fa MariaStar ma "Legge 133". Ok, qui urge un chiarimento da chi ci ha capito qualcosa. Serena M, dottoranda presso un'università veneta, qualcosa ci sta capendo, e le ho chiesto di provare a spiegarmelo. Non c'è bisogno di specificare che anche Serena è incazzata come una iena.

Cosa sta minacciando, oggi, il futuro (e il presente) dell'Università in Italia?
Per farla breve, con la legge 133 è giunta la nostra fine. Noi poveri dottorandi e ricercatori siamo senza futuro. E basta dare un’occhiata alla legge per capirlo. Poi possono girarci intorno finchè vogliono, ma la realtà è questa.
Vorrei dire tante cose, ma non posso. Mi beccherei una querela. Le nefandezze che accadono nelle università italiane sono immense. Mussi (governo Prodi) non mosse un dito. Ora siamo allo sfacelo.

Il problema sono i tagli? Tolgono i finanziamenti? C'è dell'altro?
I tagli sono il dramma, certo. Ma c'è altro: con la famigerata trasformazione delle Università in Fondazioni, potremo dire addio alla libertà di ricerca. Verranno finanziate solo quelle ricerche che serviranno alle aziende che finanziano quell’università in particolare. E non voglio nemmeno pensare cosa succederà con i nuovi concorsi (già ora fanno schifo, sia chiaro).
Poi: fino al 2012 nessuna nuova assunzione, noi dottorandi siamo tagliati fuori dal circuito universitario. Ieri ci è stato comunicato chiaramente: "preparatevi ad andarvene".
Ancora: Sempre più difficili i passaggi di fascia per i docenti, bloccati gli "scatti anzianità". Quelli che hanno il culetto un pochino parato sono i prof ordinari (come sempre). Ma anche per loro non sarà un idillio.
E allora diciamolo che dell’istruzione e della cultura non frega un cazzo a nessuno, molto meglio continuare a finanziare la Fiat, l’Aitalia, le banche.

La Fiat, l'Alitalia e le banche forse, dico forse, fanno più presa sul sentire pubblico italiano (in termini anche di voti). A chi interessa dell'Università, se non è coinvolto direttamente?
Sarebbe anche il caso di dire che c’è un qualunquismo, una disinformazione e un’ignoranza dilagante in Italia e, mi dispiace dirlo, anche tra gli studenti universitari. Perché in giro si sentono discorsi che neanche mio nonno fa più: "Eh ma che si lamentano a fare questi, cosa protestano?!...aumentano le tasse universitarie, tagliano i fondi... e vabbè cosa pretendono? L’economia NON GIRA!!" Manco fosse ‘na trottola, l'economia...

Già una cosa salta all'occhio: che tv e giornali (e lo stesso governo) cercano di personalizzare molto la vicenda, incentrandola tutta sul nome-spauracchio GELMINI. Bersaglio facile per studenti delle superiori che han voglia di saltare la lezione, e comodo specchietto per le allodole per evitare di mettere in luce tagli pesantissimi che provocherebbero sommosse trasversali. Si urla tanto il nome Gelmini e si finisce per perdere di vista chi sono i veri mandanti dei vari assassini. L'Università italiana è uccisa dalla legge 133, una manovra esclusivamente finanziaria per mano di Tremonti e fatta passare quasi sotto silenzio nel luglio scorso.

Fatta questa distinzione tra i vari decreti, chiedo allora a Serena di spiegarmi cosa comporta il decreto di MariaStella.


Serena spiega:
Per quanto riguarda il decreto Gelmini posso solo dire che si continua a cambiare, senza mai Riformare davvero. Ma io mi chiedo come mai ci mettano una laureata in giurisprudenza ad occuparsi di scuola (non si riesce a capire come mai nessuno si voglia occupare di ciò che realmente gli compete). Magari si sarà fatta aiutare dalla mamma maestra per queste sue mirabolanti nuove idee… visto che si torna indietro di 50 anni!

