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La rivoluzione senza fare la rivoluzione

Sarebbe da provare, no? Se ognuno di noi si prendesse, finalmente, la responsabilità (un gesto inedito per degli italiani, oibò) e l’impegno solenne di portarsi in maniera più etica, più civile, più morale in tutti i momenti della propria giornata non ci sarebbe bisogno di dare una sola grande spallata a chi ci governa. Sarebbero tanti, milioni, di delicatissimi urti che avrebbero lo stesso fortissimo effetto di una deflagrazione.

Quello che volevo dire io da settimane l'ha detto lei, allora mi limito ad aggiungere soltanto due o tre cose.

E' farsi crescere i capelli quando dovresti tagliarteli, è accorciarli per vezzo e non per necessità. E' comprare un biglietto per uno spettacolo teatrale il giorno in cui Berlusconi si compra la fiducia in parlamento. L'unica veemente reazione che ti viene in mente. E' voler vedere i teatri più pieni, per ogni piazza che rimane vuota, andare al cinema anche se aumentano il biglietto di un euro, per ogni evasione fiscale. E' non tagliarsi la barba la domenica sera e tirare dritto fino al venerdì dopo. E' voler vedere sempre più barbe sempre più capelli sciolti, e vedere assaltare i locali e far raddoppiare i concerti perché dentro tutti non ci possiamo stare. Ad ogni insulto alla scuola pubblica o ai gay mi viene da comprarmi un vinile, o andare a piedi da Bologna a Firenze o in bicicletta da Ferrara a Perugia nella mia unica settimana di ferie. Mi viene voglia di aprire una libreria. E' raccogliere un pezzo di carta che tuo padre getta per strada, è prendere i treni, è andare in stazione in bicicletta anche se piove, è vedere più facce felici più teste ciondolanti più braccia consorte che cullano corpi stonati, e vedere in giro sotto i palchi o sui vagoni più labbra morsicate, più sguardi inespressivi e più chiacchiere inutili, in fondo alla sala, e girarsi a zittirli tutti. E' ascoltare chi suona, è comprare biglietti per concerti per ogni immigrato che sbarca sulle nostre isole che nemmeno sapremmo indicarle sul mappamondo.

Piazze vuote

E' sperperare denaro in tutto quello che i potenti contrastano, la musica il teatro il cinema l'arte i fumetti i giornali i libri la scuola l'università il pane i prati, e visto che non abbiamo la minima intenzione di aizzare scarpe al cielo o di farci sparare nel culo, e visto che ci sentiamo ridicoli a parlare di rivolta con un Matteo Renzi o un Cicchitto tremolante di parkinson e di fiele in televisione, per chi ancora la guarda, non ci rimane che farci del bene, che siamo sensibili solo a quello, al bene e ai beni, che siamo golosi e uno solo, di bene, non ci basta mai. E' fare la coda fuori dalle librerie è rimanere fuori a pranzo è fare le due di notte su un manuale è ricordarsi di andare a trovare un amico che abita lontano, è non avere bisogno di ricordarselo per farlo, è correggere il cassiere che ti dà il resto sbagliato è essere ostinati ma in silenzio, è frequentare ogni tanto le stazioni i binari le fermate dell'autobus le mense, è sistemare la valigia pesante è scontrarsi con i passanti per renderci conto della loro presenza, è origliare i discorsi della gente, è bere e smettere di bere, è imparare a fare il pesto in casa, è comprare il necessario e concedersi il superfluo.
E' cambiare lavoro, è rispondere male a chi se lo merita, è caricarsi i forni in spalla per portarli alle isole ecologiche, è fare le cose contro voglia.
E' ridere delle tragedie, è non vergognarsi di essere tremendamente seri, è fare la rivoluzione senza fare la rivoluzione.

L'unica rivoluzione possibile che mi viene in mente.

Come aver vinto alla lotteria

Elena cara, d’accordo le Alpi, le piazze, i portici (aggiungerei la cioccolata calda in tazza e i panini dolci con peperone e acciuga). Ma abbiamo il morale sotto i tacchi e pure la morale non sta molto più su. Declino, corruzione e precarietà sono miasmi che respiri anche lì, ma qui in aggiunta c’è una struttura sociale che deprime i talenti ed esprime una classe politica incapace a tutto. Le conclusioni mi sembrano ovvie. Il primo volo Londra-Torino parte alle 6,55: vieni a darci la sveglia tu.

