Author Archive for Cyrano

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E basta con ‘sto federalismo!

Il risultato del referendum sulle modifiche costituzionali e federalismo ha rimesso la palla al centro. Purtroppo.
Nel centro-sinistra già si strofinano le mani al pensiero di poter perdere i prossimi quindici mesi a pensare al regionalismo, al federalismo e all’assetto politico istituzionale del Paese. Naturalmente anche i centristi (di qualsivoglia specie e natura) non vedono l’ora di cambiar nulla partorendo topi attraverso montagne. Per tacer della destra, ormai oltre la soglia della vergogna, che perde pezzi come rotativa impazzita e che grazie ai prossimi, imminenti litigi governativi, potrà recuperare una sua visibilità di contrasto, sempre indecente, ma almeno di contrasto.
E siamo sempre allo stesso punto: come si può parlare di regionalismo (federalismo o devolution) in un Paese come questo? Sinceramente, c’è qualcuno che ha il coraggio di pensare che il regionalismo (o quell’altra roba lì) possa risolvere i problemi di un Paese allo sfascio? metà del paese, il nostro meridione è in una crisi perenne, fuori della legalità, in pieno sottosviluppo: mi meraviglio come Al-Qaeda non c’abbia già fatto un pensiero. E questi pensano al federalismo e si stupiscono che quello che rimane del paese li manda a fare un giro. Eppoi, che cosa se ne fanno i Lombardo-Veneti del federalismo, qualcuno se l’è mai chiesto? Sperano di agganciare sviluppo e globalizzazione? Ma le avete mai viste, voi, le piccole realtà produttive del Lombardo-Veneto? Scusate se generalizzo, ma dico, ma vi sembrano gente in grado di competere con la modernità?


Ma fatemi il piacere per favore, basta con questa fola del Lombardo-Veneto che traina l’eccellenza e lo sviluppo del paese: sono decenni che siamo appesi a ‘sta storia, mentre il meridione è in mano alla mafia, il nord in mano agli scandali di ogni genere, e la classe politica incapace di intercettare la realtà. Che vogliono questi qua, si può sapere? E vogliono le strade, e vogliono pagare meno tasse, e vogliono i cinesi fuori dai coglioni, e vogliono licenziare quando gli pare, e vogliono il Made in Italy sulle scarpe delocalizzando in romania, e vogliono i lavoratori stranieri nelle fabbriche, e vogliono la svalutazione così esportano comodamente, e poi? Che vogliono ancora? Lo stipendio dallo stato? La medaglia d’oro? Ma si dessero da fare con ricerca e sviluppo, lingua straniera, etica del lavoro e ampiezza di vedute, si leggessero un libro ogni tanto, invece di passare la vita a brontolare su quanto sono sfigati, loro, la locomotiva d’Italia e la devoluzione con le mercedes.
Non sono tutti così, si potrebbe obiettare. Ok, e gli altri dove stanno? Battessero un colpo con l’eccellenza della loro attività, il prestigio dei loro bilanci in attivo (trasparenti, please), quel minimo di cultura che occorre a gestire la diversità, si facessero modello vero, una buona volta, non quello falso di antica memoria, che abbiamo visto com’è finito, fatto di sfruttamento, immigrazione, svalutazione e zero investimenti. Invece no! meglio lamentarsi e chiamare la mamma (lega), bestemmiare i negri cattivi e pensare alla devoluzione con la pistola a tappo nella tasca.
Sapete, invece del regionalismo che dovrebbe fare un governo che si rispetti? Dovrebbe far uscire il meridione dalla condizione vergognosa in cui si trova, dovrebbe liberare energie, dare mazzate alla mafia e buttarla a mare a calci nel culo, creare lavoro, legalità, cultura, spostare il baricentro sul mediterraneo, andare a parlare con i paesi del maghreb e israele, sedersi in terra con loro, aiutarli con gli aranceti, commerciare, esportare diritti e tecnologia, e importare cultura, musica, gastronomia, creare gruppi di lavoro, concedere diritti speciali e franchigie a chi è pieno di idee, straniero o italiano che sia, premiare la voglia di lavorare, un governo come si deve dovrebbe contaminarsi con l’unica area geografica che ancora può darci qualcosa, dovrebbe fare del meridione un ponte stupendo dove ci si diverte, si lavora, si fa letteratura, si guadagna, si tira tardi, si esportano modelli sostenibili, e poi vediamo dove vanno a finire la devolution e il Lombardo-Veneto, nella cui capitale (Milano) le mostre chiudono alle 19.00 e poi tutti a letto, che tristezza. La voglia di andare in svizzera, ci mancava questa, che poi chi se li prende questi, manco lavorassero bene. Tiriamo su l’italia intera, poi pensiamo al principio di sussidiarietà, a nord come a sud. E per favore, lo dico a chi sapete: è ora di cominciare a lavorare.