Entrando nei dettagli?
Vabbè, mi limito a qualche considerazione. L’introduzione della legge sull’autonomia (L. 59/97, DPR 275/99 + Rif. Titolo V della Costituzione che definisce il rapporto Stato/Regioni) dovrebbe essere intesa come autonomia degli insegnanti e alunni, valorizzando le potenzialità. Spetta allo Stato definire gli obiettivi, i traguardi, le competenze e i termini dell’organizzazione generale. Ma per la prima volta si dà alla scuola possibilità di progettualità integrando per il 20% il curricolo statale. Viene azzerata l’immagine dell’insegnante-impiegato, essendo richieste competenze di tipo organizzativo-gestionale e relazionale (con gli alunni ma anche con l’esterno, favorendo reti tra le scuole). E qui sorge il problema della formazione degli insegnanti, che attualmente è a dir poco lacunosa. Per non parlare degli insegnanti di sostegno, i quali dovrebbero essere attentamente preparati, dovendo affrontare situazioni ancor più complesse. A nessuno deve essere negato il diritto di sviluppare al meglio le proprie potenzialità.
E’ qui che bisognerebbe concentrare le energie, costruendo un apprendimento che duri tutta la vita, lontano dal nozionismo puro. La scuola dovrebbe imparare a tessere rapporti con la realtà sociale e col mondo del lavoro, facendo della Competenza qualcosa di contestuale e concreto: la capacità di utilizzare le conoscenze nella soluzione operativa di problemi, rimanendo aperti a una molteplicità di soluzioni. Il valore della creatività. Ma evidentemente è più importante il grembiulino...

Ci sarebbero milioni di motivi per protestare, quindi. E allora mi chiedo se la mia comatosa città, si stia dando da fare, perchè, messi come siam messi, una "non-protesta" (mi) impressiona quasi più di una sacrosanta protesta. Domani vi racconto che aria tira a Ferrara, partendo dalla Facoltà di Ingegneria, noto feudo dell'Indifferenza.

Come distruggere l’inconscio collettivo superiore di una generazione

Queste righe non sono per voi, persone che mi conoscete, che mi frequentate, che condividete con me luoghi di lavoro, di divertimento, amicizie e affetti.
Questo post è per chi non ha idea di chi ci sia dietro a questo pseudonimo se non intuitivamente: dico tutto questo perché chi mi conosce ha sentito le parole che seguono migliaia di volte.
Per tutti: questo è un post serio. Cominciamo.

Da qualche anno a questa parte, quando mi confronto (profondamente o superficialmente) con i miei coetanei, maschi o femmine che siano, sul vago tema del lavoro, del futuro, delle aspettative, quello che incontro è principalmente sconforto, depressione, malumore, frustrazione. Questi sentimenti sono più che diffusi soprattutto tra chi, come me, lavora in ambito culturale, ma in realtà - sebbene con modalità diverse - sono davvero comuni a tutta la mia generazione di più-o-meno trentenni. Badate bene che questo sentire è limitato al lavoro e agli ambiti di cui ho parlato, e non ha nulla a che fare, almeno in prima battuta, con la sfera affettiva ed emotiva.
Insomma: siamo tutti sottopagati, attaccati a lavori poco gratificanti, o gratificanti ma svolti praticamente gratis, non abbiamo prospettive di carriera, se abbiamo un contratto (se) è a tempo determinato. E di solito scade in una manciata di mesi, e poi chissà.

Dal punto di vista politico-economico, non sarò di certo io a dirvi che conseguenze abbia questo malessere. Ma rendiamoci conto che questo stato d'animo sta minando psicologicamente una generazione intera. Qual è questa generazione? Beh, essendo il nostro un Paese di vecchi, in cui l'unica forma costante di potere che esiste e si riproduce è quella della gerontocrazia, noi non siamo neanche lontanamente la "classe dirigente". Se resisteremo, lo saremo tra una ventina d'anni come minimo. Una ventina d'anni in cui, con ogni probabilità, continueremo a sopravvivere attraverso le solite frustrazioni, delusioni, fragilità.
Supponiamo ora che, dopo questo faticosissimo iter, uno arrivi ad occupare una qualsiasi "posizione di potere": quanta forza d'animo ci vorrebbe per rendersi conto di essere vecchio, inadeguato, naturalmente non più al passo coi tempi, per tirarsi indietro almeno un po'? Tanta, tantissima, e probabilmente questa forza sarà stata prosciugata da tutti gli anni di fatica, quindi non ne rimarrà neanche l'ombra. Risultato? Anche noi perpetueremo uno dei grandi mali d'Italia, la gerontocrazia, appunto.