Massimo Gramellini dà un consiglio semplice e chiaro, ovviamente da non rispettare, ma a me ha strappato un sorriso, nonostante tutto.

Lo strano caso del Digitale Terrestre

Questa cosa che Dan Peterson torna ad allenare dopo 25 anni passati a bere tè freddo a bordo di piscine californiane mi ha decisamente scosso e mosso un fremito interiore. Dan Peterson, dopo 25 anni al sole della California circondato da ragazze bionde dalla dubbia morale e con un insospettabile accento ferrarese e atteggiamenti da magnaccio piacione, si infila di nuovo le scarpette (rosse, per l'occasione) allenerà la sbrindellata Olimpia Milano, un tempo squadrone che tremare il mondo fa e ora invece sbrindellata compagine lombarda che si schianta a Cantù nell'ultima partita. Il tempo passa per tutti, per le storiche squadre di basket ma non per Dan Lipton Ice Tea Peterson, che dice di "aver perso una notte di sonno, ma che all'Olimpia non poteva proprio dire di no".

Tralasciando per un attimo il discorso puramente sportivo, visto che tenere per anni una rubrica sulla Gazzetta (la Gazzetta dei nostri giorni, peraltro) non sia automaticamente garanzia di aggiornamento professionale, il ritorno di Dan apre scenari inquietanti su le vite di ciascuno di noi. Qui gli si vuole bene come a un figlio, al nostro Dan, anche perché ha traviato le nostre estati con sorsate di tè chimico che sapeva di tutto tranne che di tè, ma come resistere al tintinnio dei cubetti dentro quel bicchierone enorme e volgare directly from Californiaaa? Non si poteva, e infatti siamo cresciuti come siamo cresciuti, ma pensavamo di aver confinato Dan Peterson nel museo delle cere viventi, eppure ce lo ritroveremo a bordo campo a urlare di nuovo ai suoi "ragazzi" che devono "sputare sangue". Dan, fermati un attimo, vorrei farti notare due cose: il tuo labiale (vedi il video culto che anticipa di anni et anni tutte le parodie possibili inventate poi sulla Rete) è inequivocabile, e che noi qui si sputa sangue da appunto 25 anni. E adesso torni tu, e pretendi che non sia cambiato nulla? FENOMENALE.

E invece ci tocca vivere in un mondo dove ancora tutti si ricordano perfettamente le mosse del Gioca Jouer di Cecchetto (prossimo ritorno?), ma non possiamo più ammirare Uan in Uanathan, o quelle interminabili puntate dove sempre Uan e Bonolis trasmettavano dal Polo Nord, episodi memorabili di un tv fatta coi piedi ma artigianalmente, almeno, mentre ora ci sono rimasti solo i piedi e al pomeriggio i cartoni nemmeno li danno più. Dan, torni dalla California e vuoi che sputiamo sangue mentre oggi i bambini crescono con una tv che al pomeriggio manda i troioni di Uomini e Donne e non Mila e Shiro, e poi uno si chiede il crollo delle vocazioni per la pallavolo.

Dan, è cambiato tutto, e il tuo ritorno su una panchina come se nulla fosse è il crack del 2011, il vero evento di un decennio abortito, che si ripiega su stesso come nemmeno i sogni di Inception, dove il tempo reale è diventato a pagamento, e infatti noi poveracci che armeggiamo con la banda quinta sopra al tetto umido, Dan mio, non ti vedremo, ma ti vedranno soltanto le gens illuminate di Sky, quelle per cui 2011 non significa i Robinson su K2 o Happy Days su Mediaset Extra o i film di Tomas Milian su Rai Movie, ma, che so, allenatori milanisti sulla panchina dell'Inter, ovvero NOVITA', cose mai viste e soprattutto in orario.