State bene. Cyrano.

Papà-Chioccia un par di palle!

La Repubblica (6 giugno 2006):
"In bilico tra figli e carriera il mammo italiano resta indietro"
"[In Francia] il boom dei papà-chioccia"

Sono milioni di anni che gli uomini vanno a caccia, fanno la guerra, detengono il potere politico nella sfera pubblica e mantengono la famiglia (con tutti gli abusi del caso).
Sono milioni di anni che le donne si occupano di gestire la sfera privata e delle cure: organizzazione interna della casa, spesso la gestione del reddito familiare, cura dei figli (con tutti gli abusi del caso).
Dopo una serie di rivoluzioni culturali (e del diritto), negli ultimi 100 anni e in questa zona inventata che chiamiamo occidente, questa situazione sta cambiando. Le ragioni sono molte e qualunque filosofia (anche politica) ha una sua parte nel descrivere i perchè e i percome del fenomeno. Motivi economici, di mercato, di  lavoro, culturali, religiosi, antropologici, sociologici e via dicendo. Tutte queste (retro) spiegazioni hanno una loro componente di verità. Rimane il fatto: le donne sono finalmente (generalmente) chiamate a contribuire sempre di più alla vita pubblica e privata e parimenti gli uomini sono chiamati a contribuire maggiormente a ciò che riguarda la sfera privata della famiglia (comunque la intendiate) e il lavoro di cura parentale.
E poi ci sono gli ostacoli, che tutti conosciamo: il potere, il famoso soffitto di cristallo, non è facile da raggiungere, per il semplice fatto che chi ha il potere, non se ne separa volentieri. Ecco vorrei, una volta tanto, parlare in termini generali, validi per tutti, uomini e donne. Perchè se è vero che esiste un potere maschile nella vita pubblica e politica (stipendi, carriera, diritti, considerazione, gestione dei tempi e tutele) ne esiste anche un altro, femminile, nella sfera privata (il come si fanno le cose: come si lava, come si stira, come si educano i figli, come si cucina, quello che si può o non si può spendere).


Nel momento in cui questa realtà duale stava in piedi, sostenuta da diritto e consuetudine, le rispettive influenze erano equilibrate. Oggi, che teoricamente non esistono confini tra le due sfere, le zone di influenza confliggono. Quando il sessismo si esercita sul posto di lavoro, le donne diventano tutte stupide, inadeguate, spesso assenti, inferiori nell’espletamento della rispettiva mansione. Quando il sessismo si manifesta tra le mura di casa, gli uomini diventano incapaci, maldestri, mai adeguati al compito, non sufficientemente puliti, poco attenti alle presunte esigenze della prole.
Questa presunta incapacità di genere, in entrambe le sfere considerate, è un retaggio ignorante che molti si portano dietro e che andrebbe, una volta per tutte, sfatato. Perchè la “donna in carriera” viene considerata come un essere che rinuncia alle sue peculiarità femminili (dura, autoritaria, manesca, sgarbata, lesbica)? Perchè gli uomini che prendono permessi di paternità sono considerati mezzi-uomini (resi astratti, più vicini a esseri femminili, ridicolizzati, omosessualizzati)? E via dicendo, in un crescendo imperterrito di scemenze. La verità è che la guerra dei sessi continua, crudele, inesorabile, a opera di entrambe le parti e all’interno delle due sfere considerate.

State bene, Cyrano.

Togliamoceli dai piedi

  • Neofascisti e ultras autorizzati a sfilare a Milano da un governo reazionario, fascistoide e imbelle.
  • Centri sociali richiamati allo scontro (dalla rete) con profusione di K e nostalgie estraparlamentari e terroriste.
  • Borghesi inferociti che difendono vetrine e stile di vita (la robba), armati dalla lega e dai salotti buoni di Milano.  