Ma anche nel presente, nel quotidiano che viviamo ogni giorno, questo stare male si ripercuote su quello che produciamo. Pur sapendo che il lavoro è fatica, sempre, questo stato d'animo diffuso evidentemente ci fa comunque rendere meno: un eventuale calo di risultati diventa quindi un'ulteriore "riprova" del fatto che "ne abbiamo ancora da imparare". E di nuovo il sistema gerontocratico si autoalimenta.

Secondo Jung, l'inconscio collettivo superiore, opposto a quello inferiore, legato al passato, è direttamente connesso al futuro. Il futuro. Quale futuro? Io, sinceramente, non sono un pessimista, ma non riesco davvero a pensare al mio futuro. Non ho alcun tipo di sicurezza, fare le cose bene non mi garantisce nulla (meritocrazia, cos'era costei), il sistema premio-punizione, alla base della socializzazione non solo primaria dell'individuo, è stato scardinato da un bel po'. Quindi si sta come sugli alberi le foglie, come diceva quel poeta che tanto amo; ma lui parlava d'autunno: io credo invece che la nostra caducità sia perenne. Anche per questo tanti miei amici hanno gastriti, soffrono di insonnia, di broxismo, sublimano la loro condizione con dipendenze di vario tipo. Questo, direte voi, è sempre successo. Sì, ma non in queste proporzioni, non con questa frequenza, non con questo riscontro globale, per cui si incontrano delle persone in vacanza, diversissime per estrazione, aspirazioni, studi, e dopo cinque minuti si parla di certe cose come se si condividesse da anni lo stesso ufficio.
E non riusciamo neanche più a protestare, e questo è il vero dramma, perché siamo terrorizzati che la sediolina sulla quale stiamo, rotta, scomoda, sporca, potrebbe essere l'ultima che ci viene concessa.

Alla mia età

Forse sarà l'autunno, il mood malinconico degli ultimi tempi, o semplicemente la mia età, ma quando va detto va detto.

Il nuovo singolo di Tiziano Ferro, è bellissimo.

Le serie tv da non perdere quest’autunno /1

La tv? Chi la guarda più. Molto meglio ripiegare la sera su qualche serie tv americana, genere che non ho mai conosciuto in tv da ragazzino, e di cui apprezzo la bontà al tempo di internet, della condivisione e del passaparola su questo e quello su blog e forum. Sono telefilm per modo di dire, e poco hanno da spartire con le sitcom di italia1 o gli sceneggiati di rete4: a volte si tratta di lungometraggi ottimamente scritti, che grazie al tempo dilatato di cui dispongono, riescono a tenere l'attenzione per diverse settimane stupendo per profilo dei personaggi, qualità della regia e della sceneggiatura. Vanno in onda in America, e con ritardo di qualche mese, sulle pay-tv italiane, tradotti in maniera tristarella, per poi approdare sulle emittenti nazionali, infarcite di spot, ritardi, spostamenti a tarda sera. Il consiglio, forse ovvio, è di seguire direttamente la programmazione americana sottotitolata, risalendo i torrenti della rete e pescando in giro qualcuno che offra traduzioni in cambio di un semplice grazie.
Ciò detto, ecco alcuni personalissimi consigli per gli acquisti almeno fino al 2009, quando con il ritorno di Lost, non ci sarà più spazio per nessun'altro.