Ci hanno tolto tutto Dan, e sputare sangue proprio non ne abbiamo voglia, al massimo possiamo assaggiare un bicchiere di tè alla pesca (l'invenzione peggiore del secolo, seconda solo al Tè Deteinato), senza ghiaccio magari, ma ormai non abbiamo più nemmeno l'edizione regionale del Tg3, ora non so chi abita nelle altre provincie dell'Emilia e della Romagna, ma noi qui a Ferrara dal giorno del suic of ci tocca sopportare l'edizione del Veneto, e quindi le alte maree lagunari, il servizio sulle nevi della Perla delle Dolomiti, le dichiarazioni fasciste di Zaia o Tosi o chi per lui, o i gol del Cittadella o del Portogruaro, tutte cose a loro modo interessanti (io a Venezia ci lavoro per dire) ma grazie, io quando torno a casa alla sera voglio sentire le mie radici, e guardare la cosa più triste in tv dopo Omnibus del mattino, ovvero il Tg Regionale, e invece noi ferraresi siamo stati cancellati dalla mappa del Diggitaletterrestre e ci propinano tutti i giorni l'edizione veneta. Dan, io lo sputo anche il sangue sul decoder, tutti i giorni gli parlo, lo accarezzo, tutti i giorni lo sottopongo a corroboranti sedute di Risintonizzazione automatica dei canali, ma niente, salta sempre fuori la malefica scritta Veneto, e oltre a non vedere più Mentana mi tocca perdere anche le imprenscidibili sagre da Bagno di Romagna o di Verghereto, ed è un colpo troppo forte per tirarsi su. FENOMENALE.

La tv con le stampelle

Da circa un mese ogni volta che accendo il televisore esce fuori la schermata con il rumore bianco*, quella nebbiolina grigia e confusa a ricordarmi che ormai del vecchio segnale analogico non è rimasto più nulla. Mi angoscia un po' pensare ad un oggetto che è nato per ricevere varie frequenze, con un telecomando per cambiare i canali, e vedere che tutti questi pulsanti non funzionano più. Che il telecomando del decoder ha preso il posto di quello principale (che ormai serve solamente ad accendere la tv) e che praticamente c'è vita solo dentro AV1, mentre il resto dei circuiti dentro quella scatola dormirà per sempre impolverandosi.

La sensazione è un po' come quella di una persona che ha avuto un'incidente grave che ha comportato la perdita di un arto, di una capacità motoria, o in generale di qualche tipo di abilità. La sua vita sarà completamente diversa per via di quanto accaduto, e i gesti quotidiani da fare dovranno tenerne conto. Come un uomo costretto alle stampelle, quando accendo la tv mi sembra di vedere un oggetto monco, privo di una parte consistente del suo essere, che mi mostra i canali di prima e qualcuno in più, ma solo perchè gli ho comprato le stampelle, il decoder, a seguito di quel giorno in cui hanno spento per sempre il segnale analogico. Vedo la nebbietta grigia e finchè non accendo il macchinario che le permette di continuare a vivere sembra quasi vergognarsi di come è ridotta ad andare. Al videoregistratore non è andata certo meglio, e il giorno in cui abbiamo messo la stampella alla tv, gli abbiamo staccato la spina probabilmente per sempre.

* residui di conoscenza di Ingegneria

Gente per bene

Enzo Bearzot

(via IlPost)

Vai avanti tu che a me scappa da piangere

Ieri sera il tg di Mentana mostrava un sondaggio sulle intenzioni di voto attuali. La lista di Nichi Vendola, SEL, sembrerebbe pigliarsi un consistente 7%. Senza la presenza di Vendola, la stessa lista credo prenderebbe circa lo 0%.
Oggi al mercato delle vacche in Parlamento anche un deputato dell'Italia dei Valori, tale Scipiqualcosa, non voglio nemmeno cercare il suo nome su Google, ha cambiato sponda. Di Pietro ha dragato un sacco di voti dal Pd proprio grazie alla sua figura personale: urlando, cianciando di "vera opposizione", Di Pietro ha raggranellato voti su voti. Ma senza Di Pietro, quanti ne prenderebbe il suo partito? Un partito che, esattamente come tutti gli altri, ha al suo interno dei filibustieri? Già.
Poi prendiamo Fini e le sue cariatidi che dicono di guardare al futuro (guardassero al presente eviterebbero definitive figure di merda come quella odierna): Fini, la faccia seria della destra, ha cercato di staccarsi e formare un suo partito. Ma anche lì, mele marce sono spuntate dal terreno (arido, va detto). Futuro e Libertà senza Fini sarebbe quello che in effetti già è: un ossimoro, non esisterebbe.
Infine Berlusconi. E i suoi fedeli e servili scudieri. E tutta la gente che lo vota. Un partito che si annulla e coincide perfettamente con l'individuo.
Ora, quello che sto cercando di dire, a mente caldissima, è che i capipopolo, in Italia, alla fine si recuperano sempre: Berlusconi è un validissimo capo-popolo, e Fini, Di Pietro, Vendola eccetera, sono altri individui che riescono a radunare (pochi, lo so, ma non è questo il punto) voti attorno a loro. Ma dove sta la "base"? Dove stiamo noi?
Noi siamo quelli che poi ci facciamo comprare i nostri voti, che cambiamo idea alla notte, o che non cambiamo mai e poi mai, idea. Siamo quelli che voltano le spalle o chiudono gli occhi o allungano la mano sotto al tavolo. Dove sta la base? Cosa sarebbero i partiti in Italia oggi senza un capo-popolo? Agglomerati informi come il Pd, appunto.