Ancora una volta il paese in ostaggio di posizioni estremiste (fascisti e centri sociali cosiddetti radicali, cioè fascisti), così come il mondo del resto, costretto a ballare alla musica di teocon e terroristi. Questa situazione non si supera con il moderatismo. Questa situazione si supera con il coraggio politico di scelte laiche, radicali, locali e soprattutto globali. Qualcuno può recapitare il messaggio all’opposizione?

State bene.

E basta con l’otto marzo!

La parabola dell’otto marzo ha qualcosa di fenomenale. Nasce all’alba delle prime lotte di emancipazione femminile, come ricorrenza di un episodio storico (vero o presunto, di sicuro simbolico). Cresce e si alimenta nel conflitto per l’uguaglianza tra i sessi, viene issato a mo’ di vessillo da streghe e uteri autogestiti, snobbato dalla sinistra marxista perde smalto durante l’avvento del pensiero sulla differenza. Infine viene tradito e colonizzato nel modo più bieco dal marketing, oltre che dalle stesse donne che credono di meritarselo guardando i Centocelle Nightmare, con gli slip rigonfi del loro stesso cervello.

Parliamoci chiaro: qui si tratta di violazione di diritti civili e umani. Ma non verso travestiti, omosessuali, immigrati, e via dicendo. Qui si tratta di qualcosa di più sottile, di più perverso, dal momento che la differenza di genere è trasversale, e riguarda tutte le categorie oggi discriminate e costituisce quindi, una doppia discriminazione: immigrata e donna, ebrea e donna, musulmana e donna, handicappata e donna, disoccupata e donna, prigioniera di guerra e donna, povera. E donna.

Allora, 8 marzo a parte (da seppellire con una risata), qui si tratta di comprendere che è arrivato il momento di pensare in grande stile, uomini, donne e sfumature di genere: i diritti civili si conquistano, si combatte e si conquistano, attraverso la rappresentanza politica e la pressione di piazza, attraverso lo sciopero e il boicottaggio, attraverso la produzione intellettuale e la legislazione, attraverso gli spazi pubblici e quelli privati, con la scelta politica e con il rifiuto dei modelli di potere tradizionali, e poi con lacrime e sangue, come sempre, dovunque e da sempre.

Gli uomini, quelli Tradizionali, quelli pelosi e ignoranti, quelli che mollano gli sganassoni, quelli che fanno gli eterni bambini e che trattano bene la moglie l’otto marzo, gli uomini che non fanno un cazzo in casa e che “..per carità il culo a mio figlio lo pulisci tu dopo che hai cucinato..”, gli uomini che di fronte alla collega d’ufficio sorridono e poi la considerano stupida, o inefficace perchè donna, gli uomini così, tutti gli uomini così, sarà il caso di fargli togliere le mani dalla marmellata, prima o poi. O no?

State bene. Cyrano.

What are you fighting for?