DEXTER
attualmente: stagione 3, puntata 4
momento topico della serie: finali di prima e seconda stagione
link di riferimento
: http://www.sho.com/site/dexter/home.do
Dexter è un perito ematologo dell'FBI. Sulla scena del crimine analizza le tracce di sangue trovando elementi importanti per le indagini della scientifica. Dexter è un serial killer: secondo un codice d'onore insegnatogli dal padre, rende giustizia quando non c'è stata al momento giusto, uccidendo brutalmente e seviziando assassini, drogati, violenti stupratori e pervertiti, ladri e feccia dell'umanità. Dexter è un eroe moderno, che si libera dell'orrore del mondo a modo suo, essendo lui parte di un orrore che non può fermare, di un istinto animale che non riesce a controllare. Dexter è al contempo il buono e il cattivo, è un fidanzato premuroso ma timido, un fratello silenzioso ed affettuoso, un amico introverso ma cui portar rispetto. Tutti adorano Dexter, suo malgrado, e finirete con amarlo anche voi, immedesimandovi nei suoi pensieri continui (narrati a voce alta sempre sul filo del sarcasmo) o stringendo i denti nelle situazioni più delicate. Riuscirà Dexter a farla franca senza che nessuno scopra la sua doppia vita? Detta così suona banale ma non lo è per niente ed anzi il finale non è mai scontato. La prima stagione è tratta dal romanzo Darkly dreaming Dexter, di Jeff Lindsay, la seconda e la terza sono invece originali e basate sugli sviluppi della storia. Lasciatemi dire da subito che la seconda stagione è davvero spettacolare e la sceneggiatura talmente raffinata da sfiorare vette mai viste nel genere poliziesco in una serie tv. Assolutamente da non perdere.

MAD MEN
attualmente: stagione 2, puntata 12
momento topico della serie: seconda parte della seconda stagione
link di riferimento
: http://www.amctv.com/originals/madmen/
Uno spettacolo per gli occhi: nella sua cornice anni '60 in Mad Men tutto è patinato, raffinato, elegante. Le storie e le vite di un gruppo di pubblicitari di Manhattan alle prese con copywriter, grafici e clienti difficili, tra campagne presidenziali, grandi corporation del tabacco e segretarie pronte a tutto pur di obbedire agli ordini di chi sta sopra di loro. Demodè e lentissima, è una serie anomala nel 2008 che incanta per i dialoghi e la scenografia, senza parlare dei personaggi, tutti bellissimi figurini da rotocalco, ritratti dell'uomo e della donna dei tempi che furono, pieni di imperfezioni e segreti da nascondere eppure così pieni di fascino da ammirarli come eroi. Don Draper, brillante e seducente pubblicitario dal passato misterioso è il protagonista della serie, ed è l'uomo di cui vi innamorerete perdutamente o che vorreste essere. Voi, che idolatrate Ben di Lost, avete da fare i conti con un nuovo eroe del piccolo schermo, con la brillantina nei capelli e mai una frase più del dovuto. E che dire della sua biondissima moglie Betty, a metà tra Barbie e Marylin, o la formosa e seducente segretaria Joan? Due opposti stili di vita, due tipi di donne diversissime tra loro eppure entrambe così perfettamente incantevoli. Godetevela finche dura, che pare sia in forse la terza stagione.

CALIFORNICATION
attualmente: stagione 2, puntata 3
momento topico della serie: inizio e fine della prima stagione
link di riferimento
: http://www.sho.com/site/californication/home.do
Sesso al cubo. Si parla di questo, sempre, di continuo, senza inibizioni, in maniera volgare, sboccata e politicamente scorretta. La serie è divertente ed originalissima sia per la sceneggiatura che per l'argomento, trattato a 360° senza risparmiare scene di nudo (integrali!) o linguaggio osceno. I dialoghi sono strepitosi perchè sarcastici, pungenti quanto basta a reggere la struttura della serie altrimenti fragilina (le primissime puntate della prima stagione contengono scambi di battute memorabili). La storia narra le vicissitudini amorose di Hank Moody, scrittore di successo sciupafemmine, in cerca di riconciliarsi con la moglie che l'ha lasciato per sposare un imbecille palloso e borghese, con l'aiuto della figlia adolescente che lo adora come una rockstar. La concentrazione di ragazze da capogiro è elevata, il tasso di invidia per il carattere da adorabile bastardo del protagonista pure. Per inciso: lui è il buon vecchio agente Mulder di X-Files, al secolo David Duchovny, ricoverato un mese fa per sessodipendenza in una clinica americana. Abile mossa di marketing per l'inizio della seconda stagione?

(segue seconda puntata...)1

Buffet

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Camera Ciccsoft

Si comincia!

Spot

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Cocapera: e sei protagonista

Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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