Noi siamo peggio, di chi ci governa. Non esistiamo. I capipopolo, sappiamo produrre, e nemmeno troppo bene. Ma dove siamo noi? Assenti quando bisogna trovare responsabilità (come ci è finito Berlusconi lì? Da chi è stato tradito Fini? Chi si convincerà a votare per qualcuno di appena appena presentabile a sinistra invece di storcere il naso? Eccetera). Sarebbe il caso di farcene una ragione, mentre ci mettiamo in fila alla dogana con il passaporto nelle nostre mani infilate nei guanti. Che siano sporchi, o puliti, non fa molta differenza.

. buon 2 agosto

questo non è un post politico né culturale né rivoluzionario (a proposito, buon 2 agosto): questo è un post su una persona che va in libreria. certo non siamo l’emilia romagna (se sei emiliano o romagnolo o tutt’e due, non lamentarti: vivi in una regione ricca e sensibile alle esigenze dei giovani, ti consiglio di apprezzare la tua fortuna), non siamo la lombardia (bene per lo smog male per i negozi di sushi ogni tre per due) e non siamo nemmeno roma, roma, roma (che fa la stupida solo di rado), firenze non ne parliamo, è una cugina che non ci guarda e non gli interessa e al pranzo di natale ci tira i capelli insieme a siena e lucca (ricordi che succede in ottobre?): siamo perugia.

se credi che sia divertente, hai sbagliato regione. noi siamo quella che nelle cartine politiche è sempre verde, il cuore pulsante di questa scarpa malandata senza tacco, boschi-campi e fiumiciattoli come direbbe bilbo baggins (sì, siamo simpatizzanti degli hobbit perché ci sentiamo hobbit anche noi).

la notizia è che la libreria oberdan chiude, dopo simonelli e il fallimento di altri piccoli negozi più marginali (non parliamo di altre attività che hanno chiuso nel giro di due anni per altri problemi e che hanno demolito l’interesse del centro storico, uno su tutti lo storico teatro pavone, le diatribe riguardo il cinema turreno che vogliono buttare giù per costruire un parcheggio, o lo stato di abbandono che sta degradando il cinema modernissimo che ormai di moderno ha solo il nome).

sulla pagina facebook ne parlano attraverso questo comunicato, laconico e lapidario (nel senso di lapide, e buon 2 agosto di nuovo). c’è chi, come succedeva per voldemort, non vuole fare “il nome del colpevole”, e chi invece crede di essere così rivoluzionario che un nome è solo un nome, e per giunta rosso e troneggiante, ditemi se non esiste qualcosa di più comunista: la-feltrinelli.

ma questo non è un post politico, nè di cultura, nè rivoluzionario (buon 2 agosto a mamme e piccini). è un post, come ho già detto, riguardo le persone che vanno in libreria: non importa quale, non gli interessa il nome. hanno bisogno di sapere che ci siano librerie, e libri e persone che salgono per lui sugli scaffali e prezzi - aehm - modici e un’offerta, diocristo, un’offerta.
perugia è un posto dove le persone litigano tramite i manifesti.
c’hanno costruito il minimetrò rubandoci i soldi tramite lo scandalo dei semafori gialli e grazie all’aumento delle tariffe delle strisce blu (va bene), c’hanno dimezzato e ribaltato il servizio apm mettendo in croce anziani e ragazzini (va bene), c’hanno tolto i cinema, i teatri, i laboratori teatrali, i circoli arci, le aule dei licei, ci hanno chiuso perfino i locali dove si faceva karaoke (che ora sono privati e se vuoi cantare devi tesserarti come al partito), e va bene, va benissimo. e non è una diatriba su chi sia la vittima o il carnefice, le persone che amano i libri sono stanche di decidere di chi sia la colpa e di pensare a quello che avrebbe potuto offrire la oberdan o quello che offre la feltrinelli (che sì, se volete saperlo, dev’esserci in un capoluogo regionale, da chi altro vogliamo farci ridere dietro?): il dubbio è su quello che resta, non rispetto a quello che se ne va. quando si rimane da soli a giocare, si può dire o no di avere già vinto?