Uscendo dall’ufficio mi trovo sempre a fissarlo, in alto, spropositato, gigantesco (come solo a Milano riescono a fare). E’ il claim di un cartellone pubblicitario, forse di un’intera campagna. Reclamizza un paio di braghe che all’apparenza sono piuttosto trendy, con tasche enormi dappertutto, vita bassa color sabbia militare. I manichini di turno che indossano le braghe sono tre: un rappresentante della specie femminile, uno maschile e un cucciolo d’uomo. In basso a destra sonnecchia un leopardo, giuro! una bestia del genere con le macchie e gli artigli. Sotto le loro scarpe e in lontananza si allunga, in assenza di prospettiva, il deserto. I tre manichini appartengono a un’etnia meticcia, pelle scurina, capello nero, zigomo alto, e tutti ostentano il torso nudo (tranne la femmina, magra come un chiodo e con una fascia a coprirle gli attributi sessuali secondari). Lo sguardo è orientato a una fatidica e impegnativa missione, impossibile sapere quale, perchè hanno gli occhi che scompaiono all’orizzonte. E poi la frase a caratteri cubitali, che io digrigno fra i denti, bestemmiando, ogni volta che mi trascino in direzione della metro: what are you fighting for?  what are you fighting for? what are you fighting for?
Quando mi lascio alle spalle il cartellone, tutte le sacrosante volte, mi dico che non posso star male per un cartellone, mi ripeto che così non va bene, parlo coi muri e dico che la devo piantare, e che la vita è bella anche se ci sono le pubblicità. Poi scuoto la testa e spazzo via questi tentativi riformisti e mi vedo per quello che sono, e rimugino sulla frase: perchè quella frase?
Perchè nella società post moderna, dove il conflitto si vuole abolito (infatti lo esportiamo, come la democrazia e la satira) occorre trovare altre strade: tutti si devono sentire in lotta, possibilmente per una giusta causa, possibilmente lontana: i manichini del cartellone combattono per qualcosa di nobile, visto che non sono vestiti come nazi-skin e sono negri (ma belli) e vivono in simbiosi con la natura (il coguaro/leopardo) e l’ambiente (il deserto). E’ tutta qui la tragedia di quel cartellone: l’indignazione per l’ingiustizia (bagaglio teorico standard di chi è nato col culo al caldo nelle moderne società metropolitane, di solito negli anni ottanta), per comodità, diventa un paio di braghe, una lattina di roba frizzante, un euro al bambino negro di turno via sms, il comizio di un cantante prima che cominci a suonare. E via dicendo. Esiste un vero e proprio ventaglio di proposte per fare quelli che sono impegnati: dal volantino (giuro) che pubblicizza “la settima giornata mondiale del prigioniero politico rivoluzionario” all’adozione del gatto maltrattato, dalla fornitura di medicine e roulotte alla donazione di libri, dalle cause animaliste (segmento di mercato plantigradi) a quelle dell’apertura di conti bancari etici e solidali. Ma queste sono cose già dette, ci sono libri e libri che ne parlano. Finalmente adesso la pubblicità ci rende le cose più semplici, non serve più nemmeno l’impegno, non occorre prevedere spese aggiuntive. Basta acquistare un paio di braghe per sentirsi coinvolti nella lotta per un mondo migliore, semplicemente andandosene sculettando nel deserto, accompagnati da un ghepardo rincoglionito e dai componenti (etnicamente interessanti) di una famiglia di fatto. E tu? mi chiedo scendendo le scale della metro a Moscova, tu per che cosa stai lottando?

Vignette e libertà di stampa

La questione delle vignette satiriche è stomachevole per la piega che sta prendendo. E obbliga a prendere una posizione. Credo che la libertà di stampa sia un valore fondamentale, un valore che spesso è attaccato dallo stesso establishment dei governi occidentali, un valore che coincide spesso con la presenza della tanto declamata democrazia. Irrinunciabile dunque. Se un paese non è democratico e non è avvezzo alla libertà di stampa mi dispiace. E di sicuro c’è bisogno di alzarlo il livello di democrazia e non certo di abbassarlo.
Dunque su questo punto non si transige, destra e sinistra la piantino di strumentalizzare la faccenda e si vergognino. Su questo punto, e lo ripeto, non si transige. Dunque niente scuse, niente ripensamenti, nessuna preoccupazione. Esistono milioni di musulmani che se ne fregano delle vignette dell’occidente. Siamo alle solite: la parte estremista del mondo si getta a capofitto nella strumentalizzazione, in Oriente come in Occidente. In Palestina e via dicendo chiedono a gran voce rispetto, facendosi ritrarre con il Kalashnikov in mano. Beh, non si accettano lezioni in questo modo. Mi dispiace per gli Ulema, ma su questo punto non c’è nulla da sbraitare ma solo da stare zitti e imparare. Questo non vuol dire che si debba dare retta all’opposto estremismo. A quale mi riferisco? A chi sbraita che la libertà di stampa è in pericolo e quindi pubblica a spron battuto quelle vignette dappertutto! Su internet, sui giornali, su volantini, pure sui blog adesso! A Napoli (leggenda metropolitana)  ci stamperanno le magliette con maometto e la bomba. Ecco, questa posizione ritengo sia altrettanto inutile e pericolosa di quella descritta in precedenza. Le vignette hanno (avuto) un senso, quando sono state pubblicate, in quel giornale. Quel senso non glielo toglie nessuno, in ragione della libertà di stampa di cui parlavo sopra. Questo però non vuol dire che si debba accettare la provocazione, perchè di questo si tratta, e tappezzare la città con le vignette di Maometto. Che cosa si vuole rivendicare che un governo (serio, mica il nostro) non può tranquillamente affermare attraverso il suo primo ministro? Che cosa significa mettere nel proprio blog la testa di Maometto con sopra la bomba? Forse che Noi, qui, facciamo quel cazzo che ci pare? Significa che abbiamo due palle grosse così e che ce ne fottiamo degli ulema e di quei bacchettoni degli islamici, noi? Che attacchiamo il crocifisso nelle aule e ancora un pò pure nei bagni (senza offesa)? Lasciamo perdere. Meno infantilismi e sangue freddo. La libertà di stampa non si tocca e non si toccherà mai. Ma soffiare sul fuoco è una posizione estrema, e quindi infantile. Via il pollice dalla bocca, per favore. State bene. Cyrano.