Un uomo e il suo nulla

taricLa tragica scomparsa di Pietro Taricone non mi lascia indifferente, nonostante chi mi conosce sa che di reality non mi interesso e ignoro buona parte dei programmi tv esistenti. O' guerriero divise parecchio il pubblico dieci anni fa tra ragazzine adoranti (e qualche attempata signora) e un'opinione pubblica che lo dipingeva come ciò che i nostri figli non dovevano diventare, un modello da non imitare. Nel modo di dire comune, lo spacconcello napoletano o genericamente del sud era apostrofato con qualcosa del tipo "uno come Taricone".
Al di la di simpatie o meno va riconosciuto che tutti quelli che vennero dopo di lui al Grande Fratello e nella pletora di reality più o meno di successo proposti in un decennio, furono talmente costruiti e forzati nel voler essere personaggi ad ogni costo, dal risultare infine inutili, meteore dello show business televisivo degli anni zero. Carne da macello nell'era berlusconiana al servizio della nostra noia da prime time. Passata che era l'annata di gloria con passaggi tv (per lo più a Buona Domenica) e ospitate in discoteca, tornavano nel dimenticatoio con il loro nome anonimo: Antonio del Grande Fratello, Gigi dell'Isola, Marina della Pupa e il Secchione, cose così.
Lui no: era diventato Taricone, un cognome finalmente, come gli attori veri che sperava di affiancare un giorno e che in qualche modo raggiunse in un paio di produzioni azzeccate tra mille cianfrusaglie minori. In Ricordati di me di Muccino forse la sua parte migliore, dove in stecca con Silvestrin prometteva mari e monti alla arrampicatrice velina interpretata dalla Romanoff.

Proprio come una meteora che aveva voluto non essere se n'è andato giovane, tragicamente, in maniera un po' inutile se vogliamo ma senz'altro facendo una cosa che amava fare e di cui aveva messo in conto i rischi. Se gli chiedessero un commento sulla sua fine direbbe orgoglione: nessun problema ragazzi, fa parte del gioco, non è niente.
Cosa lascia alla fine uno come Taricone dopo la sua scomparsa? Il nulla che un reality come il GF ha prodotto: ore ed ore di intrattenimento fine a se stesso dove il massimo delle gesta di un uomo, quello per cui verrà ricordato, è stato stendere una coperta tra due divani per qualche minuto di intimità con una ragazza. Per il resto solo dispiacere per una persona giovane e forte che lascia un figlio piccolo, ma per queste cose non serve essere famosi.

Silenziosi come un tuono

La piazza di Carpi è grande. Sarà lunga almeno due campi da calcio. Almeno, eh. Forse di più. Dentro finiscono per starci un sacco di cose. Una chiesa, là in fondo. Poi un castello, un teatro. Dei portici, dei barettini, dei bancomat, tanti ciottoli. Un palco. Un referendum, che firmo subito e convinco gli altri con me a fare altrettanto. Cantanti, scrittori, partigiani, reduci. E tanta gente.

Parlano tutti, in questa piazza grande che si apre come una prateria improvvisa in un buco della Bassa. Parlano i giovani sotto il palco, ragazzine in tiro sfattoni alternativi fotografi improvvisati gente capitata per caso o per noia o per contagio. Parlano anche i cani, per chi li sa ascoltare. Parlano sul palco canzoni di guerra, di dolore morte e cose molto molto brutte e molto molto lontane, per questo forse così vicine. Tutti parlano, dicono quel che va detto in una giornata come il 25 aprile in un momento come questo. Parlano parlano e la piazza sembra proprio grande, sì. Caspita, saranno anche più di due campi, minimo.

Dentro questa piazza ci sta tutto, non ci manca nulla, non siamo come loro, non lo saremo mai, siamo diversi. Io però non parlo, sto muto, per conto mio, giro per la piazza faccio incazzare il resto della compagnia perché faccio l'asociale, faccio finta di fotografare per non dover dire qualcosa pure io. Mi guardo attorno, penso che è davvero enorme questa piazza a Carpi, pure bella voglio dire, fa pure caldo, è già estate mascherata da primavera, la primavera quando arriva è già finita che neanche te ne accorgi, se non fosse per gli starnuti che ti fanno alzare la testa al cielo e vedi sopra di te del vetro.

Materiali Resistenti

Così mi rendo conto che siamo completamente circondati dal vetro, un'enorme campana di vetro senza la neve e noi ci siamo finiti dentro, una calotta trasparente che ricopre tutta questa piazza di Carpi così grande che dentro finiamo per starci tutti, e fuori rimangono loro. E le parole del comandante Dièvel sono proiettili che finiscono sul vetro, come le firme sul referendum sull'acqua pubblica, cosa vuoi che c'entri con la Resistenza, scorreva sangue sulle montagne e ora scorre acqua qui in pianura, o al massimo birra a 3 euro per inzupparci le pizze inscatolate fredde, come "muori tutto vivi solo tu" che ti vengono i brividi a sentirlo dire da Max Collini, come "il reggae è quello che ci vuole in un'Italia fascista", come Capovilla che si sparge il corpo e la voce di merda, come i coglioni di Nori, nel senso delle poesie che legge, come i miei occhi che lo fissano immobile mentre descrive cos'è la guerra, sono tutti proiettili sparati in cielo nemmeno fosse capodanno, invece è il 25 aprile, fingiamo di essere in primavera ma è già estate, molto è già compromesso, forse tutto, chissà quanto è spesso quel vetro, chissà se si lascerà perforare, chissà che magari stavolta si infrange e si spacca tutto e piovono addosso schegge di vetro, speriamo che facciano feriti anche dall'altra parte.

(Le foto di Materiali Resistenti, qui sotto)

Vincere a tavolino

Nello sport c'è un'eventualità nota a tutti e che da sempre regola ogni incontro tra due squadre nel caso una di esse non si presenti. Si chiama "vittoria a tavolino".
Ovviamente i tifosi della squadra che non si presenta saranno poi furibondi con i calciatori, con la dirigenza, e lanceranno i peggiori insulti. Tuttavia non si sentiranno privati del loro diritto di seguire il calcio e tifare la loro squadra per episodi simili. Per quest'anno sarà andata così, si è perso il match, la qualificazione o la coppa. Pazienza, ci si rifarà al prossimo giro. Nessun tifoso di chi ha perso a tavolino si sognerebbe di dare la colpa alla squadra che ha vinto senza giocare, la quale vuoi per sportività, vuoi per spirito di competizione, avrebbe senz'altro preferito disputare l'incontro e vincere sul campo. Nemmeno la dirigenza o la squadra stessa si sognerebbe mai di insultare l'avversario, reo di aver vinto a tavolino per colpe che non ha e che evidentemente sono tutte da ricercare tra i vinti, siano esse burocratiche, di negligenza o di natura sportiva.

Questo accade nello sport. Fosse pure la Juventus o l'Inter o una squadra blasonata, ognuno sa che ci sono scadenze da rispettare, carte e scartoffie da consegnare per iscrizioni e altro, e queste valgono per tutti.

Quale parte della frase "vincere a tavolino" non è chiara al nostro presidente del consiglio? Quale malsana abitudine da persona ricca e potente gli fa pensare non che possa, ma che sia giusto, non rispettare una regola così basilare? Davvero il mondo del calcio è moralmente migliore di quello dell'illuminata dirigenza politica italiana? Di questi tempi parrebbe di si.

Buffet

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trovate a Londra

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le foto di Berlino

Ciccsoft Resiste!Anche voi lo leggete:
guardate le vostre foto

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Camera Ciccsoft

Si comincia!

Spot

Vieni a ballare in Abruzzo

Fornace musicante

Cocapera: e sei protagonista

Dicono di noi

Più simpatico di uno scivolone della Regina Madre, più divertente di una rissa al pub. Thank you, Ciccsoft!
(The Times)

Una lieta sorpresa dal paese delle zanzare e della nebbia fitta. Con Ciccsoft L'Italia riacquista un posto di primo piano nell'Europa dei Grandi.
(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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