Signore! Fa che mi sbaglio..

Primarie a Milano: il premio Nobel, a sconfitta avvenuta, ha già dichiarato la sua irriducibilità. Qualcuno si stupisce? Capisco proporsi come assessore alla Cultura in una città che ospita il primato dei bottegai ricchi e piagnucolanti. Capisco tutto, ma non una candidatura alle primarie con quell’atteggiamento da radical barricadero della domenica. Del resto Milano è la città dei radical-chic, ricordate? Avete in mente una categoria peggiore di quella? A questo punto il centro sinistra milanese si tiene quello che ha vinto: un uomo tutto d’un pezzo, serio e naturalmente alto borghese: il candidato ideale per la sconfitta. Gli altri due? Beh, gli altri due erano troppo equilibrati, avrebbero rischiato perfino di combinare qualcosa.

Milano

Milano fredda ieri sera, al seminario sul Dolore organizzato dal Vidas. I relatori sono molto bravi, in particolare il filosofo Natoli (Filosofia della Politica all’Università II di Milano) che da squisito meridionale si lascia andare a un’enfasi sommessa e gentile. La potenza radicale degli argomenti della sua esposizione è qualcosa che raramente si sente in giro, perfino commovente a tratti. Al termine del seminario, nel quale i relatori hanno costruito l’architettura dei futuri incontri sul tema, mi trovo a meditare sui confini del corpo, sulla cultura della sofferenza, sulle nuove sfide che l’essere umano si troverà di fronte tra breve. Mentre il vociare degli ospiti si intreccia tra soffitto e poltroncine, mentre stringo mani e soccombo alle presentazioni, tra un sorriso e l’altro, mi avvio verso l’uscita di via Hoepli e dopo quattro passi sono in Galleria. Sono le otto di sera.
Tutto appare deserto, solo un paio di caffetterie sono ancora aperte e dentro poche persone, per lo più da sole. La grande piazza del duomo si apre con il solito e bellissimo scenario e penso che sono in una città della germania, dove il barocco prende possesso del centro di quello che una volta era un solo un paese. Mi rendo conto che milano è una città triste, semideserta e spazzata dal vento. Non che non abbia una sua tragica e storica bellezza, ma rimane un paese, un grosso paesone acquattato al termine della pianura, reso ricco, a suo tempo, dai suoi grandi borghesi (e dalla manovalanza). Le velleità di competere con la Capitale, frasi deliranti che una volta spuntavano settimanalmente, oggi sono solo un ricordo. I montanari e i preti che governano Milano senza fantasia nè cultura  (e come potrebbero?) non ci provano nemmeno più, li vedo sospirare nei rispettivi luoghi di potere, tra un messale e una polenta, involgarendo perfino il dialetto che si strappa mille miglia lontano da quell’inflessione colta e meridionale che ancora risuona nelle mie orecchie. Potrebbe essere una metropoli straordinaria, coraggiosa, innovativa, divertente, culturale, potrebbe diventare ponte di quest’Italia disgraziata per accompagnarla (veramente) in europa, così come il nostro meridione ci accompagna per mano nel  mediterraneo. Potrebbe. Ma ci vorrebbe qualche filosofo in più.

State bene, Cyrano.

Allora non gli è caduta la lingua

Sono mesi che quando entro in ufficio saluto i portinai dietro la reception.
Di solito sono svaccati sulle poltroncine, oppure guardano la televisione arrotolandosi la cravatta regimental. Come dire: lavorano.

Sono mesi che i portinai non rispondono in maniera evidente al mio saluto.  Nel senso che quando va bene lasciano uscire un grugnito, o sollevano lo sguardo opaco dallo schermo. Ma non salutano.

Sono mesi che mi ostino a salutarli, senza ottenere nulla in cambio. Mi sono fissato. La loro pochezza non deve scalfire la corazza di buona educazione dietro la quale mi nascondo da trentanove anni.

Rientrato dopo la pausa delle tredici, incrocio di fronte alla reception i due baroni nerovestiti del secondo piano. Uno vecchio, l’altro giovane. Trasudano potenza economica e stronzaggine italica. I due portinai si genuflettono, si lasciano andare a battute allegre, aprono la porta ai signori cappottati, chinano leggermente le spalle in segno di devozione.

Rimango smarrito per un secondo, poi tutto torna al suo posto. Decido che il mondo non può andare avanti in questo modo e sono preda di fantasie à la Tarantino. Mi tocco le tasche e non trovo la pistola. Lascio perdere e torno a lavorare.

State bene, Cyrano.

Cose che succedono

- Sai che succede? Che torno a casa, controllo la flebo di mia moglie, me ne vado in cucina a mangiare un pezzo di formaggio e poi mi addormento sul divano, con le mani sulle palle.
Sabrina non dice nulla. Lo guarda con occhi spalancati, come per abbracciare tutta quella mancanza di senso.
- Non scaldarti. Hai troppa rabbia dentro.
- Rabbia? E perchè mai? Cameriere, mi porta un altro campari? Tu lo vuoi?


- No.
- Allora uno solo, grazie.
- Rabbia...- Armando fissa il ripiano del tavolino. E’ già in ritardo, come sempre.
- Sì. Rabbia. Tu non ti vedi.
- Tu invece mi vedi vero? E che cosa vedi, tesoro?
- Non mi piace quando fai del sarcasmo.
- Ok, rifaccio la domanda, che cosa vedi in me, tesoro?
Sabrina lo fissa scivolando a destra e sinistra con lo sguardo. E’ infastidita, forse arrabbiata.
- Vedo un uomo che c’ha un sacco di problemi.
- Già. Un sacco di problemi. E poi?
- Poi basta. Un uomo che mi piace. Che non accetta ci possa essere amore intorno a lui.
Lui ingoia il campari velocemente, come si divora un pezzo di pane, con il disprezzo della fame. Si passa la lingua sul labbro inferiore, fa una smorfia.
- Amore? Di che stai parlando..?
- Questa conversazione è inutile. Fa male a te e fa male a me. Non credo che sia questo che cerchi.
- Chi lo sa cosa cerco?
- Tua moglie come sta?
- Morirà, forse oggi, forse domani.
Lei scuote la testa, guardando il bitume del marciapiede.
- Ora vado. Chiama se hai bisogno. Stai su per favore. Butta fuori un po’ di veleno non puoi vivere in questo modo.
- Infatti. Non so che farci. Scusami se sono brusco.
- Lascia stare. Ora vado. Posso baciarti?
Lui fa di sì con la testa. Si sfiorano le labbra. Lei va verso la fermata. Lui rimane seduto con le viscere in subbuglio e la coscienza ridotta a uno straccio.

Al buio della camera il viso di lei brilla come una maschera d’argilla. Armando siede di fianco al letto respirando l’aria che sa di chiuso e malattia, con le narici frementi.
La donna ogni tanto schiaccia il dito sul telecomando. Il ronzio apre e chiude la valvola (morfina, fentanyl) e si mischia al ticchettare della sveglia.
Perchè si aggrappa alla vita in quel modo? si chiede Armando, non ne ha avuta abbastanza di vita?
La sveglia segna un’ora stonata. Non si accorda con il momento. Le lancette avanzano pigre. Nessuna speranza, solo la vertigine delle parole non dette, il futuro che sbatte la faccia contro la parete di ferro e la mascella contratta. Armando ruota gli occhi per aria, si arrampica sulle orbite, cerca una via d’uscita (basta che sia apparente), non occorre la verità, non serve a niente toccare le cose.
Ora è buio fuori. Armando allunga la mano, tocca il tubo della flebo, raggiunge l’interruttore. Accende l’abat-jour. La donna respira lentamente, sembra che non soffre. Trascorre un po’ di tempo.
Adesso Armando quasi non respira, non vuole svegliarla, non vuole tirarla fuori da uno stato di grazia. Chiude gli occhi ogni tanto. Le sposta i capelli dalla fronte piena di macchie. Si sdraia a fianco di lei, facendo ballare il materasso. Lei non se ne accorge e la stanza sembra sempre più buia, il buio della coscienza che viene portata in un’ampolla di vetro sulla scogliera pieno di vento. Le lancette marciano piano in avanti.
L’urlo di lei lo sveglia di soprassalto: è un urlo roco e continuo con occhi che saltano fuori dalla testa, fatto di mani che artigliano il lenzuolo, oh cristo, che succede? Il fentanyl, merda che è finito. Sta’ buona tesoro mio, sta’ buona adesso te lo rimetto, sta’ buona per favore amore mio non urlare ti prego sta’ buona.

- Come stai? Ce la fai?
- Non lo so. Non so più niente. Mi sto spegnendo come una candela.
- Vieni a casa mia stasera. Chiama l’infermiera e vieni a casa mia. Solo per riposare.
- Non posso. Sono intoccabile. Devo salvaguardare la mia purezza.
Sabrina si mette a ridere, si regge la pancia, appoggia una mano sul bancone, con l’altra si attacca al braccio di Armando: - ma che stai dicendo?
- Dico sul serio.
La donna lo guarda, si fissa sulla mascella quadrata, sugli occhi arrossati dal sonno. Gli tremano le mani. Si guarda in giro ogni pochi secondi. Sabrina allarga le narici e percepisce odore di medicinale, di corpo non lavato. Pensa che vorrebbe prendersi cura di lui. Poi diventa triste, aggrotta le sopracciglia.
- Che hai? – chiede lui, che non concepisce che il dolore si trovi pure da un’altra parte.
Lei scuote la testa. E’ solo un momento, si dice, un momento che vorrei essere lei, attaccata alla flebo.

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(Frankfurter Zeitung)

Il nuovo che avanza nel mondo dei blog, nonostante noi non ci abbiamo mai capito nulla.
(La Repubblica)

Quando li abbiamo visti davanti al nostro portone in Via Solferino, capimmo subito che sarebbero andati lontano. Poi infatti sono entrati.
(Il Corriere della Sera)

L'abbiam capito subito che di sport non capiscono una borsa, anzi un borsone. Meno male che non gli abbiamo aperto la porta!
(La Gazzetta dello Sport)

Vogliono fare giornalismo ma non sono minimamente all'altezza. Piuttosto che vadano a lavorare, ragazzetti pidocchiosi!
(Il Giornale)

Ci hanno riempito di tagliandi per vincere il concorso come Gruppo dell'anno. Ma chi si credono di essere?
(La Nuova Ferrara)

Giovani, belli e poveri. Cosa volere di più? Nell'Italia di Berlusconi un sito dinamico e irriverente si fa strada come può.
(Il Resto del Carlino)

Cagnazz è il Mickey Mouse dell'era moderna e le tavole dei Neuroni, arte pura.
Topolino)

Un sito dai mille risvolti, una miniera di informazioni, talvolta false, ma sicuramente ben raccontate.
(PC professionale)

Un altro blog è possibile.
(Diario)

Lunghissimo e talvolta confuso nella trama, offre numerosi spunti di interpretazione. Ottime scenografie grazie anche ai quadri del Dovigo.
(Ciak)

Scandalo! Nemmeno Selvaggia Lucarelli ha osato tanto!
(Novella duemila)

Indovinello
Sarebbe pur'esso un bel sito
da tanti ragazzi scavato
parecchio ci avevan trovato
dei resti di un tempo passato.
(La Settimana Enigmistica)

Troppo lento all'accensione. Però poi merita. Maial se merita!
(Elaborare)

I fighetti del pc della nostra generazione. Ma si bruceranno presto come tutti gli altri. Oh yes!
(Rolling Stone)

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